Sulle linee di Nazca

Sulle linee di Nazca
Sulle linee di Nazca
Volando sulle linee di Nazca

Prima di Cristoforo Colombo, prima ancora degli Incas, gli abitanti della regione di Nazca, a sud del Perù, tracciavano strane linee sul suolo della pampa: questi disegni sono la testimonianza di conoscenze geometriche ed astronomiche tanto più inspiegabili in quanto le figure sono visibili solo dal cielo. Gli indigeni chiamano Nazca “il deserto che parla”, ed è vero. Ma parla con voce di roccia, parla con linee e disegni di una perfezione rarissima, osservabili solo dal cielo in quella desolata regione che viene chiamata “pampa”.

Quando si sente la parola “pampa”, il pensiero corre subito agli sterminati bassopiani argentini, lussureggianti di vegetazione, fertili, famosi per le coltivazioni di cereali e per l’ allevamento di animali. Ma le pampa del Perù sono diverse, molto diverse: si presentano come distese di sabbia e pietrame, inospitali, senza traccia di alberi nè di arbusti. Nessuno, nelle altre parti del globo, ne avrebbe mai sentito parlare, se non fossero venute, in tempi vicino ai nostri, le divulgazioni di scoperte sensazionali, di “atlanti” incisi in proporzioni gigantesche, comprendenti stranissime linee a non finire, raffigurazioni di animali e di soggetti tuttora non identificati.

Nel 1973 non troviamo ancora in un solo manuale di archeologia il minimo accenno a queste meraviglie che si stendono sul territorio tra l’ Oceano Pacifico e la Cordigliera delle Ande, nella pampa di Villacuri, a sud di Pisco. Eppure gli aviatori delle linee interne conoscevano benissimo da tempo gli strani tratti, ma la loro professione faceva ovviamente sì che li sorvolassero senza attribuivi particolare importanza. Da terra, d’ altra parte, non si potevano scorgere che delle linee senza apparente significato: ed è ovvio, poichè i disegni, nella loro completezza, non sono visibili che da centinaia di metri d’ altezza. Poi venne il giorno in cui qualcuno vi attirò l’attenzione ed i rappresentanti più intraprendenti dello studio del passato si mossero.

Primo fu, nel 1939, il professor Paul Kosok,dell ‘Università di Long Island (USA), assieme al suo assistente John Arward, a studiare sistematicamente le tracce. Poi, verso il 1949 fu l ‘archeologa Maria Reiche, dell’ Universaità di Amburgo, ad occuparsene, pubblicando anche un libricino illustrato, finchè il servizio fotografico del Ministero dell’ Aria peruviano decise di effettuare rilievi precisi dei disegni.

Suggestive illustrazioni furono presentate in seguito, e fra queste va ricordata la ricchissima documentazione raccolta dagli italiani Adriano e Damiano Zecca. Per chi vuole fare una capatina in quella che è una delle più appassionanti ed enigmatiche zone archeologiche del mondo, l’ impresa è, da pochi anni, un po’ meno complicata. Sul posto è stato costruito un albergo, con una torre alta una decina di metri, che consente la visione di due disegni vicini. Occorre però noleggiare un Piper e salire 200-300 metri per avere un panorama discreto e osservare in particolare un certo numero di tracciati, ma solo a 700-800 meri ci si può rendere conto (o quasi) di tutta la grandiosità dell’ opera.

Ecco la splendida descrizione dello studioso e scrittore francese Robert Charroux: “Nella Pampa Colorada hanno inizio le grandi linee (13 mila) che in tutte le direzioni, scalando o scendendo pendii, burroni e montagne si perdono all’ orizzonte, secondo un tracciato rigorosamente rettilineo. Nemmeno in aereo, da mille a duemila metri di quota si distingue, generalmente , la fine di queste linee.Tuttavia numerose linee mettono capo a “piste”, oppure, di rado, finiscono in un centro comune, dal quale si dipartono come i raggi di una ruota o i raggi del sole. Si vedono migliaia e migliaia di linee di diversa lunghezza, tracciate in ogni possibile direzione, da nord a sud, da est ad ovest e verso tutti gli altri punti della rosa dei venti. Esistono linee particolarmente lunghe e piste di larghezza differente, da tre a cento metri ed oltre. Tutto è impeccabile, tirato a filo, perfettamente triangolare o rettangolare e anche se si distingue qualche raro arrotondamento, esso è tracciato con straordinaria maestria, da cui emerge come il disordine non sia che apparente. Ci è incomprensibile, certo, ma per cervelli diversamente condizionati dai nostri deve avere una spiegazione, una logica.

I tracciati di Nazca sono opera di un popolo notevolmente civile, provvisto di uno spirito geometrico eccezionale, un popolo molto antico, anteriore a quello degli Incas, probabilmente della stessa razza dei costruttori della Porta del Sole in Bolivia e degli osservatori astronomici dell’ America precolombiana”.

Lasciate le piste, eccoci ai “grabados”, gli strabilianti disegni del deserto di Nazca. Ne sono stati contati sino ad oggi 788, con oltre 100 spirali. Le figure che, in particolare, vengono mostrate dall’ aereo ai turisti sono quelle del ragno, la cui struttura fa pensare ad un aracnide preistorico, della scimmia lunga un centinaio di metri, con un’ enorme coda arrotolata a spirale, di un condor ad ali spiegate (180 metri) e di un uccello in cui alcuni vedono la gigantografia di un colibrì: il suo becco misura 100 metri.

Ma accanto a queste rappresentazioni, indubbiamente affascinanti, esiste una quantità di altri bellissimi e talvolta stranissimi disegni: cani, gatti, lama, uccelli, pesci, sauri, serpenti con più teste, animali sconosciuti, oggetti ignoti dalle forme indescrivibili. Di certo si sa ben poco sulla data in cui i disegni possono essere stati tracciati: un test al carbonio14 ha dato un’ età di circa 1500 anni. L’ archeologo americano Gerald Hawkins sostiene che la civiltà di Nazca dovrebbe essersi sviluppata tra il 300 a.C. e l’ 800 d.C. Date le particolarità di alcune figure, si potrebbe pensare anche ad un’ epoca ancora più remota. Ma se la datazione è certa, non si può che formulare l’ ipotesi di ricordi trasmessi attraverso innumerevoli generazioni.

I disegni di Nazca non sono gli unici ad essere osservabili solo dall’alto: ne troviamo un po’ in tutto il mondo. Ancora in Perù, nella Pampa di Villacuri, circa 30-40 chilometri a sud-est di Pisco, si vedono figure rappresentanti un uomo, un lama e un condor. Appartengono ad un altro stile e quindi non alla cultura di Nazca. E’ impossibile esaminarle da vicino perchè non esistono nè strade nè piste. Ma si tratta poi di un lama? La lunga coda fa pensare piuttosto ad uno strano animale, mentre la stilizzazione del condor induce ad altre ipotesi circa la natura del volatile.

Nel deserto di Atacama, che si estende lungo la costa cilena per circa 600 chilometri, viveva un tenpo una popolazione dispersa nei luoghi dove una polla d’ acqua le dava modo di sostenersi miseramente. E’ dovuto a queste genti il disegno detto del “curaca” (stregone o sovrano), che, lungo circa 120 metri, è visibile solo dall’alto. Si tratta della rozza sagoma di un uomo con il corpo sormontato da una specie di corona con tre denti o tre piume. Dalle tempie e dalle guance si dipartono otto grandi linee parallele simboleggianti senza dubbio la sua origine sacra, solare. Nella mano destra tiene qualcosa che potrebbe essere una fionda, nella sinistra un’ ascia.

Un’ altra figura, tracciata nel Cerro Unitas, alta pure 120 metri, sembra rappresentare un gigante con una tromba (o qualcos’ altro che, allungato, si diparte dal suo viso) e una piccola creatura che si aggrappa al braccio. E’ stata denominata appunto ” il gigante con la tromba”, ma c’ è chi per la sua struttura rigidamente geometrica, per le mani simili a tenaglie, per le incomprensibili sporgenze al capo, al bacino e alle ginocchia, lo ha ribattezzato “il robot gigante”. Sempre nel Cerro Unitas, sul versante occidentale, si scorge un gigante simile al “curaca” di Atacama: la sua destra è tesa in direzione del Perù, la sinistrta impugna un bastone o un’ ascia. Accanto gli sta un animale che potrebbe essere un sauro, una lucertola o un’ iguana. Numerosi altri disegni di proporzioni notevolissime sono visibili in Cile, mentre in California è incisa nel deserto, presso Blythe, una figura umana dal torso stranamente rettangolare, dagli arti lunghi e sottili.

Spirali identiche a quelle di Nazca sono state rinvenute un po’ ovunque nell’ America nordoccidentale e altre sono state scoperte in Siberia dall’ ingegnere e pilota tedesco August Steinmann.

Ma torniamo in Perù, con un’ altra straordinaria incisione. A strapiombo sull’ oceano, a sud di Lima, pressappoco alla latitudine di Cuzco, esiste un enorme disegno sulla roccia, una specie di tridente o candeliere alto circa 250 metri, visibile solo dal mare, da 20 chilometri di distanza. E’ così che lo si chiama, per la forma dei suoi bracci, “tridente” o “candeliere delle ande”, benchè per le croci rappresentate dalle sue estremità superiori gli spagnoli lo avessero denominato “segno miracoloso del crocifisso” vedendovi un simbolo dell’ approvazione divina alla loro conquista.

Da chi, in che modo e perchè queste straordinarie incisioni sono state eseguite resta un mistero, anche se sono state tentate varie interpretazioni che vanno dalla religione all’ astronomia, all’intervento di esploratori extraterrestri. August Steinmann affaccia l ‘ipotesi che gli autori di queste opere si siano serviti di rudimentali alianti, mentre altri si orientano verso gli aerostati.

La domanda più appassionante che si pone l’archeologia a proposito di Nazca concerne, ovviamente gli scopi per cui furono tracciati gli enormi disegni.
Alcuni studiosi li vogliono specie di ex voto o di suppliche rivolte alle divinità per una buona caccia, un buon raccolto, com’ è il caso di parecchie incisioni preistoriche, ma l’ ipotesi non è sostenibile: chi si sognerebbe, infatti, bottini di ragni, di lucertoloni, di scimmie e ricche coltivazioni di strane margherite? Un ragionamento analogo vale anche per chi parla di raffigurazioni di divinità. Perchè poi i disegni sarebbero stati fatti in un luogo che è sempre stato deserto? Come avrebbero potuto ammirarlo i fedeli, se dal basso non si scorgono che vaghe linee terminanti chissa dove?

E, infine, a che cosa sarebbero servite le piste?

C’ è chi opta per l’ astronomia, dicendoci che gli ignoti autori avrebbero rappresentato con simboli diversi dai nostri, pianeti, stelle, costellazioni. La dottoressa Maria Reiche, scomparsa poco tempo fa, la quale ha dedicato praticamente tutta la vita ai disegni di Nazca, ha avanzato l’ ipotesi che il complesso sia un giganteco calendario astronomico in cui ogni segno corrisponderebbe ad una sequenza, sia un solstizio sia il tempo delle piogge, della semina, del raccolto e così via.

Un altro studioso delle linee e dei disegni , padre Alberto Rossel Castro, ritiene che la grandiosa opera vada divisa e classificata in quattro gruppi principali: 1) linee costituenti un progetto sia d’ irrigazione sia di spartizione agraria; 2) “apachitas” o tumuli: il vocabolo “tumulo” sta a significare, in archeologia, un ammucchiamento di massi, in genere posto su una tomba. Qui sotto non si trovano però ossa umane: soltanto uno cela lo scheletro di un “vizcacha”, un roditore americano che potrebbe essere stato sacrificato al dio del Cerro Blanco; 3) stilizzazione di arti tessili e coreografiche, simboleggiante le danze eseguite al tempo del raccolto con gli abiti portati in questa occasione da uomini e donne; 4) parte di un antichissimo osservatorio astronomico.

L’ archeologo peruviano dottor Toribio Mejia Xesspe propende per strade e indicazioni di carattere religioso congiungenti vari luoghi sacri, mentre il dottor Manasses Fernandez Lancho, medico e docente universitario, considera l’ opera come un compendio del pensiero filosofico e cosmico dei suoi autori. Il professor Josuè Saul Lancho Rojas riassume così il suo pensiero sugli autori dei disegni:” I Nazcas, con i loro criteri comunistici, materialisti e dialettici, tracciarono, duemila anni prima di Darwin, il panorama generale dell’ evoluzione della specie, dai protozoi all’ uomo. Là, nella pampa, giace la dimensione materializzata che vince il tempo e lo spazio. La cosa più sorprendente è che le figure suggeriscono l’ anello possibile tra una specie e l’ altra. Tutti i disegni sono stati eseguiti partendo dalla linea del solstizio, con il Sole come il centro del tratto che va dalle Ande al mare, dal quale emergono tutte le specie conosciute sulla terra. E tutte le specie appaiono unite da un cordone ombelicale che rappresenta l’ energia solare.

L’ autore delle linee, nel suo semplice stile personale, ritiene che la volta celeste sia stata la casa degli dei. Là viveva il Sole, il dio onnipotente che stabiliva i cicli della vita e della morte, con la Luna, causa di stupore e di paura con le sue fasi e le sue eclissi, le stelle, le costellazioni piacevoli da ammirare, capaci di consigliare quando necessario. E là vivevano anche le comete, con le loro code splendenti, le nuvole che offrivano la pioggia, i venti, i tuoni ed i fulmini. Tutti gli dei vivevano lassù ed era proprio lassù il luogo a cui si levavano le preghiere, le offerte ed i sacrifici. Questo meraviglioso mondo della pampa potrebbe essere stato un santuario dove i Nazcas avevano disegnato tutti gli esseri del loro mondo, come per offrirli agli dei. Le figure avevano proporzioni gigantesche per essere visti dalle divinità celesti: il fatto che la gente, qui sulla Terra, non potesse vederle, non importava”.

L’ archeologo Guillermo Illescas Cook propende, come altri suoi colleghi, per raffigurazioni astronomiche e porta a dimostrazione alcuni disegni che potrebbero mostrarci le costellazioni rese con figure diverse da quelle adottate nel mondo mediterraneo ed ancora oggi definite con i nomi di un tempo. E le immagini sulle ceramiche (in molti casi corrispondenti a quelle del deserto) ne fornirebbero una conferma.

Non mancano, poi, le ipotesi “spaziali”, secondo le quali le linee, le piste ed i disegni di Nazca sarebbero stati segnali di un vero e proprio cosmodromo extraterrestre. Questo filone è stato sfruttato da scrittori “di frontiera” che hanno imbastito tante e tali storie sui turisti cosmici da far rizzare i capelli a tutte le persone di buon senso. Non dobbiamo tuttavia neppure dimenticare che gli enigmi cui ci troviamo dinnanzi sono spesso inquitenti e sembrano aprire la strada a deduzioni fantastiche.

Tutto sta a vedere fino a qual punto sono davvero puramente fantastiche, senza lasciarci suggestionare nè dai dogmi dei conservatori ad oltranza, nè dai vaneggiamenti dei cultori di ET. Le nostre sonde vagabondano nel sistema solare ed oltre. Negare a priori che altri, in passato, abbiano compiuto imprese che l’ uomo compie oggi è tanto assurdo quanto sostenere che gli sbarchi di marziani e venusiani hanno tuttora luogo o che noi siamo gli eredi diretti dei
cosmonauti di Proxima Centauri, di Sirio, di Altair o di chissà dove.

Nell’ introduzione del suo lavoro su Nazca, parlando del Perù, Maria Reiche nota, giustamente:” Si sa degli incas, dell’ ultima dinastia dominante che, fino a poco prima dell’ invasione spagnola, aveva sottoposto a tributi il paese intero, dalle montagne alla costa. Ma la dominazione incaica fu soltanto l’ ultimo stadio di un lungo sviluppo culturale, i cui inizi risalgono al secondo millennio prima della nostra era. Non tutto è stato esplorato e non è stata detta l’ ultima parola sugli uomini che molto tempo fa hanno popolato il paese più fittamente di adesso.

Ogni anno vengono alla luce nuove conoscenze, vengono scoperte sconosciute città preistoriche, fatti nuovi scavi. Ma tutto ciò infittisce ancora di più il mistero. E’ possibile sì, distinguere nuovi periodi, classificare secondo concentrazioni locali i vari elementi culturali, ma si vorrebbe sapere molto di più. Si vorrebbe sapere perchè certi motivi delle incisioni e del vasellame si ritrovano in tutto il continente, fino all’ America Centrale. Si suppone che sia esistita una scrittura e si dispone in proposito di numerosi indizi. Un giorno, tutto quanto si sa oggi verrà fuso con le conoscenze di un prossimo futuro in una sintesi grandiosa e si avrà una chiara immagine del passato di questo grande paese”.

E’ quello che tutti noi speriamo. intanto, però, come sottolinea Maria Reiche, gli enigmi si aggiungono agli enigmi. Le leggende e le tradizioni incaiche e preincaiche si mescolano, si confondono: ognuna di esse ha senza dubbio un fondo di verità, ma come conciliare le innumerevoli piccole tessere disposte in mosaici diversi, come giungere a ricostruire quello originale?

Nazca ci pone il problema in un modo tanto affascinante quanto estremamente enigmatico.

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