Misurato il motore centrale che alimenta le eruzioni solari

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Immagine 1 – eruzioni solari riprese dal Solar Dynamics Observatory (SDO) della NASA. Credits: NASA/Goddard/SDO

Il Sole è un luogo selvaggio. Nei nostri cieli sembra sempre uguale ogni giorno, ma quando la osservi più da vicino la nostra stella è spesso piena di plasma turbolento. Una delle cose più selvagge che il Sole può fare è un’eruzione solare: la nostra stella erutta colossali anelli di plasma che, se comparati con la Terra, la fanno apparire piccolissima. Sebbene tale attività sia abbastanza comune, non riusciamo ancora a comprendere appieno ciò che la guida.

Adesso, per la prima volta, i fisici che studiano il Sole hanno misurato e caratterizzato il campo magnetico del gigantesco strato di corrente (in estrema sintesi uno strato di corrente è una corrente elettrica limitata ad una superficie piuttosto che essere diffusa attraverso il volume di uno spazio) – corrente elettrica di superficie – che si estende attraverso la regione di eruzione del nucleo solare, il motore centrale che alimenta il rilascio di energia delle eruzioni (dette anche brillamenti) solari.

«È stato a lungo ipotizzato che l’improvviso rilascio di energia magnetica attraverso lo strato di corrente di riconnessione sia responsabile di queste eruzioni principali, ma non è stata effettuata alcuna misurazione delle sue proprietà magnetiche», scrive il dott. Bin Chen fisico presso il New Jersey Institute of Technology.

«Con questo studio, abbiamo finalmente misurato per la prima volta i dettagli del campo magnetico di uno strato di corrente, questo ci ha permesso di capire meglio il motore centrale dei brillamenti solari del Sole» prosegue Chen. I campi magnetici del Sole sono estremamente complicati e disordinati. La nostra stella è una sfera turbolenta di plasma incredibilmente caldo, ossia un fluido (costituito da particelle cariche) che interagisce fortemente con le forze elettromagnetiche.

Poiché il Sole è una sfera, la superficie equatoriale ruota più velocemente rispetto ai poli. Tale rotazione si traduce nel campo magnetico solare dove le linee di campo si attorcigliano, tutto ciò a sua volta può produrre campi magnetici localizzati molto forti in tutto il Sole, portando così alla formazione delle macchie solari da cui emergono le eruzioni solari.

In questi campi magnetici localizzati, le linee del campo magnetico possono diventare disordinate. Alla radice delle eruzioni solari, le linee del campo magnetico opposto si connettono, si interrompono e si riconnettono. Inoltre, potenti strati di corrente si estendono attraverso queste regioni centrali delle eruzioni solari. Sappiamo che la riconnessione magnetica provoca il rilascio di energia e l’accelerazione degli elettroni a velocità relativistiche, ma è stato difficile stabilire con esattezza come e dove tutto ciò si sia verificato nella struttura.

Il 10 settembre 2017 si è verificato un colossale brillamento solare di classe X 8.2. Tale brillamento solare è stato catturato in più lunghezze d’onda grazie all’interferometro EOVSA (Expanded Owens Valley Solar Array) del New Jersey Institute of Technology, tale strumento ha permesso al team di ricercatori di studiare dettagliatamente il gigantesco strato di corrente da 40.000 chilometri.

«Il luogo in cui tutta l’energia viene immagazzinata e rilasciata attraverso i brillamenti solari è stato fino ad ora invisibile … Per provare a spiegare questo concetto con un termine della cosmologia, potremmo dire che si tratta del “problema dell’energia oscura del Sole”, in precedenza abbiamo dovuto dedurre indirettamente che esisteva uno strato di riconnessione magnetica di un brillamento solare» scrive il Prof. Dale Gary direttore dell’EOVSA presso il New Jersey Institute of Technology. «Le immagini dell’EOVSA scattate a diverse frequenze nella banda delle microonde hanno mostrato che possiamo catturare le emissioni radio per illuminare questa importante regione» prosegue Gary.

Immagine 2 – Sopra: osservazioni effettuate nello spettro dell’ultravioletto (a sinistra) e simulazione matematica (a destra) del brillamento solare. Credits: NJIT-CSTR, B. Chen, S. Yu; CfA, C. Shen; Solar Dynamics Observatory.

I ricercatori hanno combinato i dati rilevati a lunghezze d’onda multiple con le simulazioni matematiche condotte dai fisici dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics (CfA). Non solo il profilo del campo magnetico insieme allo strato di corrente erano corrispondenti alle previsioni, ma c’era una struttura magnetica a forma di bottiglia nella parte superiore della base del brillamento solare – a 20.000 chilometri dalla superficie del Sole – dove gli elettroni vengono intrappolati e accelerati.

Lo strato di corrente e la riconnessione magnetica sembrano essere entrambi necessari per far si che avvenga il rilascio di energia e l’accelerazione degli elettroni. L’energia magnetica viene rilasciata nello strato di corrente ad un tasso di circa 10-100 miliardi di trilioni di joule al secondo, secondo i calcoli eseguiti dai ricercatori. Ma, sorprendentemente, non è qui che si verifica l’accelerazione delle particelle.

«Un tale enorme rilascio di energia nello strato di corrente è strabiliante. Il forte campo elettrico generato lì può facilmente accelerare gli elettroni ad energie relativistiche, ma il fatto inaspettato che abbiamo trovato è che il profilo del campo elettrico nella regione dello strato di corrente non coincideva con la distribuzione spaziale degli elettroni relativistici che abbiamo misurato», scrive Chen.

«In altre parole, doveva essere in gioco qualcos’altro per accelerare o reindirizzare questi elettroni. Ciò che i nostri dati mostravano era una posizione speciale nella parte inferiore dello strato di corrente – la bottiglia magnetica – sembra essere cruciale nel produrre o confinare gli elettroni relativistici» prosegue Chen.

I ricercatori fanno notare che, sebbene tali strutture siano già state proposte in studi precedenti, questa è la prima volta che ne è stata dimostrata l’esistenza. E le nuove misurazioni possono adesso essere utilizzate come base per studiare e analizzare i futuri brillamenti solari, nonché per studiare ulteriormente il meccanismo di accelerazione degli elettroni che si trovano all’interno.

La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Nature Astronomy.

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