Hegel – Dalla coscienza infelice al sapere assoluto

Hegel

Hegel pensa all’evoluzione dello spirito come ad un succedersi di figure astratte, che rappresentano i diversi stadi dello svolgersi della coscienza, fino al raggiungimento del sapere assoluto, dove la coscienza si rende conto di essere essa stessa l’intera realtà.

La fenomenologia – scienza di ciò che appare – consiste, dunque, nell’apparire dello spirito a se stesso.

La Fenomenologia dello Spirito ha una funzione didattico-pedagogica, in quanto il singolo individuo può scorgervi i diversi gradi che la coscienza ha dovuto superare, nella storia della civiltà, attraverso varie traversie, per potersi riconoscere come coscienza infinita e universale, come “la certezza di essere ogni realtà”, come Tutto.

Il singolo individuo agevolmente riconosce le tappe, le figure, dello spirito universale, che sono, ad un tempo, entità ideali e storiche, metafore della crescita della coscienza e della storia dello sviluppo culturale. E’ un viaggio di una coscienza infelice che non sa di essere tutta la realtà: essa è coscienza scissa che ritrova il sé e si riconosce come Tutto attraverso un processo di auto-coscienza. E’ la storia romanzata della coscienza!

La Fenomenologia si divide in due parti: la prima parte comprende i tre momenti della coscienza (tesi), dell’autocoscienza (antitesi) e della ragione (sintesi); la seconda include le tre sezioni dello spirito, della religione e del sapere assoluto.

A. La coscienza è ciò che si rapporta con l’esterno, che Hegel definisce “oggetto”. In questa relazione la coscienza attraversa tre stati conoscitivi, cioè la certezza sensibile, la percezione e l’intelletto.

La certezza sensibile è la consapevolezza dell’esistenza dell’oggetto nel momento in cui lo percepiamo con i nostri sensi e non ci dà alcun tipo di conoscenza. La percezione si ha quando l’oggetto viene interiorizzato, per cui diventa effettivamente qualcosa attraverso un’unificazione delle sue numerose qualità. L’intelletto è la capacità di richiamare l’oggetto alla mente senza aver bisogno di avvertirlo attraverso i sensi, ovvero significa possedere il concetto di una determinata cosa.

B. Con l’autocoscienza Hegel si occupa di definire il soggetto e le relazioni che esso ha con gli altri individui.

L’autocoscienza non si riconosce come identità se non nella sua duplicazione poiché una coscienza, per poter veramente definirsi tale, ha bisogno di relazionarsi con un’altra coscienza. All’inizio esse si muovono in sincronia, come fossero allo specchio. L’autocoscienza fuori di sé cerca dunque di riconoscere l’altro, ma non riesce nel suo intento perché non trova che la sua stessa essenza. La successiva lotta per la vita è l’elemento decisivo, in cui una delle due coscienze prevale sull’altra, ed entrambe trovano la propria identità in un elemento di diversificazione dall’altra. E’ a questo punto che si ha la formazione di due figure, attraverso le quali il pensiero può procedere dando vita a nuove figure fino al raggiungimento della coscienza dell’Universale.

Le figure del servo e del padrone sono sicuramente le più note della Fenomenologia dello Spirito. Esse hanno dato adito, infatti, a numerose questioni filosofiche per la notevole ricchezza tematica.

La coscienza ha un’altra coscienza di fronte a sé. Entrambe, come in un balletto, si muovono simmetricamente. Al movimento dell’una corrisponde, come in uno specchio, il movimento dell’altra finché, in un processo di differenziazione, le due coscienze ingaggiano una lotta per la vita o la morte. Quella che ha paura della morte, che “ha tremato nel profondo di sé”, che si priva della propria libertà per aver salva la vita, si trova in posizione subordinata rispetto all’altra: essa è il servo. La coscienza che mostra di non aver paura di morire è il padrone.

Tuttavia, questa posizione di supremazia, ad una analisi più approfondita, diventa dialetticamente l’opposto: il padrone è servo del servo e il servo è padrone del padrone! Il processo con cui si crea l’indipendenza del servo consta delle fasi della paura della morte, del servizio e del lavoro.

La paura della morte fa comprendere al servo la distinzione tra se stesso e il resto delle cose, chiarendo come la sua essenza sia completamente diversa dalla realtà che lo circonda.

Durante il servizio la coscienza si auto-disciplina ed impara a vincere i propri impulsi naturali.

Il lavoro è l’attività umano-sensibile con cui si stabilisce il rapporto servo-natura. La natura diventa nuovo elemento di confronto perché, una volta antropomorfizzata attraverso il lavoro, essa ritorna al servo come immagine di se stesso come quando un artista imprime nell’argilla la propria sensibilità e in tal modo si riconosce nell’oggetto creato. La natura antropomorfizzata è uno specchio!

Il servo a questo punto non ha più bisogno del padrone perché ha trovato l’alterità (oltre che se stesso) nella natura. Il padrone, al contrario, ha bisogno della mediazione del servo, che diventa necessario affinché la coscienza si riconosca e possa interagire con la natura; il padrone si ritrova, così, ad essere servo del servo.

I marxisti riconosceranno ad Hegel il merito di aver intuito l’importanza del lavoro come elemento fondamentale dello sviluppo umano. La figura del servo, inoltre, anticipa alcuni temi dell’esistenzialismo heideggeriano come la consapevolezza dell’esistenza di sé tramite l’angoscia della morte.

Il signore è uno stoico in quanto, non avendo paura della morte, crede di potersi rendere completamente indipendente dalle cose materiali, raggiungendo quindi una libertà assoluta. La libertà dello stoico è però solo un prodotto del puro pensiero, perché egli è costretto infine a costatare che i condizionamenti della realtà esterna permangono.

La diffidenza nei confronti di ciò che è reale si tramuta, poi, nello scetticismo: visione filosofica in cui la verità assume il connotato della relatività. Hegel critica gli scettici perché essi si auto-contraddicono nel momento in cui, affermando che ogni conoscenza è relativa, impongono una verità che, di per sé, è assoluta. Inoltre cercano di imporre un’etica scettica dopo aver reso nullo il ruolo dell’etica stessa. Infine, non si accorgono che, per parlare delle cose del mondo, essi devono prima averle percepite attraverso quegli stessi sensi che dichiarano essere fallaci.

Profferisce l’assoluto dileguare; ma il profferire è; […] profferisce la nullità del vedere, dell’udire ecc. ed è proprio lei che vede, ode ecc.; profferisce la nullità delle essenze etiche, e ne fa le potenze del suo agi-re. Il suo operare e le sue parole si contraddicono sempre. (Fenomenologia)

La coscienza scettica trapassa nella figura della coscienza infelice – altra figura notissima della Fenomenologia – che si caratterizza per una separazione radicale tra uomo e Dio. Questa figura cerca costantemente un raccordo tra sé e la verità, ma non vi riesce, per cui si trova in continuo movimento senza mai giungere ad un approdo.

L’opposizione tra uomo e Dio si ritrova già nella religione ebraica, dove Dio è un padrone lontano che impone la sua autorità dall’alto della sua completezza. Anche la religione cristiana fallisce nel suo tentativo di ricongiungimento all’Assoluto, pur avendo prodotto un Dio-uomo: Gesù Cristo. Simbolo di questo fallimento sono le Crociate, che si concludono con un sepolcro vuoto.

La coscienza resta dunque infelice e la sua condizione si manifesta nella devozione, nel fare e nella mortificazione.

La devozione è il frutto di un’inquietudine irrazionale, che cerca un punto di riferimento che, però, non esiste. Si ciba dunque di una lontana rappresentazione di Dio, che non è capace in alcun modo di soddisfare la coscienza infelice.

Il fare si esprime con il concupire e l’appetire le cose del mondo e non quelle di Dio; il desiderio trova una sua realizzazione nel lavoro. Hegel, probabilmente, fa riferimento all’ora et labora benedettino.

La mortificazione di sé, l’ascetismo, l’umiliazione della carne, è il punto più basso toccato dalla co-scienza infelice, che in questo modo nega completamente se stessa per cercare di elevarsi a Dio.

La coscienza, a questo punto, si renderà conto di essere lei stessa Dio e potrà quindi cominciare il suo percorso verso l’Assoluto. Hegel posiziona questo evento nel parallelo storico del Rinascimento.

C. La Ragione è quindi la coscienza che diventa consapevole di se stessa. Questa consapevolezza è, in ultima analisi, lo stesso idealismo, cioè l’affermazione filosofica che la vera realtà è l’Idea, cioè il Pensiero.

Essa si realizza, a sua volta, nei diversi momenti della ragione osservatrice della natura, dell’attività pratica individuale, fino a culminare nell’eticità, cioè nel momento in cui l’individuo supera se stesso e si realizza nel concreto di un popolo, di uno Stato e delle sue istituzioni.

A questo punto, però, la Ragione diventa Spirito e il suo sviluppo non è più quello della coscienza individuale, bensì quello della storia dell’umanità.

Tratto da: “Il volto della filosofia
Manuale di Storia della Filosofia
Cap.I. L’ultimo Sistema (Hegel) – pag. 16-17-18