Sul cosiddetto corpo di luce

L’uomo come essere naturale é mortale. E’ un’illusione pensare che sia costituito da un’individualità immortale. L’individualità, l’assetto anima-corpo, é certamente soggetta al principium individuationis ovvero alle limitazioni dell’esistenza determinata e relativa. E’ vano credere alla ricostituzione di un’immortalità fisica che sarebbe esistita in età mitiche, antecedenti ad una fantomatica colpa di un altrettanto fantomatico primo uomo. Non esiste materia eterna e l’individuo é certamente limitato anche nel tempo senza contare che la generazione include anche la corruzione. Ed é vano credere ad un’autocoscienza senza soluzione di continuità. Se l’uomo fosse immortale sarebbe un dio, uno dei numi olimpici. E’conseguenza di questo credere a ragion veduta e senza tema di smentita che non può esistere un inferno senza termine, una illogica dannazione eterna. E non lo può parimenti una beatitudine eterna.

Se gli Déi sono rappresentati come recanti con sé il sacro Ankh questo é per rimarcare che l’immortalità é degli Déi e gli uomini ne sono rigorosamente esclusi. Ora il divo Platone ci rivela che nei misteri di Orfeo gli iniziati diventano compagni degli Déi e la morte veniva sconfitta. E sappiamo che le essenze intelligibili, come dice Proclo, permangono e procedono, ogni esistenza umbratile é immagine, manifestazione, riflesso dell’archetipo del mondo originale. Ovvero realizzano ciò che, in senso assoluto, sono. Noi abbiamo il nostro archetipo iperuranico dal quale procediamo e per il quale viviamo la nostra esistenza illusoria come specchi della luce ideale. E’ questa misteriosa entità, se così possiamo esprimerci, che sola può vincere la morte che é la condizione connaturata all’uomo. Non é qualcosa che deve essere formato mediante pensieri e pratiche psichiche, non é un veicolo sottile.

La sfera sottile é intermedia o animica. Per gli antichi il termine “psichico” non aveva a che fare con la medicina o la psicologia e significava “anima”. Ma l’anima era vista come un principio intermedio e pur sempre ben segregato e contenuto entro il recinto del regno della necessità e della limitazione naturale, era un rivestimento, esteriore, in sé inerte, mortale. L’anima non era concepita come propriamente soprannaturale e spirituale. Era, usando concetti moderni, “paranormale” e non soprannaturale. Apparteneva più a qualcosa di vagamente simile al “campo psichico” della parapsicologia che alla mera trascendenza. Dicevamo non é un “corpo sottile” o psichico o ancor meno eterico, il che lo confinerebbe addirittura nel mondo grossolanamente fisico. Si tratta del Sé immortale e questo deve essere risvegliato, deve essere isolato e fatto emergere dalla guaina incosciente delle tenebre dell’individualità, dal fango della materia e dal giogo dei demoni che la governano sprofondandola nella meccanicità del sonno ontologico-metafisico.

Il “corpo di luce” non va inteso come un corpo akasico, eterico, astrale. Quest’ultimo poi non é un principio distinto dal corpo ma é semplicemente una sua irradiazione che muore succedendogli di poco salvo casi assai particolari. Evapora laddove il corpo degli elementi inferiori s’imputridisce. L’Akh egizio significava “spirito luminoso”, “veste di luce” o spirituale o “veste di resurrezione” ed era detto anche Sahu o “spirito stabile” ovvero immutabile e concepibile solo negativamente. E’ l’Agatodemone socratico e il Nous plotiniano. Usciti dalla stretta dei demoni con la putrefazione o prurificazione, l’anima emerge dall’Ade per ricostituire la comunicazione con questo centro eterno col’illuminazione, vera teofania. Esso diventa autonomo e capace di manifestarsi all’iniziato. Infine nell’unione l’anima viene riassorbita in esso e vi si identifica. La concezione di esso come un “corpo eterico” é un suo svilimento materialistico.
Non é un corpo sottile che deve essere formato assorbendo come un vampiro le energie sottili del corpo fisico. Esso non sarebbe certo immortale ma una diavoleria stregonica volta ad una sopravvivenza infernale del tipo di un demone o un vampiro o un guscio. Qualcosa che ha che fare con brandelli ottenuti con un’alchimia necrofila e demoniaca. Non possiamo consentire all’idea diffusa da certi ambienti che il mezzo del risveglio di questo principio immanifesto insito in noi sia costituito da tutto il repertorio del peggio del tantrismo e del taoismo, da riti non poco scabrosi e deviati comprendenti un uso magico del sesso, di sostanze stupefacenti o persino di atti brutali o criminosi. Siamo in questo caso in piena magia nera. Sappiamo che anche i maghi neri credono in una loro particolare liberazione il cui centro é l’invasione di campo dell’istinto, un’esaltazione del “corpo del desiderio”, il Kama rupa, manifestantesi a livello della fisiologia eterica nel famoso potere della Kundalini o kundalinishakti. E’ la Vama Marg o Via della Mano Sinistra, ciò che in occidente si chiama magia nera o nel linguaggio improprio mutuato dalla cultura cristiana, satanismo.

Servirsi dei liquidi dell’eiaculazione maschile o femminile, del sangue mestruale, dell’atto sessuale (sia esso il canonico maithuna o atti di un tipo peggiore, magari perversi) concepito come una materializzazione del matrimonio iniziatico tra anima e spirito attira solo orde di demoni e ogni male e negatività occulta. Questa é l’integrazione a rovescio non dell’anima nel Sé ma nell’Ab o principio oppositivo. E’alchimia nera in cui il mezzo della trasmutazione é il sesso, talvolta inteso persino come un atto di gruppo o in modo persino più degenerato, e dietro termini tecnici come “cottura” indica l’amplesso e una bizzarra idea di sublimazione e distillazione dello sperma mediante ritenzione dell’eiaculazione e come “cucurbita” o altro i sessi degli adepti. Che poi profanare i sacramenti cattolici, quali son già una profanazione dei misteri, possa rappresentare nulla di veramente occulto é discorso che qui non interessa. La profanazione é già di per sé la peggiore calamita delle maledizioni.

Che poi la Merkavah ebraica possa assicurare la realizzazione di questo stato perfetto da eresia qual’é é assai discutibile. Per l’ebraismo la Kabbalah é né più né meno che un’eresia sorta dall’infiltrazione di dottrine pagane. L’ebraismo é certamente creazionista e non può minimamente consentire ad una teologia di tipo emanazionista come quella cabalistica né all’ermeneutica esoterica della Bibbia, alla bizzarra permutazione di numeri e lettere la quale ha molto più di divinatorio e pitagorico che di ebraico in senso ortodosso. La Bibbia é un testo essenzialmente storico che narra la vicissitudini del popolo di Dio, Israele, sul cammino dell’emancipazione dalle dominazioni e dall’idolatria, la continua dialettica tra il supremo Jahveh, Dio di giustizia e punitore delle disobbedienze e delle devianze del suo popolo e i giudei. Tutto questo, noi domandiamo, cosa può avere anche vagamente a che fare con gli interessi magici ed ermetici dei rabbini cabalisti? L’Ain Soph cabalistico non é un dio personale ma un principio impersonale del tipo dell’Uno plotiniano, l’oggetto di un’elevata teologia negativa.

Infine non si riesce a capire come si possa concepire l’inizio dell’età aurea come una sorta di “rapimento” del tipo delle epistole paoline, quasi una trasposizione New Age di tutta la mitologia protestante millenarista americana. Non ha a che fare con l’entrata in una nuova era del mondo quanto piuttosto col superamento del tempo stesso. E’evidente che non si tratta di una sorta di “ascensione astrale” ad un “piano superiore di esistenza”, quand’anche pur sempre eterica e sublunare. Diciamo che la Sheckinah, abusando del linguaggio cabalistico per un momento se ce lo consentite, tornerà a manifestarsi pienamente nel mondo fisico e ogni esistenza terrena sarà come trasmutata e sublimata facendo scomparire tutti i peggiori difetti interiori ed esteriori. Niente più malattie, guerre, una perfetta forza fisica, uno stato di perfezione spirituale, di equità sociale. La stessa mente verrà come reintegrata in uno stato di eccellenza primitiva: memoria perfetta, intelligenza superiore, poteri psichici.

Alessandro Bardi autore de “La genesi ritrovata