Alla ricerca del reale, dove nulla è come appare

di Fausto Intilla – oloscience

Correva l’anno 1975, quando negli Stati Uniti uscì la prima edizione de: “The Tao of Physics: An Exploration of the Parallels Between Modern Physics and Eastern Mysticism”, del fisico americano (di origini austriache) Fritjof Capra; tradotto in italiano da Giovanni Salio ed edito per la prima volta in Italia nel 1982 con il titolo semplificato in: “Il Tao della fisica” (ed. Adelphi, Milano). Tuttavia, soltanto una decina d’anni dopo, agli inizi degli anni Novanta, divenne un bestseller internazionale (tradotto in 23 lingue!). Ci vollero dunque circa due decenni, affinché le idee e le argomentazioni esposte nel libro in questione, iniziassero a diffondersi anche tra la gente comune (con o senza una determinata formazione scientifica). Per milioni di persone, fu dunque la scoperta di una “realtà fisica” ben diversa, da come l’avevano sempre immaginata; dove a farsi strada, è la consapevolezza di un’illusione che per migliaia di anni (dai tempi di Democrito fino a quelli di Cartesio), ha plasmato ogni cultura del mondo occidentale: quella di un mondo materiale, i cui costituenti fondamentali, seppur infinitamente piccoli, si presentano sempre come delle “solide palline indistruttibili/indivisibili” (per qualsiasi forma della materia, dai gas ai solidi). Un’illusione talmente radicata nelle nostre menti, poiché pilastro fondamentale del nostro pensiero razionale e dunque del nostro percorso evolutivo (culturale e biologico), che ancora oggi, agli studenti delle scuole superiori, nei corsi di chimica e fisica, viene narrata la favoletta delle “palline solide”, chiamate elettroni, che ruotano attorno ad un nucleo di altre “palline solide”, chiamate protoni e neutroni. Lo stesso discorso vale per lo spin degli elettroni, ancor oggi immaginato erroneamente come la “rotazione di una pallina” attorno al proprio asse (il momento angolare intrinseco di una particella, è tutt’altra cosa).

Fortunatamente, almeno gli “addetti ai lavori”, da circa un secolo a questa parte (grazie soprattutto al principio di esclusione di Pauli, a quello di indeterminazione di Heisenberg e all’equazione di Dirac, enunciati rispettivamente nel 1925, 1927 e nel 1928) hanno potuto farsi un’idea piuttosto convincente/ragionevole di come “funzionano le cose” nel mondo subatomico; ma soltanto a partire dagli inizi degli anni Ottanta, con l’invenzione del microscopio ad effetto tunnel (STM, dall’inglese: Scanning Tunneling Microscope), hanno potuto accertare e migliorare notevolmente la loro visione e comprensione del mondo nanoscopico (da cui l’avvento delle prime nanotecnologie, verso la metà degli anni Novanta). Ciò che viene messa in discussione quindi, è la “consistenza stessa della materia”, anche nelle sue forme più “solide” a noi conosciute e dunque osservabili ad occhio nudo. Dopo che Einstein nel 1905, attraverso la teoria della Relatività Ristretta, identificò la massa di qualsiasi “oggetto materiale” come una forma complessa di energia (m = E/c^2), ci vollero circa altri dieci anni prima che Niels Bohr, insieme ad Einstein ed altri fisici di quell’epoca, nel 1913, posero le basi di quella che attualmente è conosciuta come: la vecchia teoria dei quanti. Tuttavia, si dovette attendere fino al 1924, per un input decisivo allo sviluppo della meccanica quantistica; risale infatti a quell’anno (1924), l’ipotesi di de Broglie sul dualismo onda-particella, per tutta la materia, oltre ai quanti di luce (λ = h/p; dove λ è la lunghezza d’onda di de Broglie, h è la costante di Planck e p è l’impulso). Le prime formalizzazioni fondamentali della meccanica quantistica, vennero date dalla meccanica delle matrici (1925) e da quella ondulatoria (1926). Ancora oggi, l’interpretazione più diffusa (in tutto sono una dozzina!) in ambito accademico della meccanica quantistica, è quella che risale alla fine degli anni Venti del XX secolo, conosciuta con il nome di: interpretazione di Copenaghen.

Foto di Garik Barseghyan da Pixabay

Ciò che via via, col passare dei decenni e con gli ulteriori sviluppi della meccanica quantistica, sia in termini di formalizzazione (grazie ai contributi di Wolfgang Pauli a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso), sia in termini sperimentali (grazie ai lavori di Anton Zeiliger a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, nell’ambito del teletrasporto quantistico e degli stati di Bell, che solo pochi anni fa hanno dato il colpo di grazia al Realismo locale), si è ben compreso, è la natura della nostra “realtà fisica”: essa è soprattutto non locale ed è formata solo da campi d’energia che in determinate condizioni, assumono l’aspetto di particelle elementari (tutte le teorie quantistiche dei campi poggiano essenzialmente su questo concetto di “realtà fisica”). Ad emergere è dunque un nesso assai considerevole con la famosa equazione di Einstein (E = mc^2), dove in sostanza la massa di qualsiasi “oggetto materiale”, è da intendersi come una forma complessa di energia. Ne “Il Tao della fisica”, F. Capra ci ricorda che: “Nel ventesimo secolo, l’esplorazione del mondo subatomico ha rivelato la natura intrinsecamente dinamica della materia; ha mostrato che i costituenti dell’atomo, le particelle subatomiche, sono configurazioni dinamiche che non esistono in quanto entità isolate, ma in quanto parti integranti di una inestricabile rete di interazioni.

Queste interazioni comportano un flusso incessante di energia che si manifesta come scambio di particelle; un’azione reciproca dinamica in cui le particelle sono create e distrutte in un processo senza fine, in una continua variazione di configurazioni di energia. Le interazioni tra particelle danno origine alle strutture stabili che formano il mondo materiale, il quale a sua volta non rimane statico, ma oscilla in movimenti ritmici. L’intero universo è quindi impegnato in un movimento e in un’attività senza fine, in una incessante danza cosmica di energia”. Qualche pagina più avanti, nello stesso libro, Capra sottolinea il fatto che: “La metafora della danza cosmica ha trovato nell’Induismo la più profonda e splendida espressione nell’immagine del dio Śiva che danza. (…) La danza di Śiva simboleggia non solo i cicli cosmici di creazione e distruzione, ma anche il ritmo quotidiano di nascita e morte che nel misticismo indiano è considerato la base di tutta l’esistenza. Al tempo stesso, Śiva ci ricorda che le molteplici forme del mondo sono ‘maya’ (non fondamentali, ma illusorie e sempre mutevoli), creandole e dissolvendole nel flusso incessante della sua danza”.

Oggi tutta la fisica moderna delle particelle si basa essenzialmente sul Modello Standard. Dopo la conferma (…più che scoperta, visto che venne teorizzato da Peter Higgs già nel lontano 1964) del bosone di Higgs, nel 2012, grazie a determinati esperimenti eseguiti al Large Hadron Collider di Ginevra, rimangono tuttavia ancora molte cose che il Modello Standard non riesce a spiegare; tra cui l’intensità dell’interazione tra le particelle elementari di “materia” o di forza, con il campo di Higgs. In sostanza quindi il meccanismo di Higgs è in grado di dirci da dove proviene la massa, ma non quale sarà il suo valore. La cosa più assurda, in tale contesto, sta nel fatto che la massa delle particelle (ovvero l’intensità dell’interazione con il campo di Higgs) deve essere inserita arbitrariamente (senza alcuna base/modello di calcolo) nella teoria, sulla base dei risultati sperimentali!

realtà fisica
Scultura del dio Śiva, al CERN di Ginevra

Il semplice fatto che il neutrone è leggermente più pesante del protone, la dice lunga sulla struttura del mondo fisico che noi tendiamo a dare per scontata. Se tale differenza di massa fosse di segno opposto (ovvero se fosse il protone ad essere più “pesante” del neutrone), il protone perderebbe la propria stabilità e diventerebbe radioattivo. Potrebbe andare incontro ad un decadimento beta inverso, trasformandosi in un neutrone ed emettendo un positrone ed un neutrino elettronico. Mentre se tale differenza fosse ancora più marcata, la fusione dei protoni in nuclei di elio al centro delle stelle diventerebbe assai difficile se non addirittura impossibile; per cui non avrebbero modo di formarsi gli elementi pesanti. In ciascuno dei due casi l’universo sarebbe molto diverso da come lo conosciamo; e quasi certamente non saremmo neppure qui ad osservarlo, visto che persino la nostra esistenza non sarebbe possibile. Ricordando infine il fatto che neutroni e protoni, in ultima analisi, sono a loro volta costituiti da quark up e down (un quark “d” e due quark “u” per il protone; un quark “u” e due quark “d” per il neutrone), formulando la seguente domanda, scopriamo il limite delle nostre attuali conoscenze dettate dal Modello Standard: perché il quark down interagisce con il campo di Higgs in maniera più intensa rispetto al quark up?

Ad oggi, nessuno è in grado di dare una risposta ragionevole a tale domanda.

Dopo questa breve digressione sul campo di Higgs, è opportuno fare un piccolo passo indietro e tornare al concetto di massa, intesa nella sua accezione più moderna, come una forma complessa di energia. Ebbene molte delle più grandi menti della fisica teorica, negli ultimi trent’anni vollero andare addirittura oltre il concetto di energia, ed iniziarono a porsi la seguente domanda: ma se la massa non è nient’altro che una forma complessa di energia, da cosa è costituita a sua volta, l’energia? Nel 1990, il grande fisico americano John Archibald Wheeler (1911-2008), propose la seguente risposta/soluzione: l’energia non è nient’altro che una forma complessa di informazione (da cui elaborò la sua nota teoria “it from bit”). Ciò che Wheeler aveva intuito, in sostanza, è che tutte le entità fisiche conosciute dell’Universo, in ultima analisi, sono costituite da forme complesse di informazione, che in determinate strutture e condizioni, danno origine a primitive forme di energia; le quali a loro volta, in determinate strutture e condizioni, danno origine ad oggetti di cui è possibile misurarne la massa. Wheeler, negli ultimi anni della sua vita, rimase fermamente convinto del fatto che, per dirla con le sue stesse parole: “Tutte le entità fisiche dell’Universo hanno un’origine ‘teorica informazionale’ e lo stesso Universo, è di natura partecipativa”.

Ora, se pensiamo ai principi della meccanica quantistica ortodossa (interpretazione di Copenaghen), inerenti al fenomeno del collasso della funzione d’onda (dove ogni osservatore è di fondamentale importanza nel processo in questione) e al modo in cui la “realtà fisica” prende forma in tale contesto, ci accorgiamo che le intuizioni di Wheeler sono assolutamente in linea con quanto la fisica moderna (teorica e sperimentale) ha da offrirci. Ma a pensarla come lui vi è persino un altro fisico di fama internazionale (a mio avviso destinato al premio Nobel), già citato nel presente articolo, che risponde al nome di: Anton Zeilinger. Egli infatti, già diversi anni fa ebbe a dire: “La meccanica quantistica, correttamente interpretata, è una teoria dell’Informazione”. Concludo il presente articolo, citando nuovamente F.Capra: “I fisici sono giunti a comprendere che tutte le loro teorie dei fenomeni naturali, comprese le ‘leggi’ che formulano, sono creazioni della mente dell’uomo; proprietà della nostra mappa concettuale della realtà, più che proprietà della realtà stessa. Questo schema concettuale è necessariamente limitato e approssimato, come lo sono tutte le teorie scientifiche e le ‘leggi della natura’ che esso contiene. Tutti i fenomeni naturali sono in definitiva interconnessi e per spiegare uno qualsiasi di essi, dobbiamo comprendere tutti gli altri; il che, ovviamente, è impossibile. I grandi successi della scienza sono dovuti alla possibilità di introdurre approssimazioni. In tal modo, se ci si accontenta di una ‘conoscenza’ approssimata della natura, si possono descrivere gruppi di fenomeni opportunamente scelti, ignorandone altri meno importanti. Così è possibile spiegare un gran numero di fenomeni a partire da alcuni di essi e di conseguenza si possono capire diversi aspetti della natura in modo approssimativo senza dover comprendere tutto quanto in una volta sola”.