Nuovi studi suggeriscono un meccanismo che potrebbe permettere l’esistenza di stelle nere e gravastar, oggetti celesti altrettanto invisibili dei buchi neri ma che, privi del cosiddetto orizzonte degli eventi, eviterebbero alcune difficoltà teoriche. In linea di principio LIGO e Virgo potrebbero dirimere la questione. Quando le stelle giganti muoiono, non svaniscono e basta. Collassano su se stesse, lasciandosi dietro un residuo stellare compresso, di solito una palla di neutroni superdensa e delle dimensioni di una città, chiamata appunto stella di neutroni. La maggior parte dei teorici però crede che in casi estremi una stella gigante morente formerà un buco nero, una “singolarità” puntiforme con densità infinita e un campo gravitazionale così potente che nemmeno la luce, la cosa più veloce dell’universo, potrà sfuggire una volta caduta dentro. Ora un nuovo studio sta rinvigorendo un’idea alternativa, secondo cui potrebbero esistere oggetti a metà strada tra le stelle di neutroni e i buchi neri, chiamati “stelle nere” o “gravastar” (GRAvitational VAcuum STAR). Se fossero reali, questi cadaveri stellari esotici dovrebbero apparire quasi identici ai buchi neri, salvo per un aspetto: non possono inghiottire irrimediabilmente la luce.
Ci sono buone ragioni per cercare alternative del genere, perché i buchi neri sollevano una serie di problemi teorici. Per esempio, si ipotizza che le loro singolarità siano nascoste da confini invisibili noti come orizzonti degli eventi. Se si getta qualcosa in un buco nero, una volta che ha superato l’orizzonte degli eventi dovrebbe essere perduto per sempre, senza alcuna speranza di ritorno. Ma questo annientamento abissale si scontra con altre leggi della fisica che apprezziamo da lungo tempo, secondo cui la distruzione dell’informazione è impossibile, compresa l’informazione codificata all’interno di qualcosa che cade nei buchi
neri.
Concepiti e sviluppati negli ultimi vent’anni, in parte per aggirare enigmi di questo tipo, i modelli di stelle nere e gravastar ipotizzano che questi oggetti non avrebbero singolarità e non avrebbero un orizzonte degli eventi. Ma ci si è chiesti se oggetti simili potessero effettivamente formarsi e rimanere poi stabili. Nuove ricerche del fisico teorico Raúl Carballo-Rubio alla Scuola internazionale superiore di studi avanzati (SISSA) di Trieste, hanno descritto un nuovo meccanismo che potrebbe permettere l’esistenza di stelle nere e gravastar.
Carballo-Rubio ha indagato uno strano fenomeno noto come polarizzazione quantistica del vuoto. La fisica quantistica, la migliore descrizione del comportamento di tutte le particelle subatomiche conosciute, suggerisce che la realtà sia “sfocata”, limitando la precisione con cui si possono conoscere le proprietà delle unità più elementari della materia; per esempio, non si può conoscere allo stesso tempo in modo esatto posizione e quantità di moto di una particella. Una strana conseguenza di questa incertezza è che un vuoto non è mai del tutto vuoto, ma “spumeggia” di cosiddette “particelle virtuali” che fluttuano continuamente dentro e fuori l’esistenza.
Ricerche precedenti avevano trovato che in presenza di quantità immense di energia del tipo prodotto dal collasso di una stella gigante, queste particelle virtuali possono polarizzarsi, o organizzarsi a seconda delle loro proprietà, proprio come nei magneti si distinguono Polo Nord e Polo Sud. Carballo-Rubio ha calcolato che la polarizzazione di queste particelle può produrre un effetto sorprendente all’interno dei potenti campi gravitazionali delle stelle giganti morenti, un campo che respinge invece di attrarre.
Materia ed energia curvano il tessuto dello spazio-tempo e, in base alla teoria generale della relatività, creano campi gravitazionali. Pianeti e stelle hanno in media una quantità di energia positiva e i campi gravitazionali che ne risultano sono attrattivi. Ma quando le particelle virtuali si polarizzano, il vuoto che occupano può avere in media un’energia negativa, e “questo effetto curva lo spazio-tempo in modo che il campo gravitazionale associato sia repulsivo”, dice Carballo-Rubio. Naturalmente, tutto ciò potrebbe impedire la formazione di un buco nero. (Un fenomeno analogo fa sì che resti stellari relativamente leggeri formino stelle di neutroni invece di buchi neri; i loro campi gravitazionali non sono abbastanza forti da schiacciare i neutroni in una singolarità).
Due modelli precedenti avevano suggerito che la gravità repulsiva potrebbe impedire ai resti stellari di collassare per formare buchi neri. Secondo un modello, i resti stellari formerebbero invece gravastar, oggetti riempiti di vuoto quantistico ricoperti da un sottile guscio di materia. L’altro modello suggeriva che il risultato di questi collassi siano stelle nere, in cui “materia e vuoto quantistico si intrecciano in tutta la struttura con un preciso equilibrio”, spiega Carballo-Rubio. Entrambi gli oggetti hanno ancora potenti campi gravitazionali che deformano profondamente la luce, in modo da apparire oscuri, come buchi neri.
Secondo Carballo-Rubio, in passato c’era una notevole incertezza sulle proprietà di stelle nere e gravastar. Il suo nuovo lavoro ha affrontato questo problema creando un quadro matematico che incorpora gli effetti della gravità repulsiva in equazioni che descrivono espansione e contrazione delle stelle, un problema “che si riteneva trattabile solo con l’aiuto di computer”, osserva. Il suo nuovo modello suggerisce un ibrido tra una stella nera e una gravastar, in cui materia e vuoto quantistico sono diffusi in tutta la struttura, ma con la materia in concentrazioni più elevate nel guscio rispetto al nucleo. Su “Physical Review Letters” Carballo-Rubio ha fornito un resoconto dettagliato del suo studio.
“Questo lavoro è interessante e utile, poiché dimostra che possono esserci nuovi tipi di soluzioni alle equazioni di Einstein, diverse dai buchi neri”, dice Emil Mottola, fisico al Los Alamos National Laboratory, che non è stato coinvolto nello studio.
Alcuni ricercatori sostengono che gli effetti quantistici su cui Carballo-Rubio basa la sua argomentazione sono comunque trascurabili. In quanto tali, possono essere troppo deboli per sostenere l’esistenza di stelle nere e gravastar, dice Paolo Pani, fisico teorico alla “Sapienza” Università di Roma, che non ha partecipato a questo lavoro.
Inoltre, lo studio di Carballo-Rubio sostiene che stelle nere e gravastar siano matematicamente possibili, ma ciò “non significa che esistano in natura”, dice Cecilia Chirenti, ricercatrice all’Universidade Federal do ABC in Brasile [ABC è un acronimo per l’insieme delle regioni di Santo André, São Bernardo do Campo, e São Caetano do Sul. NdT], che non ha partecipato alla ricerca. Per esempio, Pani osserva che non è ancora chiaro se i resti stellari possano evolvere naturalmente per formare queste strutture. Inoltre, dice Mottola, “Caballo-Rubio non spiega perché la sua soluzione sia stabile e cosa impedisca il collasso in un buco nero”.
Un modo per scoprire se stelle nere, gravastar o buchi neri esistono effettivamente è analizzare le onde gravitazionali generate da ciò che attualmente gli scienziati interpretano come fusione di buchi neri. Quando una massa si muove, genera onde gravitazionali che viaggiano alla velocità della luce, allungando e schiacciando lo spazio-tempo lungo il percorso.
Mentre i buchi neri spiraleggiano l’uno verso l’altro, ciascuno dovrebbe emettere onde gravitazionali, ma i loro orizzonti degli eventi dovrebbero assorbire quelle che cadono direttamente su di essi. Tuttavia, poiché stelle nere e gravastar sono prive di orizzonti degli eventi, possono riflettere le onde gravitazionali, e gli osservatori LIGO e Virgo potrebbero rilevare questi “echi”, afferma Pani. Se si scoprissero segnali di questo tipo, potrebbero emergere spunti utili nel campo della relatività generale e nella fisica quantistica, che a loro volta potrebbero contribuire allo sviluppo di un modello della “gravità quantistica” capace di coniugare le due teorie rimaste così a lungo separate, aggiunge Pani.
Charles Q. Choi/Scientific American
(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su “Scientific American” il 16 marzo 2018. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)