I nuclei galattici attivi al cuore delle galassie non sono tutti uguali: la proposta di un nuovo studio su Nature che si prefigge di sovvertire la tassonomia standard di galassie di Tipo I e di Tipo II.
Come mai la radiazione emessa dai nuclei delle galassie attive è a volte molto luminosa e a volte più fioca? Uno nuovo studio propone un’innovativa risposta a questa domanda, che va contro al consenso contemporaneo: non dipenderebbe semplicemente dalla quantità e dalla densità del materiale che circonda i buchi neri che risiedono al loro centro, ma dal modo in cui questi ultimi accrescono materiale ed emettono radiazioni.
Le galassie attive hanno al loro centro un nucleo galattico attivo (active galactic nucleus, o Agn), un buco nero supermassiccio che emette un’enorme quantità di radiazioni divorando il materiale del disco di accrescimento che lo circonda. Di conseguenza, finora si riteneva che le differenze di luminosità delle galassie attive dipendesse semplicemente dalla densità di questo materiale e dalla prospettiva da cui possiamo osservarle (meno luminose laddove queste siano solo osservabili “di taglio”, e dove dunque la radiazione venga oscurata dalla grande quantità del materiale che compone questa “ciambella” di gas e polveri). Un team internazionale di astronomi, guidato da Claudio Ricci della Pontificia Universidad Catolica del Chile e della Chinese Academy of Sciences South America Center for Astronomy, ha analizzato le osservazioni – nella parte dello spettro dei raggi X ad alta energia – di 836 Agn compiute dal Burst Alert Telescope montato sul satellite Swift, insieme a dati provenienti da dodici diversi telescopi terrestri: l’obiettivo era quello di spiegare le differenze del profilo energetico delle galassie, canonicamente divise in galassie di Tipo I (più luminose) e di Tipo II (meno luminose).
Richard Mushotzky, dell’Università del Maryland e co-autore dello studio, osserva come sebbene questo “modello unificato” sia stato «per anni, l’opinione comune» ciononostante «non è in grado di spiegare appieno le differenze che possiamo osservare nelle analisi spettrali delle galassie e quindi molti hanno cercato di trovare un parametro aggiuntivo che potesse colmare questa lacuna».
Il nuovo studio, pubblicato su Nature, cambia infatti le carte in tavola, suggerendo che le galassie appaiono differenti perché, infatti, sono differenti, dal punto di vista strutturale come da quello energetico. Il fattore discriminante sarebbe la quantità materiale accresciuta dal buco nero e, di conseguenza, la quantità di radiazioni emesse da esso. Indipendentemente dall’angolazione da cui li si osservano, gli Agn delle galassie di Tipo I emettono più radiazioni, per via della maggior quantità di gas che viene risucchiato dal potente campo gravitazionale del buco nero.
L’idea che i due tipi di galassie siano fisicamente differenti ha conseguenze importanti sul nostro studio di questi oggetti. Se prima le galassie di Tipo II venivano preferite come oggetti di studio (considerato che la minore luminosità del nucleo facilitava l’osservazione del resto delle loro strutture), Mushotzky osserva come ora «grazie al fatto che i nostri risultati suggeriscono che i due tipi siano infatti molto diversi è probabile che molti ricercatori riconsidereranno i loro dati, e daranno una seconda chance alle galassie di Tipo I. Comprendendo meglio le differenze tra galassie che hanno nuclei attivi di Tipo I o di Tipo II, questo lavoro ci permetterà di comprendere meglio come i buchi neri supermassicci influenzano l’evoluzione delle galassie che li ospitano».
Fabio Gironi
Articolo scientifico: “The close environments of accreting massive black holes are shaped by radiative feedback“, di Claudio Ricci, Benny Trakhtenbrot, Michael J. Koss, Yoshihiro Ueda, Kevin Schawinski, Kyuseok Oh, Isabella Lamperti, Richard Mushotzky, Ezequiel Treister, Luis C. Ho, Anna Weigel, Franz E. Bauer, Stephane Paltani, Andrew C. Fabian, Yanxia Xie, e Neil Gehrels.