Localizzata l’origine d’un enigmatico lampo radio

Localizzata l’origine d’un enigmatico lampo radio
radio burst
Crediti: Nature

Il “fast radio burst” più misterioso che si conosca, FRB 121102, proviene da una lontanissima galassia nana. Per individuarla con precisione, gli scienziati hanno dovuto fare ricorso a un’intera rete di radiotelescopi sparsi nel mondo, fra i quali l’antenna italiana di Medicina dell’INAF, in provincia di Bologna. Pinpointed. Come quando segni una località su una mappa con la punta d’uno spillo. Questo il verbo scelto dagli scienziati per rendere l’idea della precisione con la quale sono riusciti a individuare la zona di provenienza di un FRB, un fast radio burst: uno di quei rari lampi radio di brevissima durata la cui natura è ancora un mistero.

Pinpointed, dunque: circoscrivendone l’origine a una regione d’universo da 100 anni luce di diametro, situata a oltre 3 miliardi d’anni luce da noi, nella quale alberga soltanto una piccola galassia. Il risultato, presentato oggi al meeting invernale dell’American Astronomical Society (AAS) in corso a Grapevine (Texas, Stati Uniti), è descritto in tre diversi articoli scientifici – due su Astrophysical Journal Letters e uno su Nature, che gli ha dedicato la copertina – resi pubblici in contemporanea alle 19 ora italiana di questa sera, mercoledì 4 gennaio.

«I fast radio bursts sono uno fra i più interessanti fenomeni astrofisici scoperti nel corso degli ultimi dieci anni.

Dieci anni durante i quali non eravamo ancora riusciti a individuare l’esatta provenienza di queste esplosioni energetiche. La nuova scoperta, realizzata anche grazie alla partecipazione dei radiotelescopi che abbiamo in Italia», sottolinea Steven Tingay, responsabile dell’Unità Scientifica per la radioastronomia dell’Istituto nazionale di astrofisica (INAF) e direttore dell’Istituto di Radioastronomia dell’INAF di Bologna, «è motivo di grande eccitazione, perché fornisce un’informazione nuova e cruciale per comprendere la fisica di questo fenomeno: la distanza dell’oggetto d’origine, individuato con precisione in una remota galassia».

Fino a oggi, infatti, quello che mancava era la prova definitiva del fatto che gli FRB provenissero dall’esterno della nostra galassia, la Via Lattea. In realtà già uno studio del febbraio scorso, pubblicato anch’esso su Nature e con tre ricercatori INAF fra i coautori, aveva circoscritto la zona d’origine d’un altro FRB a una remota galassia ellittica. Ciò che rende fondamentale la nuova scoperta è che ha permesso agli astronomi di misurare l’esatta distanza della sorgente extragalattica, rendendo così possibile calcolare quanta energia è stata prodotta.

Per localizzare con precisione l’origine degli FRB non basta un radiotelescopio: ne occorrono molti e a grande distanza l’uno dall’altro, così da poter fare ricorso a una tecnica d’osservazione interferometrica, detta VLBI, che combinando le informazioni raccolte dalle varie antenne consente di ottenere un’immagine ad altissima risoluzione della zona di provenienza del segnale. Ma applicarla agli FRB è una sfida, sia perché è raro intercettarli (a oggi se ne conoscono soltanto 18) sia soprattutto per la loro brevissima durata: una manciata di millisecondi.

Crediti: Danielle Futselaar (www.artsource.nl)

Esiste però un radio burst con una caratteristica che lo rende unico, almeno fra quelli conosciuti: si ripete. Sì chiama FRB 121102 e dalla data della prima rilevazione, avvenuta il 2 novembre 2012 con l’antenna di Arecibo, si contano almeno un’altra decina di impulsi riconducibili alla stessa sorgente. Una peculiarità che ha permesso agli scienziati d’attenderlo al varco con più radiotelescopi. Anzitutto le 27 antenne del VLA, in Nuovo Messico, che hanno consentito di restringere l’angolo d’origine del segnale a una frazione di arcosecondo. Per circoscrivere ulteriormente la regione di provenienza, gli astronomi hanno messo in campo anche l’Osservatorio di Arecibo e le antenne di EVN, la rete europea VLBI, fra le quali quella da 32 metri di Medicina dell’INAF, in provincia di Bologna. Arrivando così a una precisione dieci volte superiore.

«La sensibilità combinata dei telescopi della rete EVN, la grande distanza che li separa l’uno dall’altro e le capacità uniche del processore dati centrale di JIVE, il Joint Institute for VLBI olandese, permettono di individuare eventi di appena un millesimo di secondo con una precisione di puntamento in cielo di circa 10 milliarcosecondi: equivalenti più o meno alla dimensione apparente che avrebbe, vista dai Paesi Bassi, una palla da tennis situata a New York», dice uno dei coautori dei tre articoli, Zsolt Paragi, del JIVE.

Individuate con tale esattezza le coordinate, per vedere cosa mai ci fosse in quella porzione di universo gli astronomi hanno infine fatto ricorso a uno fra i più grandi telescopi ottici al mondo, il Gemini North da 8 metri, ubicato sulla cima del vulcano dormiente Mauna Kea, alle Hawaii. Ed è così che hanno scoperto, con una certa sorpresa, un’anonima galassia nana la cui distanza – dedotta dalle misure spettrali – risulta essere superiore a 3 miliardi di anni luce.

Sapere che l’origine di FRB 121102 si trova in una galassia nana può essere un indizio cruciale per determinarne la natura. Il gas presente in queste galassie è relativamente primitivo, almeno rispetto a quello che incontriamo nella Via Lattea. E offre dunque un ambiente favorevole alla formazione di stelle assai massicce, osservano gli scienziati, suggerendo che una possibile causa degli FRB sia proprio il collasso di una di queste stelle. Un’altra fra le ipotesi che si stanno prendendo in considerazione è che gli FRB vengano prodotti in prossimità di un buco nero intento a divorare il gas circostante.

«Tuttavia, dobbiamo essere prudenti», raccomanda Tingay riguardo alle congetture sul possibile meccanismo d’origine. «La storia decennale dello studio degli FRB è una storia di false partenze e di vicoli ciechi, tre passi avanti e due indietro. Non dimentichiamo, poi, che questo particolare FRB è molto speciale: della ventina che conosciamo, è l’unico che si ripete. Pertanto, è anche possibile che a produrlo non sia lo stesso tipo di processo alla base degli altri. In ogni caso, è un risultato che segna un importante progresso in quest’affascinante ambito di ricerca».

Marco Malaspina

media.inaf.it