Dal metalinguaggio quantistico alle teorie quantistiche di confine: Fausto Intilla intervista Paola Zizzi

Paola Zizzi

In uno dei suoi libri più noti, “Che cosa è la logica”, una raccolta di articoli scritti tutti (tranne uno, scritto nel 2013, tre anni prima della sua morte) tra il 1976 e il 1978, Hilary Putnam, uno dei maggiori filosofi degli ultimi decenni (con fortissimi interessi per la logica e la matematica), si propone di offrire ai suoi lettori una vasta panoramica del suo pensiero tendente a riflettere il suo retroterra di logica matematica e l’interesse che per tutta la vita ha nutrito per la filosofia della logica e della matematica; dove traspare inoltre una continua attenzione, che ha sempre riservato al vasto tema del realismo e dell’anti-realismo. Più o meno a metà libro, Putnam (in un capitolo intitolato “Possibilità/necessità”), riporta un articolo a carattere prettamente filosofico, in cui tratta piuttosto estesamente la questione della “logica quantistica”; una concezione che egli tuttavia, pochi anni prima della sua morte, iniziò a ritenere sbagliata (esponendo le sue ragioni in “The Curious Story of Quantum Logic”; raccolto in “Philosophy in an Age of Science”, a cura di Mario De Caro e di David Macarthur, Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts, 2012, pp. 162-177).

Nell’articolo in questione, Putnam mette subito in evidenza che “l’idea tradizionale che logica e matematica siano discipline a priori, cioè discipline che assicurano una conoscenza a priori, è stata (…) attaccata in una direzione imprevista”. Nel 1936, Neumann e Birkhoff hanno proposto che un modo di considerare la meccanica quantistica, possa consistere nel vedere la logica del mondo fisico, come una logica non-classica. Come affermava lo stesso Putnam, alcuni decenni fa: “A prima vista, questa proposta sembra avere effetti devastanti sull’idea che esista una cosa come la verità necessaria ‘tout court’; se persino la logica si dimostra empirica, perché non dovrebbe essere smantellata l’idea stessa di ‘necessità’?”.  Putnam si chiedeva se la conoscenza empirica fosse la sola conoscenza; ipotizzando che persino la logica e la matematica, fossero rami della conoscenza empirica. Puntualizzando però infine che tutto ciò, poteva anche essere soltanto l’immagine di una realtà apparente e dunque, non quella “assoluta” delle cose.

Per chi conosce un po’ di meccanica quantistica, l’idea è che ci sia una corrispondenza biunivoca fra le proposizioni concernenti un dato sistema fisico S e i sottospazi dello spazio di Hilbert, usato per rappresentare quel sistema. Le operazioni logiche di disgiunzione, di congiunzione e di complementazione corrispondono rispettivamente a prendere in considerazione l’intersezione, lo spazio generato e il sottospazio ortogonale. Si ricordi che da un punto di vista logico, qualsiasi reticolo modulare ortocomplementato, è un modello per la logica dei quanti; inoltre, i modelli di interesse fisico sono i reticoli di sottospazi, di spazi di Hilbert a infinite dimensioni. Fatte queste premesse, entriamo ora nel cuore della logica quantistica, prendendo in considerazione il famosissimo esperimento della doppia fenditura.

Per limitare la lunghezza di questa parentesi introduttiva all’intervista che andrò a fare all’amica Paola Zizzi, tralascio tutti i dettagli tecnici dell’esperimento in questione; nella speranza che la maggior parte dei lettori sappia almeno a grandi linee, di cosa si stia parlando. Si consideri in questo caso specifico l’esperimento a singole particelle (fotoni, elettroni, neutroni, etc.) e la classica lastra fotografica come bersaglio, posta oltre la barriera su cui sono presenti le due fenditure (entrambe aperte!).

Usiamo ora le lettere proposizionali p, q, r per rappresentare i seguenti tre enunciati:

a) La particella colpisce la lastra fotografica nel punto R;
b) La particella è passata attraverso la fenditura di sinistra;
c) La particella è passata attraverso la fenditura di destra.

Nella logica di Neumann, “la particella è passata attraverso la fenditura di destra o attraverso quella di sinistra”, è rappresentata esattamente come nella logica classica; ovvero: (q ∨ r). L’enunciato: “la particella è passata attraverso la fenditura di sinistra e ha colpito R” e l’enunciato: “la particella è passata attraverso la fenditura di destra e ha colpito R”, (che nella logica classica sarebbero, rispettivamente: (p & q), in breve pq; e (p & r), in breve pr), non sono ammessi. La logica di Neumann non consente neppure di chiedersi attraverso quale fenditura sia passata la particella, in quanto non permette che certe proposizioni, cosiddette “incompatibili”, siano tra loro congiunte; come se le proposizioni p e (q ∨ r) avessero una congiunzione (pur tuttavia non avendola, le proposizioni p, q e le proposizioni p, r). Ed ecco dunque che abbiamo rivelato il nocciolo, il cuore della logica quantistica! Putnam spiega molto bene tale questione, rimarcando che:

“Evidentemente si devono abbandonare alcune regole della logica classica. In effetti, la legge di introduzione della congiunzione (da qualsiasi coppia di proposizioni p, q inferire la loro congiunzione (p & q)) dev’essere ristretta alle coppie di proposizioni compatibili p, q, e la legge distributiva p & (q ∨  r) ≡ pq ∨  pr, dev’essere ristretta ai casi in cui tutte e tre le proposizioni p, q, r, sono “totalmente compatibili” (il che significa che esiste un sottoreticolo del reticolo modulare che è esso stesso un’algebra di Boole e contiene p, q, r). Il fatto che esista una proposizione come p & (q ∨  r), benché non esistano proposizioni come pq e pr, è la rappresentazione logico-quantistica della natura a ‘macchia d’olio’ della particella nell’esperimento della doppia fenditura”.

Oltre all’esempio della doppia fenditura, per entrare nel cuore della logica quantistica, si potrebbe citare anche il lavoro di Kochen e Specker sul sistema definito da un atomo di ortoelio (nel suo stato di minore eccitazione, in un campo magnetico a simmetria romboidale), ma andremmo ad estendere davvero troppo questa parentesi introduttiva all’intervista in questione. Sempre Putnam ci fa notare che: “Il punto di vista della logica quantistica, non è incompatibile con quello dell’interpretazione di Copenhagen. Ma a qualcuno sembra insoddisfacente che la meccanica quantistica debba tracciare una distinzione tra ‘valori misurati’ e ‘valori non misurati’, dal momento che questi ultimi sono senza significato fisico. Se questa distinzione è imposta solo dalla logica classica, questa è parsa ad alcuni una buona ragione per cambiare la logica”. 

Nel momento in cui pensiamo aprioristicamente che la nozione classica di verità sia sbagliata e che la legge del terzo escluso non vale quando ci si occupa di predicati non decidibili, andiamo a sfidare la logica classica. Questo infatti è il modo in cui nacque la logica intuizionista; ovvero ciò che si ottiene se si identifica la verità con la dimostrabilità costruttiva e non con qualche sorta di “corrispondenza con la realtà” totalmente non epistemica. Sappiamo ormai dal lontano 1927, grazie al principio di indeterminazione di Heisenberg, che nel mondo reale può accadere che la decidibilità di una proposizione renda impossibile la decidibilità di un’altra, per mezzo di una misurazione che abbia un qualche valore predittivo (in sostanza: c’è una relazione di incompatibilità fra proposizioni).

Oggi tuttavia la logica quantistica di Neumann e Birkhoff è superata; infatti è possibile ricorrere ad un calcolo logico deduttivo (ovvero ad uno specifico calcolo sequenziale “alla Gentzen”) in grado di descrivere l’informazione quantistica e le sue proprietà. Ciò che in sostanza è possibile fare, è descrivere la formazione del qubit (ovvero l’unità dell’informazione quantistica, che in pratica è una particolare sovrapposizione lineare dei due bit classici 0 e 1), in termini logici. Nella logica di un qubit (Lq), tuttavia, una congiunzione classica non può descrivere questo collegamento quantistico; ed ecco quindi che siamo costretti a coniare un nuovo termine-concetto, un nuovo connettivo che prende il nome di: “sovrapposizione quantistica”.

Se pensiamo ad esempio all’entanglement quantistico, il suo connettivo logico (avente una propria equazione di definizione), dovrà essere denotato da un simbolo (Paola Zizzi, nella sua tesi di dottorato, ha adottato il simbolo @). Questo connettivo (@), che è funzione dei connettivi “quantistico”, “sovrapposizione” e “par” (dove “par” è la disgiunzione moltiplicativa della logica di base e della logica lineare), è fondamentale per una descrizione logica del mondo quantistico (come l’entanglement quantistico è una caratteristica peculiare della meccanica quantistica, senza analoghi classici). Ovviamente in tale contesto avremo a che fare con uno spazio di Hilbert complesso (almeno quadrimensionale), poiché è necessario disporre di almeno due qubit per ottenere uno stato di entanglement. Occorreranno dunque anche dei connettivi moltiplicativi, come “tempi” e “par”, per descrivere il prodotto tensoriale degli stati.

Prendendo ad esempio in considerazione gli stati di Bell, in termini logici, dovremmo esprimerli nel seguente modo:

Dove @ è il nuovo connettivo logico da introdurre, chiamato “entanglement”. Come tutti gli altri connettivi, @ sarà introdotto dal principio di riflessione, che riflette il metalinguaggio nel linguaggio oggetto. Dunque abbiamo a nostra disposizione un metalinguaggio che deriva dalla nostra conoscenza della struttura fisica degli stati di Bell. Il connettivo logico @, è caratterizzato da molte proprietà (commutatività, semi-distributività, associatività, dualità, non-idempotenza), tra cui, anche l’impossibilità di un auto-entanglement (“No self-entannglement theorem”); in cui si afferma semplicemente che è impossibile avere un qubit “entanglato” con sé stesso. Ciò in sostanza è una conseguenza del teorema di no-cloning.

Nella sua tesi di dottorato, Paola Zizzi sostiene che la scelta del metalinguaggio non è mai assente da un punto di vista personale (osservativo) del mondo fisico; dunque un metalinguaggio implica già in sé, un’interpretazione di una determinata teoria fisica presa in esame. D’altra parte, il formalismo matematico della teoria fisica, racchiude in sé un linguaggio logico. Se il metalinguaggio scelto non si riflette adeguatamente nel linguaggio logico, per astrazione, possono sorgere alcune incoerenze e paradossi (come ad esempio il problema della misurazione in meccanica quantistica). Ma a questo punto credo sia arrivato il momento di lasciare la parola all’amica Paola Zizzi.

F.I.: “Buongiorno Paola e come al solito, bentrovata. Nella tua tesi di dottorato: “From quantum metalanguage to the logic of qubits”, hai in pratica dimostrato che è possibile applicare il concetto di metalinguaggio nell’interpretazione della meccanica quantistica (QM); ebbene la domanda fondamentale è: possiamo applicare tale concetto, ovvero quello di metalinguaggio, anche nell’interpretazione della teoria quantistica dei campi (QFT)? E se sì, quali sarebbero le differenze sostanziali tra le due tipologie di metalinguaggio?”

P.Z.: “Buongiorno Fausto e grazie di avermi invitata a questa intervista. Rispondo subito senza mezzi termini alla tua prima domanda. Il metalinguaggio quantistico “è” il linguaggio stesso della QFT. La QFT non ha una logica perché non è Turing-computabile. Però è descrivibile in termini di metalinguaggio, proprio perché quest’ ultimo non ha regole logiche e quindi “non computa”. Diversa è la situazione della QM, che è computabile e quindi può essere descritta da una logica (quantistica). Visto che ogni logica deriva da un metalinguaggio, si potrebbe dunque pensare che la QM sia in effetti una speciale riduzione della QFT. Come risultato avremmo una “spremuta” (concedimi il termine) dell’informazione nascosta nei campi (argomento trattato nell’ articolo: “Quantum information hidden in quantum fields”). La riduzione QFT → QM (“hidden quantum information”“available quantum information”) corrisponderebbe quindi alla “riflessione” del metalinguaggio quantistico nella logica quantistica tramite il principio di riflessione di Giovanni Sambin. Tieni presente però che la riduzione QFT → QM avviene (come spiegato nell’ articolo di cui sopra), in concomitanza di fluttuazioni della metrica alla scala di Planck. Quindi siamo in presenza della Quantum Gravity. A me sfugge ancora un po’ il motivo, ma potrei azzardare l’ipotesi che per poter divenire disponibile e cessare di risultare nascosta, l’informazione quantistica necessiti della più forte fluttuazione quantistica possibile (ovvero alla scala di Planck) dello spazio classico dove “vivono” i campi, o dove noi crediamo che vivano”.

F.I.: “Intuitivamente, non posso far altro che appoggiare questa tua ipotesi. Ricordiamo innanzitutto ai nostri lettori che la gravità quantistica, mira ad essere una teoria quantistica dello spaziotempo stesso. Se poi pensiamo al fatto che non esiste un singolo spaziotempo, bensì una sovrapposizione di molte diverse geometrie spaziotemporali, il problema si fa ancora più complesso; anzi, estremamente complesso. Se ci concentriamo sulla natura quantistica della realtà, da cui ovviamente anche il macrocosmo prende forma, ci accorgiamo subito che concetti quali spazio, campi e particelle hanno a che fare con una funzione d’onda che evolve secondo una versione appropriata dell’equazione di Schrödinger. Il problema centrale inerente a tale visione della realtà, sta dunque nel cercare di estrarre i concetti di spazio, campi e particelle, da una funzione d’onda intrinsecamente quantistica, senza doverli quantizzare partendo da un limite classico. Un altro problema non meno complesso, inoltre, sta nell’identificare certe caratteristiche della funzione d’onda che “somiglino” al nostro modello concettuale di spazio e che ci conducano quindi verso un’opportuna metrica atta a definire le distanze.

Ecco quindi che entra in causa il concetto di entanglement, che a differenza dello “spazio”, è sempre disponibile in qualsiasi funzione d’onda quantistica astratta. In sostanza dunque, si osserva la struttura di entanglement degli stati e la si usa per definire le distanze. In tale contesto, come “misura quantitativa” dell’entanglement, viene utilizzata l’entropia quantistica di von Neumann. Ed ecco quindi che sopraggiunge il concetto di “entropia di entanglement”. Ora, tu sai bene cara Paola che, maggiore è l’entropia di un sottosistema quantistico e più entangled esso sarà con il mondo esterno. Sai inoltre che, in QFT, scegliendo una determinata regione nello spazio vuoto, l’entropia di tale regione risulterà proporzionale all’area del suo limite di confinamento. Ora, ricollegandomi alla tua ipotesi sul possibile nesso tra informazione (quantistica) nascosta e forte fluttuazione quantistica, ti chiedo: se tale nesso esistesse realmente, in che modo si rapporterebbe con l’entropia di entanglement?”

P.Z.: “Ah… che domanda! Meravigliosa! Nell’ articolo sopraccitato (“Quantum information hidden in quantum fields”) viene investigato un possibile meccanismo di riduzione dalla teoria quantistica dei campi (QFT) alla Meccanica Quantistica (QM), in un modo che potrebbe spiegare l’apparente perdita di gradi di libertà della teoria originale in termini di informazione quantistica in quella ridotta. Il meccanismo consiste principalmente nell’eseguire un ansatz sull’operatore del campo, che prende in considerazione la “schiuma quantistica” di John Wheeler (ovvero la fluttuazione quantistica della metrica) e la geometria non commutativa. Attraverso il meccanismo di riduzione, QFT rivela la sua struttura interna nascosta, che è una rete quantistica di massimo entanglement di stati multipartiti. Si trova che esiste l’equilibrio entropico degli stati completamente misti e massimamente entanglati nella rete quantistica. Mi rendo conto che la questione è molto tecnica. Si sospetta che questo equilibrio entropico tra stati massimamente entanglati e stati completamente misti possa spiegare il paradosso dell’informazione attinente alla radiazione di Stephen Hawking, nell’ estrema ipotesi che tutti gli stati puri all’interno dell’orizzonte degli eventi del buco nero siano massimamente entanglati.
​Varrebbe la pena cercare ulteriormente una serie di relazioni tra QFT, QM, informazione quantistica, spazio-tempo entangled, gravità quantistica, geometria non commutativa, metalinguaggio quantistico e logica quantistica, poiché questi argomenti sono strettamente intrecciati.

F.I.: “Chiaramente qui entriamo in un contesto teorico ad ampio spettro, dove effettivamente, indagare sulle relazioni tra le varie teorie fisiche da te citate poc’anzi, potrebbe portare a dei risvolti non indifferenti, in relazione alle attuali conoscenze nell’ambito della fisica teorica più avanzata. Ma torniamo un attimo al concetto di entanglement dello stato quantistico. Se immaginiamo una rete composta da una moltitudine di sottoinsiemi di gradi di libertà, ad ognuno di essi possiamo associare un’area emergente da ciascuna superficie considerata. In altri termini possiamo affermare che, dalla struttura dell’entanglement dello stato quantistico, emerge necessariamente lo spazio quantistico. Da tali premesse, nasce dunque il concetto di “spazio quantistico emergente”. Affermare ciò, ovviamente, sarebbe come ammettere la possibilità che lo spaziotempo non sia fondamentale, bensì “qualcosa” che emerga dall’ informazione quantistica. Ho sempre pensato che la strada per comprendere al meglio la natura ultima della realtà, non risieda nel quantizzare la gravità, bensì nel cercare la gravità all’interno della fisica quantistica. Tu cosa ne pensi, Paola, a tal riguardo? Sei della mia stessa opinione, oppure la pensi diversamente?”

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P.Z.: “Fondamentalmente la penso allo stesso modo. Non si può quantizzare la gravità su un background spazio-temporale classico, come accade nella teoria formulata con le stringhe. È invece la loop quantum gravity (LQG) che, a partire dagli spin networks, introduce lo spazio quantistico. Il mio approccio è basato sulla LQG, ma con in più l’informazione quantistica; per questo fu chiamata “computational loop quantum gravity” (CLQG) e la geometria non commutativa di Alain Connes, come la sfera fuzzy di John Madore. La rete di qubits massimamente entanglati si dispone sulla superficie della sfera fuzzy, mentre quella degli stati completamente misti, all’ interno di tale sfera. Alla fine, queste reti di qubits sono molto simili alle reti di spin della LQG standard (il modello di Carlo Rovelli e Lee Smolin); a parte il fatto che portano con loro, in più, una specie di “semantica” fisica: l’informazione quantistica. 

Per quanto riguarda la metrica, abbiamo considerato un operatore di campo bosonico sul quale abbiamo eseguito un ansatz, che ammette un attrattore nel cui bacino scorre un flusso di gradi di libertà spaziali. All’ interno del bacino attrattore è possibile definire una nuova metrica, quantizzata in unità di Planck, che subisce fluttuazioni quantistiche che inducono incertezze negli stati di posizione. Questi ultimi possono essere interpretati come qubit entangled al massimo, sulle superfici delle sfere centrate nel punto di attrazione. Ciò è possibile se esiste uno spazio non commutativo adeguato, che è una generalizzazione della sfera fuzzy”.

F.I.: “L’importanza dei tuoi lavori e delle tue ricerche, cara Paola, traspare in ogni tua spiegazione profondamente tecnica su questioni di fisica talmente avanzata, che immagino solo pochi “addetti ai lavori” osino affrontare, nella quotidianità vissuta nei loro ambiti di ricerca. Gli argomenti fin qui trattati sono estremamente interessanti e si potrebbe approfondirli maggiormente, ma credo sia opportuno a questo punto fare in modo che questa intervista, non diventi troppo lunga e carica di “dettagli tecnici”. Detto ciò, comunque, vorrei concludere con un’ultima domanda che ritengo assai importante, per comprendere al meglio l’intero quadro concettuale presentato fin qui ai nostri lettori, sul metalinguaggio quantistico e su tutto ciò che risulta ad esso affine. Ebbene la domanda è la seguente: che tipo di relazione sussiste tra l’informazione nascosta e il metalinguaggio quantistico?”

P. Z.: “E’ più complicato di quanto si pensi. Un’ asserzione del metalinguaggio quantistico è solo l’interpretazione metalinguistica di uno stato quantistico. Il sequente porta con sé un grado di asserzione che è un numero complesso (chiamiamolo alfa), che è l’interpretazione metalogica di un’ampiezza di probabilità. Ma da dove viene questo numero alfa? Bisogna tornare indietro in teoria dei campi (QFT) e considerare una traslazione bosonica con parametro complesso (chiamiamolo alfa). In termini logici un campo quantistico può essere interpretato in logica del primo ordine tramite un predicato (chiamiamolo P), funzione delle coordinate spazio-temporali x, ovvero P(x). Nel caso di una traslazione bosonica però, il dominio del discorso non è solo D(x), ma l’unione D(x) U D(alfa). Quindi in questo caso il campo quantistico sarà interpretato dal predicato P(x,alfa). Riducendo gli infiniti gradi di libertà x, otterremo un sequente graduato da alfa che è l’interpretazione metalogica di uno stato della meccanica quantistica (QM). Prendendo due di tali sequenti (uno graduato da alfa e uno da beta) e usando il principio di riflessione, si ottiene una proposizione composta dove il connettivo (chiamato connettivo di sovrapposizione quantistica), porta i due “pesi” alfa e beta. Quando la seconda proposizione è in particolare la negazione della prima, si ottiene il qubit. Ma senza alfa (o beta) non si otterrebbe informazione quantistica e alfa e beta, trasportate nel metalinguaggio, vivevano in teoria dei campi.

Alla fine possiamo dire che un metalinguaggio quantistico è possibile solo in presenza di stati coerenti (conseguenti alla traslazione bosonica) in QFT. In mancanza di stati coerenti, non potremmo infatti avere sequenti graduati da un numero complesso; di conseguenza non potremmo avere una logica del qubit. In termini fisici, la mancanza di stati coerenti in QFT, non permetterebbe l’esistenza della computazione quantistica in QM; anzi, la QM stessa non potrebbe essere formulata (mancando del principio di sovrapposizione)”.

F.I.: “Bè, è chiaro che una questione così complessa, richiedeva necessariamente una spiegazione ricca di dettagli tecnici, per poter essere definita nel migliore dei modi. Chi non conosce a fondo questa branca della fisica teorica, non può neppure lontanamente immaginare quali sforzi tu abbia dovuto compiere per potermi fornire una risposta così ben definita ed articolata, dove ovviamente emergono delle importanti informazioni che tu stessa avrai dovuto elaborare sul momento, poiché del tutto nuove ed emergenti. Ma è proprio questa la vera ricerca! Dove ogni scambio d’opinione, se a monte vi sono le giuste domande, porta fortunatamente a nuovi sviluppi concettuali e a nuove idee di settore, fino a poco prima inimmaginabili! Concludo dunque questa interessantissima intervista, ringraziandoti di cuore per la grande disponibilità dimostrata nei miei confronti e soprattutto, per avermi spalancato le porte su una branca della fisica teorica che conoscevo ancora poco. Un caro saluto e un abbraccio. A presto Paola!”.

P.Z.: “Caro Fausto, quello che ho scritto nell’ ultima risposta è stato stimolato dalla tua interessante domanda! Mi circolava in testa che “mancava qualcosa”; ebbene ora sappiamo cos’è: ovvero che l’informazione quantistica nascosta, è insita negli stati coerenti della QFT e si rivela nel metalinguaggio quantistico (e conseguentemente nella QM). Scriverò a breve un paper su questo argomento perché qui non ho voluto asfissiare i lettori con troppi dettagli tecnici. Spero che almeno si comprenda il “succo” della questione, nonostante la mancanza di formule. Mi scuso se magari risulta tutto molto campato in aria, ma non lo è; anzi, sono così contenta di aver raggiunto questo risultato …non me l’aspettavo neanch’ io! Così va la ricerca; a volte rimugini per mesi, per anni …e poi…voilà! …arriva chiaro e netto il significato; tanto che ti chiedi: ma allora, perché non l’avevo capito prima? È così, punto. Dobbiamo essere umili e lavorare …lavorare e studiare. Ciao Fausto, grazie ancora di tutto, senza di te questo passo avanti nella Fisica Teorica non esisterebbe. A presto!”.

[Paola Zizzi è una fisica teorica italiana nota soprattutto per il suo lavoro nel campo della gravità quantistica ad anello (LQG, l’acronimo sta per Loop Quantum Gravity), che considera l’universo come una specie di super computer. La Zizzi ha inoltre proposto versioni quantistiche della fisica digitale; in particolare ha formulato una realizzazione della fisica digitale in quella che è stata chiamata “gravità quantistica ad anello computazionale”, o “CLQG”.
Si è laureata in Fisica all’Università di Padova, dove in seguito ha conseguito il dottorato di ricerca in Matematica, con una tesi in logica sul metalinguaggio quantistico e la logica quanto-computazionale. Ha lavorato come ricercatrice e/o professore associato presso varie Università e Centri di Ricerca Europei; tra cui l’ICTP di Trieste, il CERN di Ginevra, il King’s College di Londra, l’Università di Strasburgo, l’Università di Karlsrhue, l’Université Paris VII e il Centro di Alte Energie di Orsay].