Il futuro secondo Google: microchip nel cranio

di Adam Sherwin – 17/12/2013

«Non ho un microchip nel cervello – non ancora», dice l'uomo che ha il compito di trasformare la relazione tra Google e gli utenti umani di questo gigante del mondo della tecnologia.

Ma Scott Huffman preconizza un mondo in cui i microfoni di Google, inseriti nel soffitto, ascolteranno le nostre conservazioni intercettando le risposte verbali date a qualunque domanda sia posta.

Huffman, direttore tecnico di Google, guida un team che ha come obiettivo rendere le conversazioni con i motori di ricerca più simili alle complesse interazioni che si svolgono ogni giorno tra le persone.

Il futuro di un business da 300 miliardi di dollari dipende dal successo nel riuscire a prevedere, automaticamente, le necessità di ricerca degli utenti, per poter presentare loro i dati di cui hanno bisogno.
«La capacità di calcolo sta diventando così poco costosa che è inevitabile che prima o poi avremo una completa ubiquità di sistemi connessi tra loro attorno a tutti noi, dal nostro microfonino attaccato al bavero alla nostra auto, ai nostri Google Glass [un nuovo piccolo computer ottico inserito in un paio di occhiali]», ha affermato Huffman durante una visita nel Regno Unito dalla base californiana della società.

Un piccolo microfono appeso al soffitto, che possa rispondere a interrogazioni verbali al motore di ricerca, eliminerebbe la necessità di dover tirare fuori ogni volta un telefonino per controllare a che ora parte l'aereo prenotato per il giorno dopo. Potrebbe anche impedire che tu perda il tuo volo.

«Come un efficientissimo segretario personale, interromperà le tue attività per dirti 'è ora di partire adesso'. Ti darà le informazioni di cui hai bisogno», ha affermato Huffman.

Di fatto, sostiene Huffman – cioè l'uomo che più di ogni altro ha lavorato, negli ultimi quindici anni, per raffinare il funzionamento dei motori di ricerca – il goffo atto fisico di usare una tastiera per compilare il campo di ricerca della pagina di Google andrà gradualmente scomparendo fino a quasi sparire del tutto.

Le informazioni necessarie potrebbero essere rese disponibili tramite «un piccolo sistema indossabile, che potrebbe avere un piccolo schermo, e con cui si interagirà semplicemente attraverso la nostra voce, forse con qualche piccolo tocco, e nient'altro».

Per il gioco e per il lavoro

La rete di microfoni potrà anche essere usata per il tempo libero. «Immagina che io possa dire al microfono inserito nel soffitto di una stanza 'puoi farmi vedere il video con gli highlights della partita di ieri dei Pittsburgh Steelers sulla TV del salotto?', e che questo funzioni, grazie al fatto che con il Cloud ogni cosa è connessa», dice Huffman.

«Potrei chiedere al mio 'assistente' di suggerirmi un ristorante francese non troppo caro. Google dirà 'ok, andremo in quel ristorante', e prima ancora che io salga in macchina il navigatore avrà già impostato il percorso. Siamo veramente molto entusiasti all'idea che una serie di diversi strumenti e apparati siano capaci di comunicare tra loro».

Che poi gli utenti di Google vogliano davvero un microfono inserito in ogni soffitto è un'altra questione, specie dopo che la società è stata coinvolta nella crisi di fiducia generata dalle rivelazioni di Edward Snowden a proposito del programma di sorveglianza elettronica clandestino PRISM operato per anni dalla National Security Agency americana.

Lunedì scorso, Google ha unito le proprie forze a quelle di altri giganti della tecnologia come Facebook, Apple e Yahoo!, insieme ai quali ha chiesto un cambiamento nelle norme che regolano le procedure di sorveglianza elettronica negli USA, e una messa al bando su scala internazionale della raccolta massiva di “metadati” per aiutare a mantenere la fiducia del pubblico nella rete internet e nelle sue tecnologie.

«Prendiamo molto sul serio le questioni relative alla privacy e alla sicurezza», ha detto Huffman. «Il nostro obiettivo è tenere le informazioni degli utenti al sicuro, ed usarle in un modo che possa aiutarli. Quando faccio una richiesta di informazioni di viaggio a Google, mentre sto viaggiando, il sistema le elabora utilizzando la mia mail di conferma all'hotel.

Così, io in quel momento fornisco quella mia informazione privata a Google, affidandola a un sistema che considero fidato, e che in cambio di quell'informazione sto ottenendo quel vantaggio».

Google ritiene di poter un giorno soddisfare il bisogno di informazioni dei suoi utenti inviando i risultati delle sue ricerche direttamente a dei microchip impiantati nel loro cervello. Sono state già avviate ricerche relative alla possibilità di utilizzare simili microchip per poter aiutare persone disabili a sterzare guidando le proprie sedie a rotelle.

«Se tu pensi con sufficiente intensità a una certa parola, essa può essere individuata da dei sensori con una certa facilità. Sarà interessante vedere gli sviluppi di questa tecnologia», ha dichiarato Huffman.

La sua attuale priorità è utilizzare “Google's Knowledge Graph”, un magazzino di informazioni in continua espansione che al momento contiene 18 miliardi di informazioni su fatti relativi a 60 milioni di soggetti, per produrre un sistema di risposta più “umano”. Le richieste di informazioni di tipo vocale sono molto più complesse di quelle fatte immettendo un paio di parole nella finestra di dialogo di un comune motore di ricerca.

«Il mio team sta lavorando molto sull'idea di avere una più ricca modalità di conversare con Google. Nelle nostre comuni conversazioni usiamo una struttura linguistica molto complessa, che Google oggi non è in grado di comprendere.

Ma tra cinque anni avremo quel tipo di conversazione con Google, e la cosa ci sembrerà del tutto naturale. Google ti risponderà esattamente nel modo in cui lo farebbe una persona».
L'ingegnere aggiunge: «Google sarà in grado di comprendere il contesto di una conversazione, ma non è il divano del tuo analista.

Non puoi avere una conversazione su tua madre. Google non può dirmi nulla su come mi sento finché continuerà a comprendere solo 'cose' fattuali. Stiamo appena iniziando a comprendere le 'cose' nel mondo».

Fonte originale: http://megachip.globalist.it/
Fonte articolo: http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=46809