QFT, gravità, entropia di entanglement e spaziotempo emergente: il nesso – Intervista a Fausto Intilla

Fausto Intilla (oloscience.com)

La teoria quantistica dei campi (QFT, dall’acronimo: Quantum Field Theory) è in grado di spiegare ogni esperimento mai eseguito dagli esseri umani. Quando si tratta di descrivere la realtà, è l’approccio migliore che abbiamo. È quindi una forte tentazione immaginare che le future teorie fisiche saranno inserite all’interno dell’ampio paradigma della teoria quantistica dei campi o di sue piccole varianti. Tuttavia la gravità, nel momento in cui si fa via via più intensa, non sembra ben descritta dalla teoria quantistica dei campi; dunque, in questa intervista al nostro caro amico Fausto Intilla, cercheremo di comprenderne i motivi e se vi è la possibilità di compiere dei progressi affrontando il problema da una prospettiva radicalmente diversa.

R.V: Bentrovato Fausto per questa nuova intervista che andremo a proporre ai nostri affezionati lettori di Altrogiornale.org; ma soprattutto, affezionati agli interessanti argomenti di cui sempre ci rendi partecipi, inerenti alle scienze d’avanguardia e di confine. Gli “addetti ai lavori” sanno da decenni ormai che la gravità, che descrive lo stato dello stesso spaziotempo, piuttosto che solo particelle o campi che si muovono all’interno dello spaziotempo, presenta notevoli difficoltà quando si cerca di descriverla in termini quantistici. Ebbene quali sono gli approcci più recenti a tale problema, da parte della comunità scientifica che si occupa dei fondamenti della teoria quantistica?

F.I: Attualmente la strada più battuta, per certi aspetti e analogie somiglia un po’ ad un lavoro di retroingegneria; invece di prendere la relatività generale classica e quantizzarla, si cerca di trovare la gravità all’interno della meccanica quantistica. In sostanza, ci si focalizza sugli elementi costitutivi fondamentali della teoria quantistica (funzioni d’onda, equazione di Schrödinger ed entanglement in primis) e ci si chiede in quali circostanze è possibile ottenere rami emergenti della funzione d’onda che sembrano campi quantistici che si propagano in uno spaziotempo curvo.

R.V: La cosa è molto interessante. Penso sia bene ricordare a questo punto, che già alle superiori è possibile parlare di spaziotempo, in relazione alla fisica newtoniana; dove i due concetti, tuttavia, rimangono sostanzialmente separati. Infatti prima delle scoperte di Einstein, non v’era alcun motivo per unirli in un unico concetto quadridimensionale. Fino alla comparsa della teoria della Relatività quindi, non v’erano grosse difficoltà nel definire la realtà del mondo in cui viviamo e dell’intero universo. Poi però la meccanica quantistica è andata inevitabilmente a complicare le cose.

F.I: Certamente. I problemi tra Relatività e meccanica quantistica sopraggiunsero non tanto nel 1905 con la nascita della Relatività Ristretta (che con la meccanica quantistica è compatibile praticamente al 100%; si ricordi che le moderne QFT sono assolutamente relativistiche), bensì nel 1916 con la nascita della Relatività Generale (RG). In RG lo spaziotempo quadrimensionale non è solo uno sfondo statico sul quale prendono forma tutte le varie dinamiche della realtà fisica, bensì un’entità con una “vita propria”.

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Lo spaziotempo può piegarsi e incurvarsi, e lo fa in risposta alla presenza di materia ed energia; esso non ha dunque una natura euclidea, nella quale abbiamo imparato fin dalle scuole medie che due rette parallele tra loro rimangono parallele per una distanza infinita e che la somma degli angoli interni di un triangolo qualsiasi risulta essere sempre di 180 gradi. Lo spaziotempo quadrimensionale è di natura non-euclidea; due raggi di luce che partono paralleli, ad esempio, possono convergere mentre si spostano nello spazio vuoto. Questi effetti di deformazione della geometria, danno origine in sostanza al moderno concetto di gravità.

R.V: A questo punto non possiamo non ricordare quella famosa citazione di John Wheeler che recitava se ben ricordo così: “La materia dice allo spaziotempo come si deve curvare e lo spaziotempo dice alla materia come si deve muovere”.

F.I: Ricordi benissimo e ciò che hai descritto, avviene attraverso precise ed opportune geodetiche, a loro volta correlate alla metrica di Riemann. Nell’equazione di campo di Einstein infatti troviamo un tensore che esprime la curvatura dello spaziotempo e altre grandezze imparentate con l’energia; tra cui la quantità di moto o quadrimpulso, la pressione e la densità di materia, tutte rappresentate dal tensore energia-impulso. Con l’arrivo della meccanica quantistica è stato del tutto naturale cercare di “quantizzare” la Relatività Generale per ottenere una teoria quantistica della gravità.

R.V: Penso sia bene ricordare a questo punto che la Relatività Generale è classica e che si tratta di una teoria dello spaziotempo piuttosto che di una teoria delle “cose” che accadono all’interno dello spaziotempo.

F.I: Certamente, hai fatto bene a ricordarlo; ma torniamo ora nell’ambito della meccanica quantistica. Molte teorie quantistiche descrivono funzioni d’onda che assegnano probabilità all’osservazione di certi oggetti in posizioni ben definite nello spazio e in momenti ben definiti nel tempo. La gravità quantistica invece, mira ad essere una teoria quantistica dello spaziotempo stesso; ed è proprio tale obiettivo che si intende raggiungere, che fin dalla metà degli anni Trenta del secolo scorso sino ad oggi, ha comportato una serie di difficoltà tecnico-matematiche apparentemente insormontabili. Il nocciolo fondamentale del problema sta nel fatto che non esiste un singolo spaziotempo, bensì una sovrapposizione di molte diverse geometrie spaziotemporali.

Se prendiamo in considerazione la meccanica ondulatoria, ci occorrerebbe presumibilmente una funzione d’onda che assegni ampiezze alle diverse possibili geometrie dello spaziotempo. Se immaginiamo ad esempio due rami di una tale funzione d’onda che descrivono diverse geometrie dello spaziotempo, non esiste un modo unico per specificare che due eventi nei due rami corrispondono allo “stesso” punto nello spaziotempo. In sostanza non è possibile creare quindi una corrispondenza fra due diverse geometrie, attraverso un procedimento unico ed esclusivo.

R.V: In tale contesto sarebbe come dire quindi, che non possiamo chiederci quale sia la probabilità di trovare un elettrone in un determinato punto dello spazio, poiché non esiste un modo oggettivo per determinare o meglio specificare, di quale punto stiamo parlando. Almeno questo è ciò che mi è parso di capire.

F.I: Esattamente! La gravità quantistica presenta una serie di problemi concettuali che la distinguono dalle altre teorie quantistiche. Potremmo addirittura chiederci se lo spazio e il tempo siano essi stessi fondamentali o se emergano da qualcosa di più profondo. Tuttavia, dobbiamo sempre tener presente che la gravità è una forza debolissima; la repulsione elettrica tra due elettroni è circa 10^43 volte più intensa della loro attrazione gravitazionale! Dunque la grande difficoltà sta nell’ottenere dati sperimentali diretti.

R.V: In tale contesto penso sia a questo punto inevitabile parlare degli ipotetici gravitoni, le famose particelle fino ad oggi mai osservate e che immagino potremmo definire come piccole increspature nel campo gravitazionale quantizzato.

F.I: Certamente, potremmo farlo… ma sarebbe solo un’inutile perdita di tempo. In quanto alla descrizione che ne hai dato, è indubbiamente accettabilissima. Oggi comunque, l’approccio di gran lunga più seguito per esplorare la gravità quantistica, è rappresentato dalla teoria delle stringhe. Un altro approccio assai popolare è rappresentato dalla gravità quantistica a loop (LQG, dall’acronimo: Loop Quantum Gravity), in cui la Relatività Generale viene quantizzata in modo diretto attraverso una particolare scelta di variabili. Tuttavia quest’ultima teoria è meno “estesa” rispetto alla teoria delle stringhe, poiché si occupa solo della gravità stessa; mentre la teoria delle stringhe tende ad occuparsi di tutte le forze e della materia contemporaneamente.

Per entrambi i casi tuttavia, l’aspetto in comune è che si parte da un insieme di variabili classiche per poi arrivare alla quantizzazione. Ma è proprio in tale contesto che nascono le maggiori difficoltà concettuali. Se ci concentriamo sulla natura quantistica della realtà, da cui ovviamente anche il macrocosmo prende forma, ci accorgiamo subito che concetti quali spazio, campi e particelle hanno a che fare con una funzione d’onda che evolve secondo una versione appropriata dell’equazione di Schrödinger. Il problema centrale inerente a tale visione della realtà, sta dunque nel cercare di estrarre i concetti di spazio, campi e particelle, da una funzione d’onda intrinsecamente quantistica, senza doverli quantizzare partendo da un limite classico.

R.V: Dunque, se ho ben compreso le cose, che ovviamente da un punto di vista concettuale sfidano qualsiasi principio intuitivo della mente umana, l’obiettivo è quello di trovare principalmente lo “spazio” all’interno di una funzione d’onda. Giusto?

F.I: Esattamente. Il problema principale sta nell’identificare certe caratteristiche della funzione d’onda che “somigliano” al nostro modello concettuale di “spazio” e che ci conducano quindi verso un’opportuna metrica atta a definire le distanze. Ecco quindi che entra in causa il concetto di entanglement, che a differenza dello “spazio”, è sempre disponibile in qualsiasi funzione d’onda quantistica astratta. In sostanza dunque, si osserva la struttura di entanglement degli stati e la si usa per definire le distanze. In tale contesto, come “misura quantitativa” dell’entanglement, viene utilizzata l’entropia quantistica di von Neumann.

Ed ecco quindi che sopraggiunge il concetto di “entropia di entanglement”, nel quale non mi addentrerò nei dettagli per non complicare troppo le cose; già fin troppo complicate e controintuitive per chiunque stia leggendo questa intervista, immagino. Si tenga solo presente che, maggiore è l’entropia di un sottosistema quantistico e più entangled esso sarà con il mondo esterno. Nella teoria quantistica dei campi, un aspetto molto interessante è dato dal fatto che scegliendo una determinata regione nello spazio vuoto, l’entropia di tale regione risulterà proporzionale all’area del suo limite di confinamento. Emerge dunque un ipotetico nesso tra una grandezza geometrica ed una grandezza fisica; nello specifico tra area ed entropia.

Per analogia, qualcosa di simile si osserva nell’equazione di campo di Einstein; dove la curvatura dello spaziotempo è strettamente legata all’energia. Sono trascorsi già ventisette anni ormai, da quando nel 1995, Ted Jacobson ipotizzò che l’area di una superficie sia proporzionale all’entropia della regione che racchiude. Se pensiamo all’entropia come un fenomeno collettivo che emerge dall’interazione reciproca di molti piccoli componenti di un sistema, analogamente, il comportamento dello spaziotempo in Relatività Generale si può considerare semplicemente come la tendenza naturale dei sistemi a muoversi verso configurazioni di maggiore entropia.

R.V: Ma tutto ciò, in ultima analisi, come si concilia con il concetto di gravità quantistica e di spaziotempo emergente?

F.I: Ebbene con la tua domanda andiamo finalmente al cuore del problema. Chiaramente nel contesto di uno stato quantistico descritto in termini di gradi di libertà astratti, non sappiamo in che modo identificare ed interpretare il concetto a cui solitamente associamo il termine “area”; ovvero non ne conosciamo fondamentalmente il significato, in un ambito così astratto della meccanica quantistica. Tuttavia, tra i gradi di libertà che definiscono uno stato quantistico, troviamo qualcosa di fondamentale importanza: l’entanglement; il che ci permette di calcolare l’entropia per ogni insieme composto da tali gradi di libertà. Ciò che in sostanza possiamo fare dunque, è definire l’area di una certa unione di gradi di libertà, in modo tale che sia proporzionale alla sua entropia di entanglement.

Se immaginiamo una rete composta da una moltitudine di sottoinsiemi di gradi di libertà, ad ognuno di essi possiamo associare un’area emergente da ciascuna superficie considerata. Ed ecco quindi che riusciamo a stabilire, per ogni regione, una relativa e ben determinata geometria; in pratica arriviamo a conoscere immediatamente la metrica di tutto il sistema preso in considerazione. In altri termini possiamo affermare che, dalla struttura dell’entanglement dello stato quantistico, emerge necessariamente una metrica dello spazio. Da tali premesse, nasce il concetto di “spazio emergente”.

R.V: Ma affermare ciò, se ho ben capito, sarebbe come ammettere la possibilità che lo spaziotempo non sia fondamentale, bensì “qualcosa” che emerga dalla funzione d’onda. Dico bene?

F.I: Certamente, l’ipotesi fondamentale è proprio questa. Partendo da una funzione d’onda quantistica astratta, abbiamo un “piano d’azione” che descrive come emerge lo spazio, con una relativa geometria definita dall’entanglement quantistico. Un aspetto inoltre degno di nota, è che tale geometria sembra obbedire alle regole dinamiche della Relatività Generale. Forse la strada per comprendere al meglio la natura ultima della realtà, non risiede nel quantizzare la gravità, bensì nel cercare la gravità all’interno della meccanica quantistica.

R.V: L’equazione di Schrödinger, tuttavia, descrive letteralmente come lo stato quantistico si evolve nel tempo. La domanda quindi che sorge spontanea, a questo punto, è la seguente: è possibile che anche il tempo, come lo spazio, sia un fenomeno emergente piuttosto che fondamentale?

F.I: Sì, potrebbe anche darsi, ma vi sono ancora parecchi punti oscuri a tal riguardo. L’equazione di Schrödinger afferma che la velocità a cui varia la funzione d’onda è dovuta alla quantità di energia del sistema quantistico. Nel caso dunque di un sistema quantistico in cui l’energia fosse pari a zero, il tempo semplicemente scomparirebbe! Se ipotizziamo un universo chiuso, dunque a geometria compatta come una sfera o come un toro tridimensionali, anziché estendersi all’infinito, l’energia potenziale gravitazionale, che per definizione è negativa, risulta essere esattamente uguale e opposta all’energia positiva di tutto il resto dell’universo considerato. In tale contesto, si arriva quindi al concetto di un universo avente un’energia totale esattamente nulla! Ma ora arriva il bello…

R.V: Non avevo dubbi…

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

F.I: Le “meraviglie della natura” appena esposte, che reggono ovviamente nell’ambito della fisica classica, hanno un corrispettivo analogo nel contesto della meccanica quantistica. In tale ambito troviamo infatti la famosa equazione di Wheeler-DeWitt, in cui si afferma semplicemente che lo stato quantistico dell’universo non si evolve affatto in funzione del tempo. Ebbene se lo stato quantistico dell’universo obbedisce all’equazione di Wheeler-DeWitt, il tempo deve necessariamente essere un fenomeno emergente, piuttosto che fondamentale. Ed è a questo punto che entra in gioco l’entanglement, dove qualsiasi mezzo meccanico atto a misurare lo “scorrere del tempo”, nel risultare entangled con il resto dell’universo, va ad annullare il concetto stesso di tempo; in sostanza, nella staticità di un’infinita sovrapposizione di istanti, il concetto dinamico dello “scorrere del tempo”, va a perdersi poiché non ha più alcuna ragione d’esistere.

Il punto è che nessuno sa se l’energia totale dell’universo sia effettivamente nulla. Se così fosse, allora il tempo sarebbe necessariamente un fenomeno emergente; se invece non fosse così, allora il tempo sarebbe da intendersi come un elemento fondamentale, adattabile nelle sue varie forme, sia nell’ambito della fisica classica che in quello della fisica quantistica.

R.V: A commento di ciò che hai appena affermato, posso solo osservare che le capacità della mente umana di spingersi oltre ogni limite, hanno qualcosa di davvero incredibile. Grazie di cuore come al solito per averci offerto il tuo… tempo prezioso, nella spiegazione a carattere divulgativo di una realtà che purtroppo, rimane sempre assai ostica da capire, anche da un punto di vista solo intuitivo, per moltissime persone.

F.I: Grazie a te Riccardo. Un caro saluto a tutto lo staff di AG. A presto!