In occasione dell’ottavo anniversario del disastro nucleare di Fukushima, Greenpeace Giappone ha rilasciato un’indagine nella quale accusa il governo giapponese di aver violato i diritti umani dei cittadini e in particolare di lavoratori e bambini.
Sono passati esattamente 8 anni da quando, l’11 marzo 2011, un violento tsunami devastò le coste del Giappone, causando circa 20mila vittime e danni irreparabili alla centrale di Fukushima, dando così il via a quella che viene considerata la più complessa crisi nucleare dopo Chernobyl (1986). E stando alle ultime stime, ancora oggi i livelli di radiazioni sia nelle zone di esclusione che nelle aree aperte, sarebbero altissimi, da 5 a oltre 100 volte più alti del limite massimo raccomandato. Ma non solo: questi livelli rimarranno tali ancora per decenni. Vale a dire, quindi, un significativo rischio per i cittadini, lavoratori e bambini.
Ma torniamo indietro. L’11 marzo del 2011 un terremoto di magnitudine 9 scosse il Giappone e scatenò un enorme tsunami, che arrivò ad allagare anche la centrale nucleare di Fukushima lasciandola senza energia per raffreddarne i reattori nucleari. In assenza, quindi, di un ricircolo di acqua di raffreddamento, i noccioli raggiunsero temperature di migliaia di gradi e si fusero, liberando gas di idrogeno. La conseguente esplosione di questo gas distrusse quattro degli edifici, in cui erano situati i reattori e liberò nell’ambiente grandi quantità di materiale radioattivo. Generando così l’evacuazione da parte di migliaia e migliaia di persone.
Ma ancora oggi, sebbene ci siano stati enormi sforzi di decontaminazione, il rapporto, Sul fronte dell’incidente nucleare di Fukushima: lavoratori e bambini, appena diffuso da Greenpeace Giappone afferma come siano ancora presenti altissimi livelli di radiazioni sia nelle zone di esclusione che nelle aree aperte, accusando il governo giapponese di aver ingannato le Nazioni Unite e aver violato i diritti umani, in particolare nei riguardi di lavoratori e bambini.
Nella zona di esclusione di Obori in Namie, per esempio, i livelli medi di irradiazione registrati sarebbero pari a 4,0 μSv all’ora. Questi valori, precisano gli esperti, sarebbero così alti che se un lavoratore lavorasse lì per otto ore al giorno durante un intero anno, potrebbe ricevere una dose equivalente a più di cento radiografie del torace.
Nelle aree in cui operano alcuni di questi addetti alla decontaminazione, i livelli di radiazione rilevati sarebbero considerati un’emergenza se fossero stati osservati all’interno di una struttura nucleare”, ha spiegato Shaun Burnie, Senior Nuclear Specialist di Greenpeace Germania. Lo sfruttamento dei lavoratori è molto diffuso, compreso il reclutamento di persone svantaggiate e senzatetto, che non hanno alcuna formazione in materia di radioprotezione.
Inoltre, in una foresta di fronte all’asilo e alla scuola della città di Namie, dove gli ordini di evacuazione sono stati revocati, il livello medio di radiazioni risulta essere di di 1,8 μSv all’ora, e tutti i 1.584 punti misurati hanno superato l’obiettivo di decontaminazione a lungo termine del governo giapponese di 0,23 μSv all’ora. Nel 28% di questa area, quindi, la dose annuale dei bambini potrebbe essere 10-20 volte superiore al massimo raccomandato a livello internazionale.
Come vi avevamo raccontato, inoltre, uno studio statunitense, pubblicato su Pnas, ha ipotizzato che ci sarebbero enormi accumuli di materiale radioattivo, in articolare il cesio radioattivo, intrappolato nelle sabbie e nelle acque sotterranee fino a 96 chilometri circa di distanza dalle coste giapponesi. Tuttavia, come avevano riferito i ricercatori, “nessuno è esposto a queste acque e, quindi, non è un problema di primaria importanza per la salute pubblica”.
Tuttavia, sebbene la maggior parte degli studi condotti finora abbia evidenziato come i livelli di radiazioni siano ancora molto alti, una ricerca apparsa sulle pagine del Journal of Radiological Protection nel 2017, sembrava sostenere proprio il contrario: vivere in alcune aree intorno alla centrale nucleare non sarebbe più da considerarsi pericoloso. Stando a quest’ultima analisi, la combinazione del decadimento radioattivo naturale e degli agenti atmosferici, come la pioggia e la neve, avrebbe ridotto notevolmente i livelli di radiazione. Infatti, analizzando i dati delle radiazioni intorno a Date, città giapponese della prefettura di Fukushima che dista 60 chilometri dal sito della catastrofe (mai stata evacuata) i ricercatori hanno evidenziato che gli abitanti sono sottoposti a un livello di radiazioni molto basso, pari a 18 millisievert nella zona A, la parte più contaminata della città (l’International Commission on Radiological Protection considera accettabile una dose compresa tra 1 e 20 millisievert all’anno).
Ricordiamo, infine, che circa un mese fa il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia ha emesso una serie di severe raccomandazioni al governo giapponese che, se attuate, potrebbero porre fine alle attuali politiche di Fukushima. “Nei suoi rapporti alle Nazioni Unite, il governo giapponese travisa la complessità e i rischi delle radiazioni nelle aree di Fukushima, le condizioni dei lavoratori, e la salute e il benessere dei bambini. Questa realtà dovrebbe far vergognare il governo e spingerlo a cambiare radicalmente le sue politiche fallimentari”, ha affermato Kazue Suzuki, della campagna Energia di Greenpeace Giappone, sottolineando che quello che la maggioranza dei giapponesi sta chiedendo è una transizione verso l’energia rinnovabile.
Marta Musso