Tre volte leda, tre volte Cigno

Tre volte leda, tre volte Cigno

Michele Proclamato Leda e il CignoQuando scrissi di Leonardo, alcuni anni fa, (Il Genio Sonico – Melchisedek Edizioni) sapevo che il conto con “Lui” era, e sarebbe rimasto, aperto. E puntualmente, direi ciclicamente, si è riproposta la possibilità di aggiungere qualcosa a quanto avevo già scritto, utile a rendere il suo operato più cristallino, almeno per me. Ora, credo sia giunto il momento di condividere alcune mie ulteriori osservazioni riguardanti un’opera piuttosto controversa del Genio, che per troppo tempo mi ha tenuto prigioniero del mio stesso indagare. Mi riferisco alla ”Leda e il Cigno”, un’opera che mi ha sempre suscitato una specie di attrazione-repulsione, dettata soprattutto dalla chiara percezione, non convalidata, della presenza di un sostanziale significato esoterico, che a mio avviso non mai è mancato nelle opere di Leonardo.

In questi anni ho continuato ad esaminare il dipinto centinaia di volte fino a quando, pochi mesi orsono, mi sono reso conto di come parte del suo messaggio sia essenzialmente riposto in una “strategia” pittorica perfettamente consona al lavoro “sotterraneo” del Maestro. Ho utilizzato la parola “parte” perché, essenzialmente, il significato nascosto dell’opera stessa è, a tutti gli effetti, suddivisibile in due parti ben distinte, in grado di compenetrarsi perfettamente giustificandosi entrambe. La prima fu brillantemente affrontata e risolta, nel numero 20 della rivista “Misteri di Hera”, anno 2007, titolo: “Arte e Alchimia”, nel capitolo dedicato al simbolismo del Cigno, inserito nel mito della Leda e il Cigno. Da allora, ho ritenuto che un ulteriore passo avanti su quella falsariga fosse possibile e doveroso per meglio capire chi fosse e quanto conoscesse davvero il grande Maestro.

Ho utilizzato la parola strategia, perché essenzialmente la stessa, una volta individuata, ha rappresentato il cuore descrittivo del Genio Sonico. Ma procediamo per gradi.

Prima di passare a qualsiasi descrizione, bisogna doverosamente dire che l’originale del dipinto in questione diede cenni della sua presenza fino al seicento, poi, più nulla. Oggi possediamo solo delle copie, ben nove, eseguite da alcuni studenti appartenenti alla scuola di pittura fondata dallo stesso Leonardo a Milano e non solo. Ho scelto, fra queste, la copia presente nella Galleria degli Uffizi, quasi univocamente attribuita a Francesco Melzi, la cui datazione è inseribile fra il 1505 e il 1507. L’ho fatto per motivi prettamente numerici, cosa che in questo momento preferisco non giustificare. Detto ciò, credo sia necessario un ultimo brevissimo excursus riguardante la struttura mitologica che ha ispirato l’opera: in breve, Zeus si innamorò per l’ennesima volta di una donna bellissima (aveva spesso di questi problemi), che per l’ennesima volta lo rifiutò. Decise quindi di trasformarsi in un Cigno per sedurre la moglie di Tindaro, re di Sparta, che, secondo la leggenda, partorì due uova contenenti rispettivamente i Dioscuri Castore e Polluce e due magnifiche bambine destinate anche loro ad arricchire le cronache mitologiche: Elena e Clitennestra.

Alcune varianti del mito attribuiscono solo a due dei quattro figli della Leda la paternità di Zeus, riconoscendo a Tindaro la paternità mortale dei restanti, ma si tratta di un’interpretazione secondaria. Senza voler scendere poi nel significato alchemico dei Dioscuri, coinvolti nella ricerca del Vello d’Oro, che consegna all’opera un ulteriore valore simbolico non secondario, passerei ora a spiegare che cosa, secondo me, l’opera nasconde, un, che cosa, direttamente collegato ad un “vizio”, descritto molto dettagliatamente dal primo biografo di Leonardo: il Vasari. Egli, infatti, con una certa dose di ironia compiaciuta, parlando del Maestro, fece notare che, spesso, molto spesso, si “gingillava” con l’uso, definito eccessivo, degli Sghiribizzi.

Voi direte: “E cosa sono questi Sghiribizzi?”

Vi posso rispondere dicendo che, con questo termine, venivano individuati i Nodi di Leonardo e dovrei aggiungere che i Nodi di Leonardo sono essenzialmente un metodo decorativo tutto vinciano, con cui il Maestro, frequentemente, arricchiva le sue opere pittoriche e non solo. Non sono una sua invenzione, chiaramente, ma nelle sue mani acquisirono una tale dignità decorativa, da rappresentare veri modelli simbolici in grado di ispirare mode e modi di dipingere. Ebbene, a tutt’oggi l’uso quasi abnorme di questo suo vezzo, rimane uno pseudo-mistero, per gli esperti ufficiali. A mio avviso, semplicemente perché nessuno, come feci io pochi anni fa, si è preso mai la briga di rimanere con il naso all’insù per alcuni minuti, osservando il centro del soffitto da “Lui” affrescato – con l’aiuto dei suoi studenti – della Sala delle Asse del Castello Sforzesco a Milano. In tal caso, chiunque avrebbe potuto individuare, intorno al biscione sforzesco, una ghiera di otto, 32 per l’esattezza, dai quali dipartono ciò che il Vasari avrebbe definito Sghiribizzi.

Li possiamo vedere nell’immagine.

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I Nodi sono quindi una modalità simbolica con la quale parlare dell’Otto e del sapere da esso custodito e poiché, come ormai saprete, penso di intendermi discretamente della materia, non ebbi nessuna difficoltà a rintracciarli in quasi tutte le opere Vinciane, fino a vederli trionfare nelle sue incisioni.

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Ho detto quasi, perché in alcune sue opere sembrava che la simbologia del Nodo-ottava, (oserei coniare) sembrava non essere contemplata.

Questo è il motivo per cui, con una tenacia instancabile, non ho mai smesso di osservare la Leda.

Tenacia dettata dalla palese sinuosità rievocativa del collo dell’immortale Cigno, capace di descrivere in modo sfrontato, con il resto del suo corpo, una concreta assonanza simbolica con l’Otto, che ho evidenziato in verde nell’immagine. A questo punto, stabilita tale presenza simbolica nella figura di Zeus, mi riusciva difficile credere di non poterla ritrovare anche nella Leda, quindi ho continuato la mia ricerca, cosa che ha richiesto davvero molto tempo.

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In questo caso, per comprendere appieno la presenza dell’otto, credo che prima sia necessario osservare con attenzione l’innaturale torsione della Leda, resa ancora più accentuata dall’accoppiata ginocchio destro (per chi osserva) spalla sinistra, ginocchio sinistro, spalla destra. Dopo di che, seguendo i chiaro-scuri del genio, ho ottenuto l’immagine successiva:

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Immagine dalla quale si evince l’ennesimo Nodo, unito attraverso le braccia della Leda al divino Cigno.

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Se anche voi, come me, sarete in grado di riconoscere la presenza di 3 Otto nel dipinto, allora potrete condividere con il sottoscritto, tutto ciò che ho scribacchiato sulle TRE OTTAVE e sul loro potere creante.

A questo punto sarà possibile utilizzare tutto il quadro, nel quale appaiono 3 coppie di esseri, a giustificare la sud-detta asserzione. Dedotto ciò sarà necessario lo sforzo finale. Numericamente, e questo è il motivo per cui ho scelto la copia del Melzi, ci troveremmo di fronte ad una struttura numerica molto semplice e riassumibile con un intervallo di 32, suffragata dai 32 OTTO presenti nella Sala delle Asse.

Se a questo si aggiunge che l’intervallo 32 o 23, (intervallo di quinta) di Pitagorica memoria, è una sintesi costruttiva di tutto il TEMPIO di RE SALOMONE, come ho descritto in un articolo apparso pochi mesi fa: Lo Scienziato del Tempio, avrete una summa del vero sapere Vinciano. Quindi, partendo dai Rosa+Croce ed andando a ritroso, non vi resta che ri-scoprire la vera appartenenza conoscitiva del Da Vinci.

Un piccolo aiuto: tanto aveva a che fare con il Verde ed altrettanto con l’Amore.

Michele Proclamato