Atlantide

Una vecchia teoria individuava Atlantide ad occidente di Gibilterra e considerava le isole Canarie e l’arcipelago delle Azzorre appendici dell’antico continente atlanteo.

atlantide
Mappa immaginaria di Atlantide dal Mundus Subterraneus di Athanasius Kircher, pubblicato ad Amsterdam nel 1665 (wikipedia.org)

Ma é veramente esistito? o é frutto solo di fervida immaginazione ? Comunque sia, fra tutti i popoli della terra, esistono tradizioni concordanti che manifestano il perdurare ricordo del misterioso continente sommerso.

Il più grande, ed antico, fautore dell’esistenza di Atlantide, fu senz’altro Platone (Atene 428-27 348-47 a.C.) che la descrisse in due dei suoi famosi dialoghi, il “Timeo” e il “Crizia” che hanno poi dato origine alla maggior parte delle odierne ipotesi. Il filosofo greco basa la sua descrizione di Atlantide su quelli che, secondo lui, erano i documenti scritti e conservati dai sacerdoti egizi di Sais e i dipinti sulle colonne del tempio.

Una parte del dialogo di Solone (638 558 a.C.) con i sacerdoti di Sais: “Molte grandi opere pertanto della città vostra (Atene) qui si ammirano, ma a tutte una ne va di sopra per grandezza e per valore; perocché dice lo scritto di una immensa potenza cui la vostra città pose termine, la quale violentemente aveva invaso insieme l’Europa tutta e l’Asia, venendo fuori dal mare atlantico. Infatti allora per quel mare la si poteva passare; che innanzi a quella foce stretta che si chiama, come dite voi, colonne d’Ercole, c’era un isola. E quest’isola era più grande della Libia e dell’Asia insieme, e da essa si poteva passare ad altre isole, e da queste isole alla terraferma di fronte (…)

In quell’isola chiamata Atlantide v’era un regno che dominava non solo tutta l’isola, ma anche molte altre isole nonché alcune regioni del continente al di là: il suo potere si spingeva, inoltre, al di qua delle Colonne d’Ercole; includendo la Libia, l’Egitto e altre regioni dell’Europa fino alla Tirrenia. In tempi posteriori per altro, essendo succeduti terremoti e cataclismi straordinari, nel volgere di un giorno e di una brutta notte……tutto in massa si sprofondò sotto terra, e l’isola Atlantide similmente ingoiata dal mare scomparve”.

Nel 590 a.C., il legislatore Solone, si era fermato nella capitale amministrativa dell’ Egitto: Sais. Qui aveva cercato di impressionare i Sacerdoti di Iside illustrando le antiche tradizioni greche, ma uno di loro, Crizia, lo aveva deriso, affermando che il popolo greco era poco informato rispetto agli Egizi che possedevano molta documentazione scritta sull’argomento. Secondo il sacerdote egiziano, infatti, per secoli, una civiltà evoluta era esistita su “un’isola più grande della Libia e dell’Asia messe insieme”. L’isola era stata distrutta novemila anni prima da un immane cataclisma insieme a tutti i suoi abitanti.

Altre importanti informazioni sono riportate nei “Dialoghi del Timeo e Crizia”, scritti da Platone nel 340 a.C..”Dal mare, verso il mezzo dell’intera isola, c’era una pianura; la più bella e la più fertile di tutte le pianure, e rispetto al centro sorgeva una montagna non molto alta (…).”

Il continente di Atlantide occupava un territorio rettangolare di 540 x 360 chilometri, circondato su tre lati da montagne che lo proteggevano dai venti freddi, e aperto a sud sul mare. La pianura era irrigata artificialmente da un complesso sistema di canali perpendicolari tra loro, che la dividevano in seicento quadrati di terra chiamati klerossu, in cui si trovavano floridi insediamenti agricoli. La città principale, Atlantide, sorgeva sulla costa meridionale ed era circondata da cerchia di mura la cui circonferenza misurava settantun chilometri; la città vera e propria, protetta da altre cerchie d’acqua e di terra, aveva un diametro di circa cinque chilometri e mezzo.

Per fare un paragone si potrebbe dire che misurasse quasi otto volte la Sicilia, pertanto, se non proprio un continente, era pur sempre un’isola di grandezza non trascurabile. Crizia ci descrive la fertilità delle sue terre popolate, pensate un pò, da elefanti che, evidentemente, incontravano un habitat confacente. Dopo la descrizione della fondazione di Atlantide ad opera di Poseidone, Crizia, si addentra nei particolari sulla ricchezza e lo splendore di un impero ritenuto vasto come l’Egitto: “Possedevano ricchezze così ingenti come mai prima d’ora ve ne furono in alcuna dominazione di Re e, come è improbabile, che potranno esservene in futuro, e disponevano di tutto ciò di cui potevano aver bisogno, sia nelle città, sia nelle campagne.

Grazie alla loro potenza, molte cose venivano procurate da paesi stranieri, ma l’isola produceva essa stessa quasi tutto ciò che è necessario alla vita, in primo luogo tutti i metalli solidi e fusibili. E quel metallo, del quale non conosciamo oggi altro che il nome, l’oricalco, vi si trova in abbondanza, essendo estratto in molti punti dell’isola e dopo l’oro, era il metallo più prezioso. L’isola forniva alle arti tutto il materiale onde abbisognavano; nutriva un gran numero di animali domestici e di bestie selvagge, e tra questi numerosissimi elefanti; dava pastura agli animali degli stagni, dei laghi e dei fiumi,, a quelli delle montagne e dei piani…” La descrizione del clima dell’Atlantide e della varietà di alimenti di cui i suoi abitatori potevano disporre fa certo pensare ad un paradiso terrestre:

“Produceva e manteneva tutti i profumi che la terra produce oggi in diverse contrade, e cioè radici, erbe, piante, succhi scorrenti dai fiori o dai frutti. Vi si trovava altresì il frutto della vite; e quello che ci serve di solido nutrimento, il grano….Questi sono i divini e mirabili tesori che in quantità indicibile produceva quell’isola, fiorente allora sotto il sole”.

Il possente impero di Atlantide, che si estendeva sulle isole vicine, era diviso in dieci stati confederati, ognuno dei quali retto da un re; lo stato sovrano, quello che comprendeva la città di Atlantide, era suddiviso a sua volta in sessantamila distretti; ogni cinque o sei anni si svolgeva una sorta di pubblica assemblea, con la partecipazione del popolo, che giudicava l’operato delle varie amministrazioni. Fondarono colonie nella terraferma di fronte (?), in Egitto, in Libia e in Etruria, ma non riuscirono a sconfiggere l’impero di Atene.

“Quando l’elemento divino, mescolato con la natura mortale, si estinse in loro, il carattere umano prevalse, allora degenerarono, e mentre a quelli che erano in grado di vedere apparvero turpi, agli occhi di quelli che sono inetti a scorgere qual genere di vita conferisca davvero la felicità, apparvero bellissimi, gonfi come erano di avidità e potenza. E Zeus, il dio degli dei, intuito che questa stirpe degenerava miserabilmente, volle impartir loro un castigo affinché diventassero più saggi. Convocò gli dei tutti, e, convocatili, disse…” Il Crizia conclude quì il suo “dialogo” ma chiarisce poi successivamente, gli effetti delle considerazioni di Zeus: “Più tardi, avvenuti dei terremoti e dei cataclismi straordinari, tutta la stirpe guerriera (cioè gli Ateniesi) sprofondò sotto terra, e similmente l’isola di Atlantide s’inabissò in mare e scomparve”.

Di quanto ha raccontato, afferma Crizia, l’Egitto è l’unico paese che possiede molta documentazione scritta, perché, contrariamente alle terre vicine, non fu coinvolto dalla catastrofe e, a questo proposito, si scusa con i lettori per aver imposto nomi greci ai sovrani di Atlantide. ,Nei loro annali, infatti, gli Egiziani avevano tradotti i nomi nella propria lingua, secondo il costume dell’epoca; successivamente Solone li aveva a sua volta reinterpretati in greco, e così glieli aveva riferiti. “Quando dunque udrete dei nomi simili a quelli nostri, non meravigliatevene, giacché ne conoscete il motivo”

Probabilmente il filosofo greco non immaginava che la sua narrazione avrebbe fatto scorrere tanto inchiostro: circa venticinquemila opere dedicate a una civiltà che, forse, non è neppure esistita. A parte vari accenni a terre al di là delle colonne d’Ercole (per esempio la Cymmeria, citata da Omero nell’Odissea), e l’accenno al popolo degli Atalanti, “che non mangiano alcun essere animato e non sognano mai” Aristotele, discepolo di Platone, non diede molta importanza alla narrazione del suo Maestro, e questo ebbe un peso determinante nel Medio Evo cristiano. Aristotele, infatti, era considerato un’autorità indiscussa, e ciò che lui aveva detto (“Ipse dixit”), e che non a caso concordava con la visione geocentrica dell’universo sostenuta dalla Chiesa, non poteva essere contestato, per di più, l’esistenza di un continente distrutto novemila anni prima, non coincideva con la data della creazione del mondo secondo la Genesi, calcolata nel 3760 a.C.

Narra una antica leggenda degli indigeni del Messico, trascritta nel Codice Aubin , che: “Gli Uexotzincas, i Xochimilacas, i Cuitlahuacas, i Matlatzincas, i Malincalas abbandonarono Aztlan e vagarono senza meta”. Aztlan era un’isola dell’Atlantico, e le antiche tribù avevano dovuto lasciarla perché stava sprofondando nell’oceano. Dall’isola, i superstiti, avevano preso il nome e si facevano infatti chiamare Aztechi, ovvero “Abitanti di Aztlan”. Per la cronaca, in Messico, questa teoria non è relegata nei volumi fantastici ma viene insegnata a scuola un po’ come da noi la storia di Romolo e Remo. Presso il museo di Antropologia di Città del Messico sono esposti molti antichi disegni che descrivono la migrazione.

Sono oggi evidenti analogie tra la civiltà dell’antico Egitto e quelle dell’America Centrale: costruzioni piramidali, imbalsamazione, anno diviso in 365 giorni, leggende, affinità linguistiche. Atlantide potrebbe essere stata, dunque, una sorta di ponte naturale tra le due civiltà, esteso, probabilmente, tra le Azzorre e le Bahamas.

La prima opera veramente popolare sull’argomento fu: Atlantis, the Antediluvian World (“Atlantide, il mondo antidiluviano”) dell’americano Ignatius Donnelly (1882). Secondo Donnelly, Atlantide era il biblico Paradiso Terrestre, e colà si erano sviluppate le prime civiltà. I suoi abitanti erano sparpagliati in America, Europa e Asia; i suoi re e le sue regine erano divenuti gli Dèi delle antiche religioni. Poi, circa tredicimila anni fa, l’intero continente era stato sommerso da un cataclisma di origine vulcanica.

Verso la fine del secolo scorso, lo studioso inglese Philip L. Slater ipotizzò l’esistenza di un sub-continente sommerso (da lui battezzato “Lemuria”) che avrebbe potuto unire l’Africa all’Asia in un’epoca remotissima. Non c’è da stupirsi se, nel romantico clima ottocentesco, l’ipotesi dell’esistenza di un nuovo continente scomparso incontrò subito grande successo. Nel 1888 Helena Blavatsky, fondatrice di un gruppo esoterico chiamato “Società Teosofica”, confermò entusiasticamente la teoria, che lei già conosceva per averla letta (insieme alla “vera” storia della fine di Atlantide) nelle misteriose “Stanze di Dzyan”, un antico libro scritto in una lingua sconosciuta che racchiudeva la storia dimenticata dell’uomo.

Secondo la Blavatsky, ad Atlantide e a Lemuria abitava la terza di sei razze che avrebbero popolato la terra in tempi remoti; i suoi rappresentanti erano poco meno che Dèi, dotati di straordinarie conoscenze esoteriche poi tramandatesi solo entro una ristrettissima cerchia di iniziati. La Teosofia popolarizzò così una nuova concezione di Atlantide: il continente divenne d’improvviso l’inizio del sapere e della civiltà (Gerardo D’Amato, 1924); addirittura la fonte primigenia della civilizzazione. Alcuni “Grandi iniziati” sopravvissuti alla sua distruzione – tra cui il Mago Merlino dei miti di Re Artù – avrebbero trasmesso ai loro discendenti segrete conoscenze esoteriche; come gli alieni per i fautori dell’ipotesi extraterrestre, essi sarebbero i responsabili di molte delle costruzioni, oggetti e fenomeni inesplicabili”.

Nel 1935 il medium americano Edgar Cayce affermò in stato di trance che Atlantide era stata distrutta a causa del cattivo uso di oscure forze da parte di malvagi sacerdoti, e predisse che alcune parti del continente perduto sarebbero riemerse entro pochi anni a Bimini, al largo della costa della Florida. In effetti, proprio in questa località e proprio alla data prevista, nel 1969, l’archeologo subacqueo Manson Valentine rinvenne alcune costruzioni sommerse (le tracce di una larga strada e un tempio) la cui origine è tutt’ora in discussione. Secondo l’ipotesi extraterrestre, Atlantide e Mu sarebbero invece state basi di alieni, distruttesi a causa di un cattivo uso dell’energia nucleare.

Quando potrebbe essere avvenuta la distruzione di Atlantide e cosa potrebbe averla determinata? Sul quando, gli Atlantisti sono abbastanza concordi: intorno a 11.000 anni fa, più o meno nel periodo descritto da Platone. Otto Muck, autore de “I Segreti di Atlantide”, ha ricostruito con complessi calcoli basati sul calendario Maya addirittura il giorno esatto della catastrofe: il 5 giugno dell 8498 a.C.. Per quanto riguarda le cause, le ipotesi sono molteplici: dall’eruzione vulcanica, a una guerra nucleare, alla caduta di un asteroide o di una seconda luna che, in tempi remoti, avrebbe orbitato intorno al nostro pianeta. Cosa potrebbe provocare un avvenimento del genere: la scomparsa di un continente modificherebbe innanzitutto le correnti oceaniche, mutando in modo radicale le situazioni climatiche , creando così nuove glaciazioni e nuove zone desertiche.

L’onda d’urto e la susseguente marea distruggerebbero gran parte delle città portuali e molte città dell’interno; l’immensa compressione causata da un eventuale impatto con un gigantesco asteroide, provocherebbe una radioattività pari a quella di alcune bombe H. La polvere sollevata oscurerebbe il sole per anni. Qualora Atlantide fosse stata, come si racconta, la dominatrice di altre civiltà, la sua scomparsa avrebbe suscitato lotte e sconvolgimenti. Insomma, se Atlantide fosse stata distrutta in un giorno e una notte, come Platone asserisce, la Terra avrebbe conosciuto necessariamente un’era di barbarie, e una nuova civilizzazione non avrebbe potuto evolversi prima di cinque o seimila anni. Un tempo più che sufficiente per cancellare e trasformare in leggenda ogni traccia di un remoto passato.

Naturalmente Platone conferma i cataclismi “un tempo vi furono grandi mortalità, causate da inondazioni e da altre generali calamità, dalle quale ben pochi uomini riuscirono a salvarsi”.

· I Toltechi del Messico e gli Incas del Perù affermavano di essere discendenti di Atlan o Aztlan una terra lontana “dove si elevava un’alta montagna ed un giardino abitato dagli dei”.

* Anche i Dakotas dell’America del nord raccontano che essi provengono da un’isola situata contro il sol levante, che fu poi sommersa e dalla quale scapparono all’epoca del cataclisma.
* Una descrizione dell’immagine del cataclisma è contenuta nell’atzeco Codex Chimalpopoca: “In tal momento il cielo si congiunse con l’acqua, in un sol giorno tutto fu perduto, e il giorno consumo tutta l’umanità…..anche la montagna sparì sott’acqua”.

* Nel famoso libro sacro Maya (conservato nel British Museum) si legge: “Nell’anno 6 del Kan, il II muluc, nel mese di zac, si fecero dei terribili terremoti e continuarono senza interruzione sino al 13 chuen. La contrada delle colline di Argilla, il paese di Ma, fu sacrificato. Dopo essere stato scosso due volte, scomparve ad un tratto durante la notte. Il suolo era continuamente sollevato da forze vulcaniche, che lo facevano alzare ed abbassare in mille località. Infine cadette……Ciò avvenne 8060 anni prima della composizione di questo libro”.

E’ importante notare come questa data dell’abissamento di Atlantide coincida esattamente con quella dei preti egiziani che stabiliscono nell’anno 9564 a.C. Infatti aggiungendo a quest’epoca gli anni dell’era volgare si arriva a 11490 anni circa, e aggiungendo agli anni 8060 del Maya i 3400 di antichità del Libro, si ottiene in totale 11460 anni. Ad Haiti e nelle Antille vi è una tradizione che dice: “Il mare si rovesciò attraverso i rotti argini, e tutta la pianura che si stendeva lontano, senza né fine né termine da alcun lato, fu coperta dalle acque……soltanto le montagne, a causa della loro altezza, non furono coperte da questa inondazione, e le isole”.Secondo le tradizioni gallesi, riguardanti l’Atlantide, tre razze avevano occupato il paese dei Galli e l’Armonica: la popolazione indigena, gli invasori atlanti e i Galli ariani.

Inoltre secondo tali tradizioni, ci furono tre grandi catastrofi che avevano sommerso a tre varie riprese un immenso continente, del quale il paese dei galli costituiva una estremità. Inoltre i vecchi Galli raccontavano, mostrando l’Oceano Atlantico, che una volta le foreste si stendevano molto lungi nel mare e coprivano una immensa distesa.

* Più preciso è un testo scritto dal filosofo greco Proclo (Costantinopoli 410 – Atene 485) nel quale afferma che: <>.

* E ancora il Critia:”L’Atlantide era dunque toccata a Poseidone. Egli mise in una parte di quest’isola dei piccoli che aveva avuto da una mortale. . Ed era una pianura situata vicino al, mare e, verso il mezzo dell’isola, la più fertile di tutte le pianure…. I figli di Poseidone ed i loro discendenti regnarono nel paese per una lunga serie di generazioni, ed il loro impero si estendeva sopra un gran numero di altre isole, anche al di là dello stretto, come già si disse fino all’Egitto e alla Tirrenia…”.

L’Atlantide del Pacifico

Quando si parla di Atlantide e la si colloca nell’Antartide (in posizione però ben più a nord di quanto sia oggi), non si può non considerare anche un’obiezione molto seria a questa teoria: non abbiamo prove certe che la grande civiltà fiorita nei tempi preistorici sia originaria proprio di quel continente.

Le misteriose “rnappe” di cui tanto si parla – e che sono davvero inquietanti per ciò che sottintendono – non hanno infatti mai il loro centro nell’Antartide: quella, famosissima, di Piri Reis, per esempio, lo ha vicino al Cairo, in Egitto.

Che cosa vuole dire questo? Ma è semplice: chiunque tracci una mappa, di solito lo fa sempre ponendo come centro il punto in cui ha il suo porto di base. E pertanto il fatto che non si siano ritrovate (almeno finora) mappe antiche che abbiano il loro centro nell’Antartide potrebbe forse voler dire che non era quello il porto di partenza dei misteriosi circumnavigatori del mondo di diecimila e più anni fa.

Ma allora da dove venivano? Quale poteva essere la loro misteriosa terra di origine, l’Atlan, la Dilmun, la Valim Chivim di tante leggende. Esiste un’altra teoria, forse apparentemente molto più fantastica, ma che ha alcuni elementi validi a sostegno. Tutti i miti e le statue antiche indicano infatti che i misteriosi “dèi” degli egiziani o degli atzechi erano di razza bianca, con prevalenza di capelli biondi, barbe folte e occhi chiari. I nativi dell’Egitto ovviamente non erano così, e tanto meno lo erano gli indigeni del CentroAmerica.

Anche l’architettura di questi “dèi” bianchi era singolare: costruivano templi colossali, usando enormi blocchi megalitici di proporzioni tali che neppure oggi noi sapremmo edificarne di simili: si pensi alla città di Machu Pichu sulle Ande o alla Grande Piramide in Egitto, o alla titanica Terrazza di Baalbeck in Libano, tanto per fare qualche esempio concreto e ben noto.

Abbiamo dunque attribuito due caratteristiche ben precise a questi misteriosi “dèi”: erano di pelle bianca ed erigevano colossali costruzioni megalitiche. In più, secondo tante leggende, venivano dall’ovest ed erano i superstiti di una grande terra annientata nel solo volgere di una notte dalla furia della Natura. Ma se per gli Egizi l’ovest è l’Oceano Atlantico, per gli Atzechi e i Maya l’ovest è… l’Oceano Pacific!

E siccome sia per gli Egizi che per i Maya e gli Atzechi questi dèi venivano da occidente… forse è proprio l’Oceano Pacifico l’area dalla quale costoro giunsero dopo il diluvio. Ma che cosa c’è nel Pacifico, all’infuori di poche isole sparse in una sterminata distesa d’acqua? Nulla, come sanno tutti. Però…

Ci sono dei “però” molto inquietanti e sino a oggi privi di spiegazione… e questi “però” hanno la singolare caratteristica di collimare con quanto sappiamo sugli ignoti creatori della civiltà. Gli indigeni che abitano parecchie delle più remote isole del Pacifico, per esempio sono infatti tutti di razza bianca… e questo è un mistero che gli antropologi non sono ancora riusciti a spiegare.

Come sono finiti lì? E quando ciò è avvenuto?

Ma c’è dell’altro: in molte di queste remote isole dei Pacifico, sparse in un’area coperta solo da acqua per varie migliaia di chilometri, sono stati scoperti templi, mura e altre costruzioni antichissime realizzate con lo stesso stile megalitico e colossale carattetistico dei più enigmatici resti rinvenuti in Egitto o nel Centro-America.

Lo stile è lo stesso, la tecnica di costruzione appare identica. Non solo, ma molti di questi reperti colossali dei Pacifico costituiscono unen igma assoluto: sono fatti con materiali che non esistono nelle isole dove sono stati edificati. Ma allora come hanno potuto dei barbari e selvaggi isolani trasportarli fin lì, spesso da altre isole distanti centinaia se non migliaia di chilometri? Inoltre, su diverse di quelle isole sono state individuate grandi strade… vie che spesso proseguono – perdendosi chissà dove anche oltre la riva del mare.

Dove si dirigono? E perché sono state create?

C’era forse dell’altra terra, dove invece oggi c’è solo acqua?

Tutto questo non ha senso, e infatti attualmente la scienza alza le braccia e dice semplicemente: E’ un mistero.

C’è però chi – già da molto tempo, a dire il vero – ha indicato una risposta a questo enigma, una soluzione che, pur apparentemente fantastica, fornisce però una spiegazione molto semplice: fino a circa dodicimila anni fa sarebbe esistito nel centro dell’oceano Pacifico un grande continente, del quale le isolette odieme sarebbero gli ultimi frammenti rimasti dopo un apocalittico cataclisma che in poche ore l’ha fatto inabissare, cancellando per sempre la sua civiltà, la sua gente e il suo sapere.

Questa sarebbe la mitica Atlantide, nota anche con il nome altrettanto leggendario di Mu. Da lì, i pochi superstiti, tutti di razza bianca, si sarebbero sparsi per il mondo cercando di ricreare la civiltà: alcuni raggiunsero l’India, altri il Centro-America, altri ancora l’Egitto. Ecco perché la mitica Atlan/DilmunNalim Chivim/Mu era a ovest tanto di Giza che di Teohautican: si trovava al centro dell’Oceano Pacifico. Altrimenti come si spiegherebbero le popolazioni bianche di quelle isolette sperdute, o i loro templi immani e le strade che arrivano dritto fino alla riva del mare?

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