Bonificare Fukushima, sette anni dopo

Bonificare Fukushima, sette anni dopo
nucleare
Tecnici dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica ispezionano il sito di Fukushima Daiichi (Credit: Greg Webb / IAEA)

Nel sito del disastro nucleare del 2011 sono iniziate le operazioni di recupero dei detriti radioattivi e di smantellamento dell’impianto, ma il processo sarà molto lungo e costoso. L’ente che gestisce la centrale ha infatti messo in preventivo 30-40 anni di lavori e più di 75 miliardi di dollari di costi, ma molti ritengono che entrambe le cifre siano fortemente sottostimate. Sette anni dopo che uno dei più grandi terremoti mai registrati scatenò un enorme tsunami innescando una fusione nella centrale nucleare giapponese di Fukushima Daiichi, i responsabili dell’impianto riferiscono di aver finalmente affrontato il titanico compito di bonificare il sito prima del definitivo smantellamento. Ma si tratterà di un’opera lunga e costosa, che richiederà operazioni ingegneristiche mai tentate prima, e della quale non sono ancora stati definiti tutti i dettagli.

Quando, l’11 marzo 2011, il disastro mise fuori uso la fornitura di elettricità esterna e interna, tre dei sistemi di raffreddamento delle quattro unità del reattore dell’impianto si disattivarono. Questo causò il surriscaldamento del combustibile nucleare, provocando una fusione ed esplosioni di idrogeno, con emissioni di radiazioni. L’ente di gestione dell’impianto, la Tokyo Electric Power Co. (TEPCO), intervenne raffreddando i reattori con l’acqua, un’operazione che continua tuttora. Nel frattempo, migliaia di persone che vivevano nell’area circostante furono evacuate e le altre centrali nucleari del Giappone furono temporaneamente disattivate.

Negli anni trascorsi dal disastro e dall’intervento immediato per fermare il rilascio di materiale radioattivo, gli addetti hanno lavorato su come decontaminare il sito senza liberare ulteriori radiazioni nell’ambiente. Occorrerà uno sforzo ingegneristico complesso per gestire migliaia di barre di combustibile, insieme ai detriti deformati dei reattori e all’acqua usata per raffreddarli. Nonostante i contrattempi, ora il progetto sta effettivamente procedendo, dicono i funzionari della TEPCO. “Stiamo ancora effettuando studi per localizzare il combustibile fuso, ma abbiamo comunque determinato che le unità sono stabili”, afferma Naohiro Masuda, responsabile capo dello smantellamento della
TEPCO per Daiichi.

Lavori idraulici
Ripulire e smontare completamente l’impianto potrebbe durare una generazione o più, e avrà un prezzo molto alto. Nel 2016 il governo ha aumentato la sua stima dei costi a circa 75,7 miliardi di dollari, che sono solo una parte del costo complessivo del disastro di Fukushima, pari a 202,5 miliardi di dollari. Tuttavia, il Japan Center for Economic Research, un think tank privato, ha dichiarato che i costi di bonifica potrebbero ammontare a una cifra variabile tra 470 e 660 miliardi di dollari.

In base a un piano d’azione governativo, la TEPCO spera di finire il lavoro tra 30 o 40 anni. Ma alcuni esperti dicono che potrebbe essere una sottostima. “In generale, le stime del lavoro che comportano la decontaminazione e lo smaltimento di materiali nucleari sono sottovalutate di decenni”, afferma Rod Ewing, professore di sicurezza nucleare e scienze geologiche alla Stanford University. “Penso che dovremo aspettarci che il lavoro possa andare oltre i tempi previsti.”

I tempi e le spese considerevoli sono dovuti al fatto che la bonifica è una vera e propria idra dalle cento teste, che coinvolge un’ingegneria senza precedenti. La TEPCO e i suoi numerosi appaltatori si concentreranno su diversi fronti.

Ogni giorno l’acqua viene fatta circolare deliberatamente in ogni reattore per raffreddare il combustibile presente all’interno, ma l’impianto si trova su un pendio e l’acqua piovana continua a riversarsi anche negli edifici. Gli addetti hanno costruito un elaborato sistema di lavaggio che rimuove dall’acqua il cesio, lo stronzio e dozzine di altre particelle radioattive; parte di questa è fatta ricircolare nei reattori, e parte finisce nelle file di giganteschi serbatoi del sito. Circa un milione di tonnellate di acqua sono conservate in mille serbatoi e il volume cresce di 100 tonnellate al giorno rispetto alle 400 tonnellate di quattro anni fa.

Per impedire che altra acqua s’infiltri nel terreno e si contamini, è stato pavimentato oltre il 90 per cento del sito. È stata anche costruita una serie di canali di scolo e di barriere sotterranee, tra cui un “muro” presumibilmente impermeabile di terra ghiacciata costato 325 milioni di dollari, per impedire all’acqua di riversarsi nei reattori e nell’oceano. Tuttavia, questi accorgimenti non hanno funzionato bene come previsto, specialmente durante i tifoni, quando le precipitazioni raggiungevano il massimo, e quindi le falde acquifere continuano a essere contaminate.

Anche se l’acqua contaminata è stata scaricata in mare dopo il disastro, studi di laboratori giapponesi e stranieri hanno dimostrato che il cesio radioattivo nel pesce catturato nella regione è diminuito e ora è entro i limiti di sicurezza alimentare del Giappone. La TEPCO non dirà quando avrà deciso cosa fare con tutta l’acqua immagazzinata, perché scaricarla di nuovo nell’oceano attirerebbe numerose critiche in patria e all’estero, ma la preoccupazione è che un altro potente terremoto possa causarne l’uscita dai serbatoi.

Raccogliere il combustibile
Un altro problema enorme a Fukushima è come maneggiare il combustibile, cioè i noccioli di uranio fusi, e le barre di combustibile esauste e quelle non utilizzate, immagazzinate nei reattori. Usando sonde robotiche e tecniche di imaging 3-D a muoni (un tipo di particella subatomica), gli addetti hanno trovato depositi e resti di ciottoli in varie aree all’interno dei vessel di contenimento primario nelle tre unità del reattore dell’impianto. Si pensa che questi residui altamente radioattivi siano combustibile fuso e strutture di supporto.

La TEPCO non ha ancora capito come rimuovere i detriti, ma vuole iniziare il lavoro nel 2021. Esistono pochi precedenti per un’operazione di questo tipo. Lake Barrett, direttore della centrale nucleare di Three Mile Island di Middletown, Pennsylvania, in fase di smantellamento dopo una fusione parziale avvenuta nel 1979, afferma che la TEPCO utilizzerà i robot per scavare il combustibile fuso e conservarlo in contenitori in loco prima d’inviarlo al suo punto di smaltimento finale. “E’ simile a quello che abbiamo fatto a Three Mile Island, solo molto più in grande e con un’ingegneria molto più sofisticata, perché il loro danno è più grave del nostro”, afferma Barrett. “Anche se il lavoro è tecnicamente molto più impegnativo del nostro, il Giappone ha eccellenti capacità tecnologiche e la tecnologia robotica mondiale è cresciuta enormemente negli ultimi 30 anni.”

Shaun Burnie, specialista senior di questioni nucleari di Greenpeace Germania, dubita che l’ambizioso lavoro di bonifica possa essere completato nel tempo stabilito, e s’interroga sulla possibilità di contenere completamente la radioattività. Fino a quando la TEPCO non sarà in grado di verificare le condizioni del combustibile fuso, afferma, “non ci potrà essere conferma di quale impatto e quali danni abbia avuto il materiale” sui vari componenti dei reattori, e quindi su quante radiazioni potrebbero fuoriuscire nell’ambiente in futuro.

Un’immagine satellitare della centrale di Fukushima Daiichi ripresa dopo il disastro (SPL/AGF)

Anche se la società è riuscita a rimuovere in modo sicuro tutte le 1.533 barre di combustibile dal reattore dell’unità n. 4 dell’impianto entro dicembre 2014, deve ancora fare lo stesso per le centinaia di barre immagazzinate nelle altre tre unità. Ciò comporta la rimozione di detriti, l’installazione di protezioni, lo smantellamento dei tetti degli edifici e l’installazione di piattaforme e attrezzature speciali sui tetti per rimuovere le barre. Il mese scorso un tetto a cupola da 55 tonnellate è stato installato sull’unità n. 3 per facilitare la rimozione sicura delle 533 barre di combustibile che rimangono in un a piscina di stoccaggio.

Mentre la rimozione dovrebbe iniziare nell’unità n. 3 prima dell’aprile 2019, il combustibile delle unità n. 1 e 2 non sarà pronto per il trasferimento prima del 2023, secondo la TEPCO. E non è ancora stato deciso dove esattamente saranno immagazzinati o smaltiti a lungo termine il combustibile e gli altri residui radioattivi solidi presenti nel sito; lo scorso mese è entrato in funzione il nono edificio di stoccaggio di rifiuti solidi del sito, con una capacità di circa 61.000 metri cubi.

Per quanto riguarda l’aspetto del sito tra qualche decennio, gli addetti alla bonifica si rifiutano di parlare. Ma sono decisi a differenziarlo dal contenimento in stile sarcofago della catastrofe del 1986 di Chernobyl. Mentre lo stabilimento di Chernobyl è sigillato e la zona circostante rimane off-limits tranne che per brevi visite – con diverse città fantasma – i funzionari del governo giapponese vogliono che intorno al sito di Daiichi siano di nuovo abitabili quante più aree possibile.

“Per accelerare la ricostruzione della regione di Fukushima e la vita degli abitanti della zona, la chiave è ridurre il rischio a medio e lungo termine”, afferma Satoru Toyomoto, direttore per le questioni internazionali dell’Ufficio di risposta agli incidenti nucleari presso il Ministero dell’economia, del commercio e dell’industria. “In tal senso, mantenere i detriti in loco senza approvazione non è un’opzione”.

Tim Hornyak/Scientific American

(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su Scientific American il 9 marzo 2018. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)

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