In goal con il “pallone” interstellare

In goal con il “pallone” interstellare
Buckminsterfullerene
Le bande d’assorbimento in laboratorio a 6K (in giallo) e le corrispondenti righe spettrali rilevate nel mezzo interstellare (in verde). Crediti: E. K. Campbell / Nature

Confermata su Nature la presenza di Buckminsterfullerene, il “pallone da calcio” dei fullereni, nel mezzo interstellare. Un tassello cruciale per risolvere l’annoso enigma sui composti chimici all’origine delle cosiddette “bande diffuse interstellari”

Abbiamo la conferma. Avete presente il Buckminsterfullerene, un allotropo molecolare del carbonio dove ne sono saldamente impacchettati 60 atomi, quello tra i fullereni forse più presente nell’immaginario collettivo grazie alla sua forma sferoidale che ricorda un pallone da calcio? Ebbene, un nuovo studio pubblicato ora su Nature conferma che questa complessa molecola si trova, oltre che attorno alle stelle o nelle nebulose (vedi qui, qui e qui su Media INAF), nello spazio che separa le stelle della Via Lattea, la nostra galassia.

La conferma viene da un esperimento di laboratorio, condotto – con precisione “svizzera”, verrebbe da dire – da un’equipe di ricercatori dell’Università di Basilea, coadiuvati da un collega della tedesca Università Tecnica di Chemnitz. La presenza delle cosiddette buckyballs nel mezzo interstellare era già stata ipotizzata più di 20 anni fa, ma solo quest’ultimo studio ha fornito la prima prova concreta a sostegno di quella che finora doveva essere considerata solo una buona teoria.

All’origine della scoperta c’è quello che per gli astrofisici risulta probabilmente il rompicapo più longevo e “resistente”. Circa 100 anni fa, infatti, scomponendo mediante spettroscopia la luce proveniente dalle stelle nella Via Lattea, furono rilevate delle particolari righe negli spettri ottenuti, simili a righe di assorbimento (sorta di “ombre” causate da elementi chimici interposti tra la sorgente luminosa e l’osservatore) ma più chiare e meno definite. Nel tempo sono state individuate più di 400 di queste righe fuori dall’ordinario, denominate bande diffuse interstellari (diffuse interstellar bands), senza che gli scienziati potessero stabilirne con certezza quale composto chimico nel mezzo interstellare ne fosse all’origine.

Crediti: Da Wikipedia
Crediti: Da Wikipedia

Nel 1994 fu ipotizzato che due di queste bande potessero essere dovute al Buckminsterfullerene.

L’esperimento di cui oggi viene pubblicato il resoconto è riuscito nella non banale impresa di produrre in laboratorio la forma molecolare che il C60 si ritiene assuma nelle condizioni spaziali, quindi analizzarla con la spettroscopia. Le bande di assorbimento così ottenute hanno corrisposto esattamente a quelle a suo tempo identificate.

Uno degli aspetti rilevanti della ricerca sta nel fatto che pone una pietra miliare, una tessera chiave nel comporre il puzzle delle bande diffuse interstellari. A partire da questo tassello risulteranno semplificate le ulteriori identificazioni di composti chimici nel mezzo interstellare, e quindi la comprensione globale dei meccanismi che hanno permesso e sostenuto l’evoluzione della chimica organica, dalle nubi molecolari alle stelle, ai pianeti, forse alla stesse origini della vita.

Referenze:

“Laboratory confirmation of C60+ as the carrier of two diffuse interstellar bands“, di E. K. Campbell, M.Holz, D. Gerlich e J. P. Maier, Nature

Stefano Parisini

media.inaf.it