E.T. c’è un problema: la caducità delle civiltà

E.T. c’è un problema: la caducità delle civiltà
L’ipotetica espansione geometrica dei segnali di civiltà extraterrestri nella nostra galassia. Il momento in cui una civiltà smette di trasmettere è indicato dalla creazione del buco delle ciambelle. Crediti: Geoff Marcy, UC-B e Claudio Grimaldi, Ecole Polytechnique Fédérale de Lausanne

Da decenni siamo in ascolto di segnali alieni, finora senza successo. Le variabili da considerare sono tante, espresse nella famosa equazione di Drake. Claudio Grimaldi dell’École Polytechnique Fédérale de Lausanne ci spiega come abbia cercato di raffinarle in un nuovo paper, in uscita su Publications of the Astronomical Society of the Pacific.

«Non bisogna domandarsi dove sono gli extraterrestri, ma dove sono gli oggetti fabbricati da loro» si chiedeva Arthur C. Clarke, il prolifico autore di fantascienza padre della saga dell’Odissea nello spazio. Ma forse sarebbe ancora più corretto domandarsi: dove sono i loro segnali? E potremo mai comunicare con loro? Un’eventualità tanto pessimista quanto realistica, esplorata da uno studio di prossima pubblicazione, è che se anche dovessero giungere sulla Terra dei messaggi, potrebbero provenire da lontane civiltà da tempo estinte. Mentre le civiltà ancora in vita potrebbero essere intente a inviarci segnali che ancora devono arrivarci.

La ricerca di messaggi dallo spazio profondo ha una storia che risale agli anni ’70, con la nascita del progetto Seti per volontà del celebre divulgatore Carl Sagan e dell’astronomo Frank Drake. Usando gigantesche antenne, si scandaglia il cielo alla ricerca di un segnale che possa essere indicativo dell’esistenza di una civiltà extraterrestre, sempre ammesso che esistano. Per avere una stima probabilistica del loro numero, Drake negli anni ’60 creò la famosa equazione che porta il suo nome.

Il 23 febbraio un team di ricerca guidato da Claudio Grimaldi, ricercatore all’École Polytechnique Fédérale de Lausanne, ha pubblicato un preprint– che annovera fra i cofirmatari lo stesso Frank Drake ed è di prossima uscita su Publications of the Astronomical Society of the Pacific – che perfeziona il risultato della famosa equazione approfondendo, appunto, il problema della durata delle civiltà. Media Inaf lo ha intervistato.

Grimaldi, partiamo dall’equazione di Drake: come cambia con la vostra ricerca?

«L’equazione di Drake è una moltiplicazione di fattori di probabilità: il numero di stelle che nascono in una galassia, il numero di pianeti che si formano attorno a suddette stelle, su quanti di questi pianeti ci sono le condizioni necessarie per la vita e così via. Questa è la parte destra dell’equazione. La parte sinistra, invece, indica il numero di civiltà che stanno trasmettendo segnali nella nostra galassia: si tratta chiaramente di una stima, e viene indicato con “N”. Abbiamo creato un modello abbastanza semplificato di quanti segnali possano raggiungere la Terra se consideriamo che le civiltà sono disperse per la galassia in maniera omogenea. La Via Lattea ha un diametro di circa 100mila anni luce. Assumendo che le civiltà abbiano un determinato tempo di vita entro cui trasmettono, indicato nell’equazione con la lettera “L”. Il risultato che abbiamo ottenuto è che il numero medio di questi segnali coincide con il numero medio di civiltà che emettono segnali in questo momento, ovvero con “N”, il numero a sinistra dell’equazione di Drake. La cosa interessante è che questo numero è potenzialmente quantificabile, prendendo i risultati di iniziative come quella del Seti».

Esistono altre iniziative per individuare eventuali segnali extraterrestri?

«Ci sono molte iniziative, penso a quella sponsorizzata dal magnate russo Yurij Milner, Breakthrough Listen, per mappare la sfera celeste alla ricerca di questi segnali con un finanziamento di 100 milioni di dollari nell’arco di dieci anni usando diversi telescopi. Qualora non dovessimo trovare niente in dieci anni, visto anche che i telescopi hanno una certa sensibilità, non possiamo vedere oltre una certa distanza dalla Terra, se non troviamo niente, questo ci dice qualche cosa. Diciamo che, se non troviamo nulla entro 1000 anni luce da noi, questo significa che il numero di civiltà che possiamo aspettarci è minore di un certo tot. Operativamente, significa che possiamo restringere il campo di probabilità dell’equazione di Drake, aggiornandone il risultato».

Perché si considera il segnale con un inizio e una fine? Si ipotizza che queste civiltà vadano incontro ad una fine prematura?

«Dal punto di vista operativo non lo sappiamo, può anche darsi che semplicemente smettano di trasmettere. Prendiamo la Terra: la mole di trasmissioni radio che disperdiamo nello spazio è oggi molto minore, con il passaggio a comunicazioni attraverso le fibre. Ogni civiltà, o meglio emettitori, ha una sua distribuzione di tempi di vita. Questo “L” non è altro che la media di questi tempi di vita: può essere piccolo, grande, medio… in ogni caso, visto che la dimensione della galassia è finita, circa 100mila anni luce, ogni segnale inviato prima di 100mila anni fa non possiamo osservarlo, ormai è fuori dalla galassia. Questo “L” è compreso fra 0 e 100mila».

Mettiamo che domani dovessimo intercettare una comunicazione extraterrestre, che tipo di segnale dovremmo aspettarci?

«Non lo so, il nostro è un modello di natura geometrico-probabilistica, non si fa troppe domande sulla natura del segnale. In compenso c’è molta letteratura sulla possibile natura di queste comunicazioni. Si parla di dispersioni involontarie o di messaggi affidati al cosmo. O, volendo speculare, c’è chi ipotizza civiltà ormai estinte che hanno lasciato robot autoreplicanti ad esplorare la galassia. Comunque non riguarda la nostra ricerca: noi parliamo in maniera asettica cercando di prendere in considerazione ogni possibilità, senza indagare però troppo sulla natura dei segnali, li ipotizziamo chiaramente di natura elettromagnetica in quanto viaggiano alla maggiore velocità possibile».

Alberto Laratro

media.inaf.it