Le tavolette di Tartaria: la scrittura più antica del mondo? Pare proprio di sì. Siamo di fronte a qualcosa di sensazionale che riscrive – scusate il gioco di parole – la storia della scrittura. Fino a poco tempo fa si pensava che il sistema più antico di scrittura fosse quello di Sumer, poi i reperti trovati nell’Alto Egitto dal professor Günter Dreyer hanno dimostrato che ancor prima ne esisteva uno egizio. Ma anche questa teoria adesso è sorpassata, dopo che le nuove analisi hanno rivalutato l’importanza delle tavolette di Tartaria.
Ora il primato spetta alla Vecchia Europa, vale a dire alla cultura del Danubio. Le tavolette furono scoperte già nel 1961 in Romania, appunto nel sito di Tartaria (Turda), in Transilvania, nella valle del Mures. Ma le prime analisi al carbonio 14, eseguite negli anni Sessanta, le datarono nel III millennio e sembrò quindi che fossero più “giovani” dei reperti con scrittura sumera. Inoltre la somiglianza di alcuni segni tracciati sulle tavolette di Tartaria con alcuni simboli della fase pittografica (e quindi più antica) del sistema sumero portò gli studiosi a postulare una parentela fra le due scritture.
Alcuni archeologi ipotizzarono che della gente della Mesopotamia si fosse recata nell’area danubiana in cerca di giacimenti metalliferi.
Sappiamo, infatti, che proprio in questa zona della Transilvania sono state scoperte le tracce più antiche di lavorazione del rame (VI millennio a.C.). Così le due culture lontane e differenti sarebbero entrate in contatto.
I Sumeri avrebbero esportato il loro sistema arcaico pittografico nella Vecchia Europa. Questa la tesi di allora, che però iniziò a vacillare quando non si riuscirono a decifrare le tavolette di Tartaria servendosi dei pittogrammi sumeri. Oggi l’evidenza ha messo sottosopra la teoria del passato. Il primato passa alle tavolette di Tartaria che, a quanto pare, sono il risultato di uno sviluppo molto più antico e del tutto indipendente da quello sumero.
Le ultime analisi al C 14 eseguite all’inizio del 2000 e calibrate con l’ausilio della dendrocronologia hanno dimostrato che le tavolette di Tartaria risalgono a un periodo che si estende dal 5370 al 5140 a.C.. Sono più vecchie del sistema di scrittura sumero di circa 2000 anni.
Molto interessante è poi il fatto che le tavolette danubiane siano state trovate in una fossa funeraria tutta particolare, insieme con altri oggetti e con dei resti di ossa carbonizzate.
Particolare perché? Perché le ossa appartenevano a una donna di circa 50 anni che soffriva di artrite e però, come ipotizza Haarmann, doveva essere una persona molto influente della comunità agricola, probabilmente una sciamana. Le tavolette farebbero parte, quindi, di un suo corredo magico-religioso e potrebbero contenere delle formule sacre. Ancora una volta viene confermata l’importanza della donna nella società della Vecchia Europa.
– Segni di scrittura dappertutto, dalle statuette sacre al vasellame di uso quotidiano
Ma non dobbiamo certo pensare che le uniche tracce del sistema di scrittura del Danubio siano quelle impresse sulle tavolette di Tartaria. Ciò non basterebbe a conferire a tali simboli un valore linguistico. I segni tracciati sui reperti di terracotta trovati n Transilvania non sono un fenomeno isolato. Appaiono su gran parte dell’oggettistica della cultura Vinca: statuette, vasi, boccali, ciotole, modellini di altari, altri utensili di uso domestico. A chi replica che potrebbero essere semplici ornamenti privi di significato, il linguista Harald Haarmann risponde con un’obiezione categorica:
“Il modo in cui sono state applicate le iscrizioni sulle statuette si differenzia chiaramente dall’ordine delle decorazioni o dei motivi ornamentali. La decorazione ornamentale è caratterizzata da una rigida simmetria, mentre la collocazione di segni di scrittura che esprimano parole non soggiace a nessun principio di simmetria, la sequenza dei segni si orienta in base al contenuto dell’informazione e non alle norme estetiche di motivi ornamentali.”(Geschichte der Sintflut, pagg. 95-96)
Tant’è vero che quattro anni fa il professor Haarmann ha scritto anche un saggio sull’introduzione alla scrittura della cultura danubiana la quale, a suo avviso, presenta due categorie ben evidenti di segni: simboli di carattere pittografico e simboli astratti. Quelli di carattere pittografico raffigurano oggetti animati e inanimati legati alla vita quotidiana della comunità, come parti del corpo umano e animale, piante, utensili, strutture architettoniche, elementi della natura come acqua o sole. I simboli astratti, che costituiscono anche la maggior parte dei segni di scrittura danubiani, si basano in prevalenza sui segni a “v” che sono soggetti a variazioni per mezzo di strisce e punti.
I simboli non sono pochi: stiamo parlando di un sistema di scrittura con più di 230 segni.
Inoltre più di 1500 iscrizioni sono state identificate sui numerosi reperti della Vecchia Europa. È interessante il fatto che alcuni tipi di segno sembrino corrispondere a una collocazione particolare su certi tipi di oggetti: per esempio, i simboli con una certa forma appaiono sempre e soltanto sul fondo di contenitori, altri invece sul bordo degli stessi, altri ancora si trovano esclusivamente sulle statuette femminili.
Dunque il materiale di studio non manca. Il problema principale riguardo alla decrittazione e alla trascrizione di questo sistema di scrittura, è che fino a oggi non si abbiano a disposizione delle iscrizioni bilingue, di modo da poter fare un raffronto tra i caratteri della Vecchia Europa e quelli di un idioma differente, procedendo quindi alla traduzione dei simboli in questione.
Interessante è il fatto che, a differenza della cultura sumera, in cui inizialmente la scrittura fu usata soprattutto per scopi burocratici (ad esempio per compilare liste di merci oppure contrassegnare otri di vino), i segni della cultura danubiana sono impressi esclusivamente su oggettistica sacra. Si tratta, quindi, di simboli sacri. D’altra parte non è da escludersi che anche nelle culture orientali, come la sumera, ci sia stato un primo stadio di scrittura a scopo religioso e che soltanto più tardi i segni siano stati adoperati per uso pratico. Non è detto che l’esigenza di scrivere sia nata per forza da necessità quotidiane, potrebbe invece essere stata legata originariamente al culto. Il fatto che molti studiosi si mostrino restii a considerare uno scenario del genere, non può che ostacolare la decifrazione di eventuali primi stadi di scrittura ancora sconosciuti.
Torniamo alla Vecchia Europa. Facendo un raffronto con altre antiche culture, salta subito all’occhio dell’esperto la somiglianza fra il sistema di scrittura del Danubio e quello della valle dell’Indo. Il più antico dei due è, ovviamente, il sistema della Vecchia Europa, i cui caratteri appaiono sulle tavolette di Tartaria già all’alba del VI millennio e poi su numerosi oggetti della cultura Vinca risalenti alla metà del V. Mentre lo sviluppo della scrittura presso le culture di Harappa e Mohenjo Daro è stato datato, in base agli studi più recenti, nel IV millennio a. C. Però questa somiglianza e il fatto che entrambe le culture si siano sviluppate probabilmente su base ecumenica e non su di una struttura a gerarchica con la presenza di differenti strati sociali e tutto ciò che questi comportano, infittisce il mistero.
Ma fino a quando fu scritta questa lingua sconosciuta del Danubio? Fino a quando fu parlata? Da un’analisi che mette a confronto gli elementi linguistici appartenenti alle lingue protoindoeuropee e quelli derivati dalla lingua della Vecchia Europa che trovarono accesso nel vocabolario indoeuropeo, nonché dall’analisi dei reperti danubiani che riportano segni di scrittura, possiamo dedurre una datazione approssimativa della durata della scrittura (e lingua) della Vecchia Europa. Nella regione centrale dei Balcani fu usata sino al tardo periodo del rame, vale a dire sino al 4400-4000 a. C., mentre nella Grecia settentrionale sopravvisse fino al 3200 a. C. e nella cultura di Tripolye (Romania/Ucraina) fino al III millennio a. C..
D’altra parte sappiamo che le culture della Vecchia Europa subirono un duro colpo in seguito all’impatto con le tribù protoindoeuropee giunte delle steppe euroasiatiche. Diversi elementi lo provano: tracce evidenti di abbandono improvviso di ampi centri abitati e ben funzionanti della cultura danubiana – come l’avanzato sito di Tripolye in Ucraina – distrutti da incendio; una veloce trasformazione della struttura sociale preesistente da matrifocale a patriarcale con evidenti indizi di cambiamento repentino nelle pratiche funerarie e della nuova stratificazione linguistica, laddove i dialetti indoeuropei sostituirono poco a poco quelli della Vecchia Europa.
ESODO DALLA VECCHIA EUROPA E RITORNO ALLE ISOLE GRECHE
Questa situazione, secondo il professor Haarmann, portò alla migrazione delle genti della Vecchia Europa in altri territori, in cerca di nuovi spazi in cui poter vivere secondo le tradizioni dei loro padri. Non stiamo parlando di intere popolazioni, ovviamente, ma di alcuni clan che si rifiutarono di accettare la religione e il modus vivendi dei nuovi arrivati e preferirono andarsene, emigrando verso il meridione. Perché proprio il meridione? Perché da lì erano venuti i loro antenati che, partendo dall’Anatolia nell’VIII millennio a. C., si erano poi stabiliti in Tessaglia, dove sono stati trovati molti reperti che recano le loro tracce, prima di continuare il lungo viaggio raggiungendo i Balcani e la costa del Mar Nero.
Le genti che decisero di abbandonare la valle del Danubio dopo l’arrivo dei Protoindoeuropei, si trasferirono nelle isole dell’Egeo. Infatti proprio qui, nella cultura preistorica delle isole Cicladi e di Creta, si trovano elementi della cultura danubiana risalenti al IV millennio a. C., quindi ad un periodo che corrisponde alla seconda migrazione protoindoeuropea dalle steppe asiatiche ai territori del Danubio. Le tracce di tale transfer di usi e costumi sono molte.
A partire dal culto incentrato intorno a una divinità femminile, all’uso di maschere rituali (spesso a forma di uccello), ai simboli sacri dell’uccello e del serpente (ricordiamo le donne-uccello e serpente della cultura danubiana), ai motivi ornamentali di spirali, meandri, doppie asce, all’immagine della dea con il bambino in grembo, al culto dei tori e agli ornamenti sacri con bucranio, alla tradizione di celebrare i riti religiosi in cortili aperti su piattaforme di culto, sino a una particolare tecnologia molto sofisticata della tessitura e della ceramica. E, soprattutto, la traccia principe: il passaggio di molti vocaboli della Vecchia Europa nel vocabolario indoeuropeo del greco antico.
Harald Haarmann ipotizza ormai da anni una parentela fra la scrittura dell’Egeo e quella del Danubio. Il professore scrive:
“Le testimonianze più antiche dell’uso della scrittura cretese Lineare A giungono da un periodo intorno al 2500 a. C. (…)La tradizione di scrittura della Creta antica ha tratto ispirazione dalla Vecchia Europa non soltanto per quanto riguarda un trasferimento di idee, ma anche per quanto concerne le chiare convergenze fra i due sistemi, le tecniche usate dai due sistemi (linearità, uso dei segni diacritici, ecc.) e il patrimonio di segni adottati. Il sistema Lineare A è costituito da circa 120 segni e più della metà di questi presenta paralleli grafici con i simboli della Vecchia Europa.”(Haarmann, “Das Rätsel der Donauzivilisation”, pag. 245)
Dunque la scrittura delle tavolette di Tartaria non è scomparsa senza lasciare traccia. E nemmeno la lingua della Vecchia Europa. Ancora oggi, nelle nostre lingue derivate da dialetti indoeuropei, vi sono numerosi vocaboli tratti dal quel mondo agricolo ed ecumenico. Anzi, sembrerebbe proprio che la cultura del Danubio abbia apportato l’impulso decisivo alla nascita dello sviluppo culturale che ebbe luogo in epoca preistorica nell’Europa meridionale e nell’Egeo, preparando così il terreno alla formazione del periodo classico dell’Antica Grecia.
Sabina Marineo