Arriva da due astrofisici del MIT e dell’università Lomonosov di Mosca una possibile risposta a un dubbio sul quale gli astrofisici si interrogano da decenni: come si distribuiscono le stelle per massa. Risposta ottenuta applicando per la prima volta all’astrofisica la teoria delle reti, la stessa usata per analizzare i fenomeni più disparati, dalle epidemie a Facebook.
Nonostante sia recentissima – nella sua versione più moderna non ha nemmeno vent’anni – è già stata usata praticamente in ogni ambito. Parliamo della teoria delle reti, una tra le più interdisciplinari fra tutte le scienze. In ogni ambito, dicevamo: da analisi ingegneristiche come quelle sulle reti di distribuzione dell’energia e l’effetto domino dei blackout, a ricerche epidemiologiche sulla diffusione dei virus, fino al suo terreno d’elezione, ovvero gli studi sociali (avete presente i celebri “sei gradi di separazione”?): pirateria informatica, mercati azionari e, in cima a tutto, i social network. Fra i pochissimi campi che ancora mancavano all’appello c’è l’astrofisica.
Ora non più: è infatti appena stato pubblicato su The Astrophysical Journal uno studio che rende conto di alcune apparenti anomalie sulla distribuzione di popolazioni di stelle – e in particolare sulla cosiddetta funzione di massa iniziale – utilizzando proprio la scienza delle reti.
Partiamo dunque da questa, la funzione di massa iniziale (o IMF, dall’inglese initial mass function). Così gli astronomi indicano la distribuzione per massa delle stelle all’epoca della loro formazione. Semplificando un poco, è quella funzione che dovrebbe descrivere, dato un sistema stellare appena formato, quante siano al suo interno le stelle più massicce rispetto a quelle meno massicce. Un problema affrontato già nel 1955 da Edwin Salpeter, al quale si deve la prima teoria derivata empiricamente, ottenuta contando le stelle del nostro “vicinato”, e avente la forma d’una legge di potenza con esponente negativo, per l’esattezza -2.35. Detto altrimenti, ciò che la funzione di Slapeter afferma è che stelle con massa 10 volte superiore a quella del nostro Sole, per esempio, saranno circa 223 (10 elevato alla 2.35) volte più rare di quanto non siano quelle, appunto, con massa analoga a quella del Sole. Più in generale, il numero di stelle in un dato intervallo di masse decresce rapidamente all’aumentare della massa.
Dagli anni ’50 a oggi la funzione di Salpeter ha però dimostrato alcune limitazioni, soprattutto per quanto riguarda il suo comportamento verso i limiti di massa inferiori e la sua universalità, ed è stata ritoccata e affinata più volte, dando così origine a teorie sempre più complesse, con pagine e pagine di calcoli e formule. È proprio nel tentativo di arrivare a una descrizione più semplice che Andrei Klishin (al MIT fino al 2015, oggi graduate student alla University of Michigan), sotto la supervisione di Igor Chilingarian (ricercatore presso la Moscow State University e lo Smithsonian Astrophysical Observatory), ha deciso di provare a fare ricorso alla teoria delle reti.
Klishin e Chilingarian hanno così descritto un sistema di proto-stelle, che evolvono assorbendo gas dal mezzo interstellare diffuso, come una rete territoriale che si estende seguendo il principio dell’attaccamento preferenziale: più collegamenti un nodo possiede, più sarà veloce nel crearne di nuovi. Nel mezzo interstellare, i collegamenti sono le forze gravitazionali che agiscono tra i densi nuclei molecolari dai quali si formeranno le stelle.
«Abbiamo dimostrato che, se la distribuzione della densità della nube interstellare è frattale, la legge di potenza seguita dalla funzione di massa iniziale delle stelle è indipendente dalla distribuzione di massa iniziale di proto-stelle. Questa distribuzione frattale deriva direttamente dalla teoria classica della turbolenza sviluppata dal matematico sovietico Andrey Kolmogorov», spiega Chilingarian. Nell’ambito di questo semplice modello, i due scienziati sono riusciti a spiegare teoricamente l’andamento della funzione di massa iniziale delle stelle in appena otto equazioni. Equazioni, sottolineano i due, che non necessitano delle assunzioni ingiustificate o dei parametri liberi aggiuntivi richiesti invece da molte delle teorie di formazione stellare esistenti.
«Questo lavoro è il primo del suo genere e crea le basi per un nuovo approccio interdisciplinare in astrofisica. Abbiamo in programma di sviluppare ulteriormente questa famiglia di metodi e di applicarli a un ampio spettro di fenomeni astrofisici, relativi alla formazione stellare e alla cosmologia osservativa, come per esempio lo studio della struttura a larga scala della distribuzione della materia nell’Universo», conclude Chilingarian.