Godman, l’universo olografico parte III – un universo digitale?

Godman, l’universo olografico parte III – un universo digitale?

Godman, l’universo olografico, parte III – di Alessandro De Angelis e Michele Nardelli

Institut d’Optique Théorique et Appliquée (IOTA), Parigi, 1982. Il fisico francese Alain Aspect, a capo dell’équipe di ricerca dell’università di Parigi, conduce per la prima volta un esperimento senza precedenti. Insieme a due ricercatori dell’Istituto di Ottica dell’università di Parigi – Jean Dalibard e Gérard Roger -, Aspect riesce a verificare il decadimento di alcuni atomi di calcio riscaldati con dei laser, producendo una serie di coppie di fotoni che procedono lungo una traiettoria rettilinea in direzioni opposte tra loro, indirizzandoli verso cristalli bifrangenti, che a loro volta li dirigono verso dei rilevatori di fotoni (degli analizzatori fotonici di polarità).

In tal modo Aspect scoprì che, in determinate condizioni, alcune particelle subatomiche – in questo caso fotoni – erano capaci di correlare il proprio angolo di polarizzazione con quello del loro “gemello” di coppia, instaurando una comunicazione “istantanea” superiore addirittura alla velocità della luce, al di là della distanza che li separava, fosse essa di pochi metri che di miliardi di chilometri.

Questa sorta di entanglement verificatasi tra le coppie di fotoni poteva, secondo Aspect, essere spiegata solamente in due modi: o la teoria di Einstein, che prevedeva l’impossibilità di stabilire comunicazioni superiori alla velocità della luce, era sbagliata; oppure le particelle subatomiche erano connesse non-localmente. Questo secondo fattore implicava che la materia ordinaria, composta da diversi tipi di particelle, costituiva una immensa rete ininterrotta, come ipotizzato da Bohm nella sua rielaborazione del paradosso di Einstein-Podolsky-Rosen (o paradosso EPR)

Grazie a questo esperimento, Aspect verificava sperimentalmente il fenomeno non locale dell’entanglement quantistico, prevedendo che ad un livello più profondo tutto fosse collegato da una matrice Spazio/Tempo a 4 dimensioni, caratterizzata da 2 DS (dimensioni spaziali) + 2 DT (dimensioni temporali), e quindi bidimensionale nello spazio e nel tempo.

Se questa ipotesi fosse corretta, il concetto di particella dovrebbe essere interpretato come uno stato di tensione dualistico di carattere informatico, che ha la capacità di elaborare, trasmettere e mantenere l’informazione. La chimica e la biologia dovrebbero quindi essere riviste come delle scienze che studiano il modo in cui le stringhe informatiche si aggregano tra loro per formare le strutture che compongono la materia. Se lo spazio fosse generato dall’informazione, ciò significherebbe che il nostro universo si sarebbe generato e auto-organizzato portando alla formazione di stelle, galassie e pianeti, fino alla formazione della vita, da poche stringhe d’informazione a partire dall’esplosione del Big Bang.

Questa nuova visione dell’universo, portò il direttore del Fermilab Center for Particle Astrophysics, Craig Hogan, a recarsi ad Hannover, in Belgio, dove si trovava Geo600, un rilevatore di onde gravitazionali lungo circa 600 metri, concepito per rilevare le increspature che dovrebbero crearsi nella struttura dello spazio-tempo quando esplodono le supernovae, attraverso delle onde di gravità. Hogan voleva rilevare con Geo600 il ribollire quantico dello schiuma dello spazio-tempo, non sapendo che Danzmann, il direttore del laboratorio, lo aveva già trovato.

Danzmann gli confermò il disturbo di un rumore di fondo di natura sconosciuta che la sua équipe non era riuscita ad eliminare, nonostante non fosse presente alcun tipo di interferenza. In questo momento è in fase di costruzione, da parte di Hogan, un interferometro olografico, una specie di “olometro”, in grado fornire ulteriori indizi della natura “digitale” dello spazio-tempo, grazie al rilevamento delle vibrazioni dello spazio stesso, che avvengono a una frequenza di un milione di Hertz per secondo.

Se tutto ciò sarà confermato ulteriormente, porterebbe a cambiare non nella sostanza, ma nel significato il concetto di relatività di Einstein, in quanto questa ipotesi scientifica – il tempo – non avrebbe più senso di esistere. Pertanto la famosa equazione E = mc2 dovrebbe essere reinterpretata con E (quantità di energia) = quantità di informazione in forma “naturale” e/o senza tensioni; m (massa) = quantità di informazione in forma “densa” e/o in tensione; c (velocità della luce) = coefficienti di trasformazione da etere in tensione a etere senza tensione.

La costante c, che rappresenta la velocità della luce, dovrebbe essere vista non più come quantità di energia contenuta in una determinata massa, ma come costante di trasformazione da “volume etere informatico denso di tensione” a “volume etere informatico senza tensione”, e questo porterebbe ad abbattere la velocità della luce come limite invalicabile per trasmettere informazione. Anche la forza di gravità potrebbe essere utilizzata per scambiare pacchetti d’informazione nell’universo, in maniera molto più efficiente rispetto alle onde elettromagnetiche.

Lasciamo ancora spazio al fisico Michele Nardelli per ulteriori approfondimenti sulla questione, ricordandovi che nel libro Godman, l’universo olografico, tutti gli argomenti sono spiegati e approfonditi in maniera illustrata e più comprensibile, nonostante l’apparente osticità della materia trattata.

– Universo olografico e buchi neri

Riguardo alla tesi di un Universo inteso come una sorta di ologramma è utile soffermarci sugli studi condotti da alcuni teorici di stringa sui buchi neri. Essendo la teoria delle stringhe una buona candidata a teoria del tutto, quello che viene descritto per i buchi neri può essere benissimo usato per una maggiore comprensione dell’Universo olografico. Questo tenendo presente anche che l’opposto di ogni buco nero (praticamente un “buco bianco”) può benissimo rappresentare il “seme” di un nuovo universo nell’ambito di una teoria che concerne un multiverso ciclico.

Secondo la proposta del fisico teorico G. ‘t Hooft: lo spettro di particelle non finisce alla massa di Planck. Continua con masse indefinitamente grandi che prendono la forma di buchi neri. I buchi neri, come accade per le particelle ordinarie, possono assumere solo valori discreti di massa. Questi valori permessi diventano tuttavia talmente densi e fitti, al di sopra della massa di Planck, da costituire praticamente una banda sfumata. Secondo la congettura di ‘t Hooft, molto probabilmente lo spettro delle eccitazioni di stringa sfuma in quello dei buchi neri più o meno in corrispondenza della massa di Planck, ma senza una separazione netta.

Supponiamo adesso che il fotone sia una cordicella e “scuotiamolo” o “colpiamolo” con altre stringhe. Proprio come un piccolo elastico, il fotone comincerebbe a “vibrare”, “ruotare” ed “allungarsi”. Se gli si fornisce abbastanza energia, comincerà a somigliare ad un gigantesco “garbuglio”, un “gomitolo” di filo. In questo caso non si tratta di tremori quantistici, ma di tremori termici. Queste cordicelle aggrovigliate ed eccitate somigliano molto a buchi neri: questi, infatti, possono essere in realtà nient’altro che giganteschi gomitoli di spago (stringa) casualmente intrecciati.

La massa di una stringa lunga ed intricata può diminuire per azione della gravità e non risultare più proporzionale alla lunghezza, una volta che si tiene conto correttamente degli effetti gravitazionali. Il gigantesco gomitolo di corda può contrarsi in una sfera sempre più compatta: il gomitolo rimpicciolito avrebbe anche una massa più piccola di quella di partenza. Quindi, la massa ed il raggio del gomitolo cambiano, ma che ne è dell’entropia?

L’entropia è precisamente ciò che non varia. Se un sistema viene modificato lentamente, la sua energia può cambiare (in genere cambia), ma la sua entropia rimane esattamente la stessa. Questo teorema, basilare tanto in meccanica classica quanto in meccanica quantistica, si chiama teorema adiabatico.

Prendiamo un grosso garbuglio di stringhe e cominciamo con annullare la gravità. Senza gravità la stringa non somiglia ad un buco nero, ma ha un’entropia ed una massa. Ora aumentiamo lentamente l’intensità della forza di gravità. I vari segmenti di stringa iniziano ad attrarsi vicendevolmente, ed il gomitolo di stringa si comprime.

Continuiamo ad aumentare la gravità finchè la stringa diventa tanto compatta da formare un buco nero: la massa ed il raggio si sono ridotti, ma l’entropia è rimasta invariata. Contraendosi e trasformandosi in un buco nero il gomitolo di stringa cambia massa esattamente nel modo giusto, portando entropia e massa nella giusta relazione: l’entropia è proporzionale al quadrato della massa di un buco nero.

L’immagine dell’orizzonte degli eventi che emerge è quindi un groviglio di stringa appiattito sull’orizzonte della gravità. Ma le fluttuazioni quantiche fanno sì che alcune porzioni di stringa sporgano un poco, e questi pezzettini rappresentano gli atomi d’orizzonte. Un osservatore esterno vedrebbe pezzetti di stringa, ciascuno con le due estremità saldamente fissate all’orizzonte. Nel linguaggio della teoria delle stringhe, gli atomi d’orizzonte sono stringhe aperte (dotate di estremità) attaccate ad una sorta di membrana.

Questi pezzetti di stringa possono sganciarsi dall’orizzonte, e questo spiegherebbe l’irraggiamento e l’evaporazione di un buco nero. Quindi John Wheeler si sbagliava: i buchi neri sono ricoperti di peli, cioè caratteristiche osservabili come “gobbe” o altre irregolarità (in questo caso i pezzettini di stringa attaccati alla membrana).

Le stringhe fondamentali possono attraversarsi a vicenda. Quando le stringhe si toccano può anche accadere che, invece di attraversarsi, le due stringhe possono “ricombinarsi”. Quale delle due possibilità si verifica quando si incrociano le stringhe? A volte una, a volte l’altra. Le stringhe potrebbero attraversarsi il 90% dei casi, e ricombinarsi il rimanente 10%.

La probabilità di ricombinazione è detta costante di accoppiamento delle stringhe. Adesso concentriamoci su una piccola porzione di stringa sporgente dall’orizzonte di un buco nero. Il segmento di stringa è ritorto, e due pezzi stanno per incrociarsi: il 90% delle volte si attraverseranno senza che accada nulla, ma nel 10% dei casi la stringa si ricombina.

Quando questo accade, si verifica un fenomeno nuovo: si libera un piccolo anello di stringa. Quel pezzettino di stringa chiusa è una particella (un fotone, un gravitone, o una qualunque altra particella). Essendo all’esterno del buco nero, ha la possibilità di sfuggire; quando questo accade, il buco nero perde un po’ di energia. Ecco come la teoria delle stringhe spiega la radiazione di Hawking.

La parola brana è un’invenzione della teoria delle stringhe; tale termine deriva da membrana, parola di uso comune con cui si indica una superficie bidimensionale che si può deformare e stirare. Una D-brana (dove D sta per Dirichlet) non è una brana qualsiasi, ma ha una proprietà molto speciale, cioè il fatto che su di essa possono giacere le estremità delle stringhe fondamentali. Prendiamo il caso di una D0-brana.

La D significa che si tratta di una D-brana, lo zero significa che non ha dimensioni. Una D0-brana è quindi una particella su cui possono terminare le stringhe fondamentali. Le D1-brane sono spesso chiamate D-stringhe. Questo perché la D1-brana, essendo filiforme, è essa stessa una specie di stringa, anche se non deve essere confusa con le stringhe fondamentali. Tipicamente le D-stringhe sono molto più pesanti delle stringhe fondamentali. Esistono potenti simmetrie matematiche, chiamate dualità, che collegano le stringhe fondamentali alle D-stringhe. Queste dualità rivestono ruoli importanti in molti settori della matematica pura. Le D2-brane sono membrane simili a fogli di gomma, a parte il fatto che su di esse possono terminare le stringhe fondamentali.

Nel 1996 i due teorici di stringa Cumrun Vafa ed Andrew Strominger, combinando stringhe e D-brane riuscirono a costruire un buco nero estremale con un orizzonte degli eventi di grandi dimensioni ed inequivocabilmente classico. In quanto oggetto macroscopico classico, l’orizzonte avrebbe risentito in maniera trascurabile delle fluttuazioni quantistiche.

La teoria delle stringhe avrebbe fatto bene a trovare la quantità di informazione nascosta implicata dalla formula di Hawking, senza ambigui fattori o segni di proporzionalità. Il punto di partenza era un certo numero di D5-brane espanse in cinque delle sei direzioni compatte dello spazio. Immerse in queste D5-brane i due fisici avvolsero un gran numero di D1-brane attorno ad una delle direzioni compatte. Quindi aggiunsero stringhe con entrambe le estremità attaccate alle D-brane.

Ancora una volta, i pezzetti di stringa aperti rappresentavano gli atomi d’orizzonte che contengono l’entropia. Strominger a Vafa per prima cosa annullarono la gravità e le altre forze. Senza queste è possibile calcolare esattamente quanta entropia è immagazzinata nelle fluttuazioni delle stringhe aperte. Il passo successivo fu quello di risolvere le equazioni di campo di Einstein per questo tipo di buco nero estremale. Strominger e Vafa trovarono che l’area dell’orizzonte e l’entropia non erano semplicemente proporzionali: l’informazione nascosta nei fili guizzanti attaccati alle brane concordava esattamente con la formula di Hawking.

Gli altri due teorici di stringa Callan e Maldacena, riuscirono ad usare la teoria delle stringhe per calcolare il tasso di evaporazione dei buchi neri quasi estremali. La spiegazione fornita dalla teoria delle stringhe al processo di evaporazione è affascinante. Quando due increspature che si muovono in direzioni opposte si scontrano, formano una singola increspatura più grande. Una volta che questa si è formata, nulla le impedisce di staccarsi (ecco l’evaporazione in termini di stringhe).

Callan e Maldacena avevano calcolato in dettaglio il tasso di evaporazione ed il loro risultato era perfettamente in accordo con il metodo di Hawking. Ma c’era una differenza fondamentale: Callan e Maldacena avevano usato soltanto i metodi convenzionali della meccanica quantistica e, come è noto, la meccanica quantistica ha un elemento di aleatorietà intrinseca, ma proibisce la perdita di informazione.

Pertanto non vi era alcuna possibilità che si perdesse informazione durante il processo di evaporazione. L’entropia di un buco nero si poteva spiegare con l’informazione immagazzinata in increspature di stringhe: i buchi neri potevano essere visti come “contenitori” in grado di immagazzinare informazione recuperabile.

Lo spazio AdS (Anti de Sitter) è curvo e la curvatura è negativa. La famosa incisione di Escher Limite del cerchio IV è una “mappa” di uno spazio a curvatura negativa che mostra esattamente come apparirebbe una fetta bidimensionale di uno spazio AdS. Nell’incisione, le figure si alternano senza fine, sfumando in un bordo frattale infinito (anche qui, quindi, è presente il numero aureo Phi).

Ora aggiungiamo il tempo e mettiamo tutto insieme in una figura che rappresenta uno spazio anti de Sitter. Mettiamo il tempo lungo l’asse verticale. Ciascuna sezione orizzontale rappresenta lo spazio ordinario ad un particolare istante. L’Ads si può quindi pensare come un’infinita sequenza di sottili fettine di spazio che, impilate una sull’altra, formano un continuo spaziotemporale di forma cilindrica.

Immaginiamo adesso di zoomare su una regione prossima al bordo della figura in alto e di farne un ingrandimento tale da far apparire il bordo quasi rettilineo. Se semplifichiamo l’immagine sostituendo le figure scure con quadrati, l’immagine diventa una specie di reticolo fatto di quadrati sempre più piccoli man mano che ci si avvicina al bordo frattale infinito. Possiamo immaginare l’AdS come un “muro” infinito di mattoni quadrati: scendendo lungo il muro, ad ogni nuovo strato la larghezza dei mattoni raddoppia.

Nel 1997, il teorico delle stringhe Maldacena sostenne che due mondi matematici che sembrano del tutto diversi sono in realtà esattamente uguali. Uno ha quattro dimensioni spaziali ed una temporale (4 + 1), mentre l’altro è (3 + 1)-dimensionale, come il mondo a cui siamo abituati. Maldacena affermò che la QCD (cromodinamica quantistica, una teoria dei campi) piatta è “duale” ad un universo anti de Sitter (3 + 1)-dimensionale. Inoltre, in questo mondo tridimensionale materia ed energia esercitano forze gravitazionali: in altre parole, un mondo a (2 + 1) dimensioni che include la QCD ma non la gravità è equivalente ad un universo a (3 + 1) dimensioni con gravità.

Come può essere?

Tutto sta nella distorsione dello spazio anti de Sitter, che fa sembrare gli oggetti vicini al bordo più piccoli di quelli nelle regioni più interne dello spazio. Le descrizioni duali di Maldacena erano una realizzazione del principio olografico: tutto ciò che accade all’interno dello spazio anti de Sitter “è un ologramma, un’immagine della realtà codificata su una lontana superficie bidimensionale”. Un mondo tridimensionale con gravità è equivalente ad un ologramma quantistico situato sul bordo dello spazio stesso. Il fisico teorico Edward Witten collegò la scoperta di Maldacena al principio olografico scrivendo il suo articolo “spazi anti de Sitter ed olografia”.

Lo spazio anti de Sitter è come una “lattina di minestrone”. Le sezioni orizzontali della lattina rappresentano lo spazio, mentre l’asse verticale rappresenta il tempo. L’etichetta all’esterno della lattina è il bordo, mentre l’interno rappresenta lo spazio-tempo vero e proprio. Lo spazio AdS puro è una lattina vuota, che può essere resa più interessante riempiendola di “minestrone” – ossia materia ed energia. Witten spiegò che, ammassando abbastanza materia ed energia nella lattina, è possibile creare un buco nero.

L’esistenza di un buco nero nel “minestrone” deve avere un equivalente sull’ologramma al bordo, ma che cosa? Nella sua “teoria di bordo” Witten sostiene che il buco nero nel “minestrone” è equivalente ad un “fluido caldo” di particelle elementari – essenzialmente gluoni. Ora, la teoria dei campi è un caso particolare di meccanica quantistica, ed in meccanica quantistica l’informazione non viene mai distrutta. I teorici delle stringhe capirono immediatamente che Maldacena e Witten avevano dimostrato senza ombra di dubbio che non è possibile far sparire informazione dietro l’orizzonte di un buco nero.

Maldacena aveva scoperto che due diverse teorie matematiche sono in realtà la stessa – sono teorie “duali”. Una è la teoria delle stringhe, con tanto di gravitoni e buchi neri, seppure in uno spazio anti de Sitter (4 + 1)-dimensionale. Tutto ciò che accade nello spazio AdS è completamente descrivibile per mezzo di una teoria che ha una dimensione spaziale in meno. Dato che Maldacena è partito da quattro dimensioni spaziali, la teoria olografica duale ne ha soltanto tre. Il duale olografico è matematicamente molto simile alla cromodinamica quantistica (QCD), la teoria dei quark, degli adroni e dei nuclei.
Quindi:

Gravità quantistica in AdS = QCD.

L’interesse maggiore del risultato di Maldacena era il fatto che confermasse il principio olografico e gettasse luce sul funzionamento della gravità quantistica.

Tratto dal libro GODMAN – L’Universo Olografico
di Alessio e Alessandro De Angelis
con la collaborazione e del fisico e matematico
Michele Nardelli