Solare in Africa, nucleare in Italia: dove trovare la giusta energia?

Il Giornale Online
[color=#999999]Quali le scelte giuste riguardo alle energie alternative?[/color]

Il progetto Desertec, che prevede la costruzione di centrali solari termodinamiche ed eoliche nei deserti dell’Africa settentrionale, dimostra che la ricerca di fonti energetiche alternative spesso porta a progetti elefantiaci in barba al motto di Ernst Schumacher che “piccolo è bello”. Intanto in Italia il governo centrale strizza l’occhio al nucleare, mentre in Calabria si pensa al riciclo dell’Autostrada del Sole…

di Romina Arena

In Germania alcune tra le più grosse compagnie tedesche nel campo bancario (la Deutsche Bank), assicurativo (la Muenchener Rueca), elettrico (la E.on e la RWE) ed il gigante dell’elettronica Samsung hanno firmato una sorta di alleanza con il Club di Roma per sviluppare un’iniziativa industriale battezzata Desertec.

Il Desertec è sostanzialmente un progetto che, con un investimento di 400.000 miliardi di euro in dieci anni, prevede la costruzione di centrali solari termodinamiche ed eoliche nei deserti dell’Africa settentrionale per fornire elettricità al continente europeo attraverso casi a corrente continua ad alta tensione srotolati lungo il Mar Mediterraneo.

L’iniziativa poggia sul semplice assunto che la quantità di energia solare che arriva in Africa in sole sei ore è pari a quella consumata dal mondo in un anno. Se una superficie pari allo 0,3% dei deserti nordafricani e mediorientali fosse coperta da pannelli solari si fornirebbe energia pulita all’intero continente europeo ed ai territori stessi su cui i pannelli fossero installati.

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[color=#999999]Il Desertec è un progetto che che prevede la costruzione di centrali solari termodinamiche ed eoliche nei deserti dell’Africa settentrionale[/color]

Se da un lato il progetto sembra essere interessante e suscita il consenso di esperti ed ambientalisti, dall’altro c’è chi storce il naso ed avanza alcune critiche. In primo luogo si punta il dito contro l’eccessivo capitale investito, i 400.000 miliardi di cui sopra. In secondo luogo si fa concreto il sospetto che l’iniziativa sia inutile e di portata troppo ampia. Se si pensa, infatti, al costo per il trasporto dell’energia dall’Africa all’Europa viene spontaneo pensare che se al posto di un’opera elefantiaca, come effettivamente è il progetto Desertec, si favorisse l’installazione di impianti fotovoltaici ad uso domestico oltre ad ottenere un risultato più concreto si avrebbe anche un’incidenza economica ed ambientale minore per il trasporto stesso dell’energia attraverso i cavi. Una centrale fotovoltaica decentralizzata, infatti, copre superfici enormi di materiale inorganico, impedendo la fotosintesi; il trasferimento dell’energia attraverso i cavi di trasmissione che dovranno percorrere chilometri prima di portare l’elettricità a destinazione, comporta anche una grossa dispersione del contenuto.
I cavi, appunto. Non è chiaro come morfologicamente si presenterà il progetto.

Intanto il sito ufficiale della Fondazione Desertec ci restituisce l’immagine di un deserto che assomiglia più al gioco “unisci i puntini” che ad una mappa, in un intricato dedalo multicolore di cerchietti, quadrati, triangoli e addirittura parallelepipedi, uniti insieme da una trama di trattini che coprono l’intera area del deserto, spingendosi anche oltre.

Se questi sono i dubbi di natura tecnica, diciamo, ed economica, da un punto di vista pratico e soprattutto politico possono esserne avanzati degli altri.

Mi chiedo infatti se sia necessario concepire un progetto simile proprio in Africa quando, per similarità di clima, si potrebbe ugualmente utilizzare l’area meridionale dell’Europa. Soprattutto, mi chiedo se sia oculato, in un contesto di forte instabilità politica, come in quegli scenari, impiantare strutture che genereranno sì energia pulita, ma anche affari sporchi, consorterie, altri conflitti per il controllo del territorio ed un aumento del già alto livello di corruzione.

La risposta è presto data. In economia, come in politica, la filantropia è lungi dall’essere una virtù consigliabile e praticabile, non si va troppo per il sottile, non si perde tempo ad argomentare sui probabili danni collaterali. Chi se ne frega, insomma, se tappezzare il Sahara di specchi creerà qualche problema ai Beduini che quel deserto lo abitano e lo conoscono palmo a palmo. Chi se ne importa se la questione potrebbe appiccare nuovamente il fuoco che cova sotto la cenere tra il Marocco, entusiasta del progetto, ed il Movimento di liberazione del Sahara (il Fronte Polisario), che non riconosce l’autorità Marocchina sul territorio che fu un tempo colonia spagnola.

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[color=#999999]Tappezzare il Sahara di specchi non creerà qualche problema ai Beduini che quel deserto lo abitano? [/color]

In Africa la situazione magmatica rende più agili nell’aggirare gli ostacoli, e proprio perché pecunia non olet, i politici da convincere sono, forse, meno esigenti; la stessa bilancia dei rapporti indica chiaramente la semplicità di raggiungere accordi vantaggiosi. Diventa quindi abbastanza immediato capire come mai è più facile lastricare il Sahara piuttosto che elaborare progetti meno pantagruelici in casa propria.

Nel frattempo in Europa qualcuno fa a cazzotti con il solare.

In Italia, infatti, già da un pò di tempo a questa parte si vive un ritorno di fiamma per il nucleare. Le linee guida del governo fanno sorgere il sospetto che si stia facendo strada la sciagurata idea che il nucleare costi meno del solare e che sia più facile costruire centrali nucleari piuttosto che installare pannelli solari, impianti fotovoltaici o pale eoliche.

Il dubbio viene leggendo il decreto che ha eliminato il parere del Ministero dell’ambiente sulla costruzione di impianti nucleari e soprattutto il contenuto delle linee guida per le autorizzazioni alla costruzione di centrali ad energie rinnovabili. Il testo, pensato per attuare una legge del 2003 sulla velocizzazione dell’installazione degli impianti, in realtà pone una lunga serie di pastoie burocratiche che prevedono la necessità di consultare un esperto del Ministero dei Beni culturali, l’impossibilità di aggiornare le tecnologie senza autorizzazione, la richiesta di studi di impatto sanitario, paesaggistico, sociale, idrogeologico, faunistico e botanico e l’esclusione dell’eolico da buona parte del territorio.

Il Giornale Online[color=#999999]In Italia sembra che il pannello solare faccia più paura della scoria radioattiva[/color]

Insomma, sembra che in Italia il pannello solare faccia più paura della scoria radioattiva . Eppure, nel profondo sud, in Calabria, conosciuta più per il sangue che lava le strade o per i morti sulle barelle, qualcosa si muove.

L’Assessorato regionale all’Urbanistica e Governo del Territorio, infatti, già da un anno, ha rilanciato il progetto di trasformare in Parco solare il tratto autostradale che va da Scilla a Reggio Calabria. L’idea è quella di riconvertire una corsia della vecchia arteria in una centrale di energia solare installandovi dei pannelli solari in grado di garantire energia sia alla nuova Salerno-Reggio Calabria, per l’illuminazione stradale o gli autogrill, sia ai comuni cittadini vicino al tratto stradale. Il progetto è molto ambizioso anche perché i 40 milioni di euro previsti per distruggere il tratto autostradale potrebbero essere ridistribuiti, in misura minore, per costruire una fondamentale fonte di energia pulita.

Certo, il progetto, interessante, è ancora in fase di studio, ma già il fatto che esistano menti in grado di concepirlo è confortante rispetto al rischio di vedere piazzate nel Paese ben quattro centrali nucleari, con il bagaglio di umori neri che si portano appresso.

È così necessario andare a pescare il sole in Africa?

Fonte: http://www.terranauta.it/a1308/energie/solare_in_africa_nucleare_in_italia_dove_trovare_la_giusta_energia.html