Che cosa rende uniche le cellule del cervello umano?

Che cosa rende uniche le cellule del cervello umano?

I risultati di un nuovo studio USA hanno rivelato delle proprietà elettriche distintive dei neuroni degli esseri umani che potrebbero forse fornire una forte spinta alla potenza di calcolo dei computer.

Oltre 100 anni fa il neuroscienziato spagnolo Santiago Ramon y Cajal ha rivoluzionato gli studi sul cervello nel momento in cui ha osservato per la prima volta i neuroni. I suoi studi hanno rivelato i dettagli intricati delle cellule nervose in diversi animali incluso l’uomo, lo scienziato riuscì ad ottenere immagini nitide dei corpi cellulari e delle ramificazioni terminali dei dendriti.

Cajal oltre ad aver rivelato i dendriti (attraverso di essi le cellule nervose ricevono i segnali provenienti da altri neuroni) scoprì che le dimensioni di tali oggetti erano molto più lunghe negli esseri umani piuttosto che nei roditori e in altri animali (compresi i primati). I risultati di un nuovo studio, pubblicato recentemente sulla rivista Cell, mostrano che nelle persone queste proiezioni hanno anche proprietà elettriche distinte, ciò potrebbe aiutare a spiegare in che modo il cervello elabora le informazioni in arrivo.

Lo studio sui dendriti va avanti da decenni

A partire dalle osservazioni fornite da Cajal gli scienziati studiano da decenni in maniera approfondita i dendriti. Nonostante ciò «l’unica cosa che conoscevamo realmente in merito ai dendriti era la loro anatomia» scrive il neuroscienziato del MIT Mark Harnett. «Sui dendriti umani è stato scritto molto per quanto riguarda la loro lunghezza ma per quanto ne so non c’erano lavori pubblicati in merito alle loro effettive proprietà elettriche» prosegue il ricercatore.A questo punto il gruppo di ricercatori coordinato da Harnett ha cercato di capire se la lunghezza dei dendriti aveva un effetto sulla trasmissione dei segnali elettrici che passano attraverso di essi. Attraverso l’aiuto di Sidney Cash, neurologo presso il Massachusetts General Hospital i ricercatori sono stati in grado di ottenere del tessuto cerebrale umano vivo.

Le analisi effettuate su tessuto cerebrale vivo

Il tessuto è stato rimosso ad un paziente durante un intervento chirurgico di routine che serve ad aiutare a calmare le crisi epilettiche, si tratta procedura di routine in cui i medici rimuovono parte della corteccia temporale per raggiungere l’ippocampo (una struttura profonda che risiede all’interno del cervello da dove traggono origine di solito le convulsioni). Non appena il team di ricercatori è riuscito ad ottenere il campione è stato subito trasportato in laboratorio per essere analizzato. Il tessuto cerebrale è stato quindi sezionato. Bisogna notare che il tessuto umano può sopravvivere soltanto per alcuni giorni, pertanto gli esperimenti sono andati avanti ininterrottamente per 48 ore. Gli scienziati hanno lavorato su turni per poter analizzare i campioni.

Come sono state studiate le proprietà elettriche delle cellule all’interno dei campioni di tessuto cerebrale

In totale il gruppo di ricercatori è riuscito ad analizzare i campioni di tessuto cerebrale provenienti da 9 pazienti e 30 topi. Per poter studiare le proprietà elettriche dei neuroni all’interno di questi campioni gli scienziati hanno utilizzato una sorta di morse per poter effettuare le registrazioni, inoltre sono stati attaccati dei piccoli aghi di vetro alle cellule nervose per misurare la loro attività. Queste sonde hanno rivelato che nonostante i dendriti degli esseri umani e dei roditori condividano delle caratteristiche di base come ad esempio l’abilità di produrre un potenziale d’azione, esistono alcune differenze chiave tra le due specie.

Nel momento in cui i ricercatori hanno fatto scorrere una corrente elettrica attraverso i dendriti è stata rilevata un’attività molto meno intensa attraverso i corpi cellulari nelle cellule umane rispetto a ciò che è avvenuto nei corpi cellulari dei roditori. «Questo suggerisce immediatamente che questo tipo di trasmissione dei segnali nei dendriti degli esseri umani è fatta a più compartimenti» scrive Harnett. «Ciò significa che qualsiasi elaborazione locale nei dendriti può accadere indipendentemente da quello che sta succedendo nei corpi cellulari».

Harnett ha paragonato questi compartimenti dendritici ai blocchi presenti in una serratura: più una serratura è complicata più i blocchi presenti saranno numerosi e sarà pertanto necessario utilizzare una chiave molto sofisticata per sbloccare la serratura. I dendriti umani potrebbero richiedere dei segnali molto specifici per influenzare fortemente i corpi cellulari. In definitiva le proprietà dei dendriti umani possono dotare i neuroni di una maggiore potenza di calcolo rispetto a quella posseduta dai roditori.

«Poiché i segnali nei ratti sono trasmessi più facilmente da una parte all’altra della cellula ciò suggerisce che l’elaborazione dei segnali elettrici nei dendriti di questi animali sia meno a compartimenti» scrive Harnett.

I risultati di questo studio potrebbero aiutare a comprendere meglio il funzionamento del cervello umano

Il neuroscienziato Michael Hausser che lavora presso lo University College di Londra (che non ha preso parte a questo lavoro) sottolinea che questo nuovo studio supporta decenni di ricerca sugli animali (per la maggior parte roditori). Sulla base di queste osservazioni, prosegue il ricercatore, ci aspettavamo un maggior grado di compartimentazione nei dendriti dei neuroni umani rispetto a molti altri animali perché sono molto più lunghi.

Il lavoro successivo che è stato fatto con i modelli computazionali suggerisce che l’avere più compartimenti indipendenti per l’elaborazione all’interno dei dendriti potrebbe fornire maggiore potenza di calcolo all’interno di una singola cellula.

Tuttavia, i calcoli che i dendriti riescono ad eseguire e i comportamenti collegati a questa attività con i neuroni sono ancora poco chiari. Tuttavia, gli scienziati hanno avanzato alcune ipotesi: una possibilità è che l’attività elettrica all’interno dei dendriti potrebbe rivelare la presenza simultanea di segnali separati, ad esempio informazioni in arrivo come il profumo e la forma di una rosa. Oltre a identificare gli input per i neuroni i dendriti potrebbero anche essere coinvolti nell’associare insieme queste informazioni e nel memorizzarle.

Naturalmente, queste ipotesi devono ancora essere provate sperimentalmente. Tuttavia lo studio di Harnett «rappresenta un primo passo verso una nuova era di esplorazione dei nostri dendriti» scrive Hausser. «Tutto questo è incredibilmente importante per capire in che modo funziona il cervello umano» prosegue il ricercatore.

Il neuroscienziato Javier DeFelipe che lavora presso l’Istituto Cajal di Madrid (ricercatore che non ha preso parte allo studio) sottolinea l’importanza dell’analisi del tessuto cerebrale umano. Diversi studi neuroscientifici si basano sui roditori ma il cervello degli animali differisce da quello degli essere umani in diversi modi. Questo lavoro di ricerca mostra che oltre alle differenze relative alle dimensioni delle cellule ci sono anche differenze nel modo in cui gli organi dell’uomo funzionano. «Il cervello umano non è il cervello di un topo con dimensioni cerebrali maggiorate» prosegue DeFelipe. Secondo i ricercatori la maggiore lunghezza dei neuroni umani altera le loro proprietà di input e output, questo ha quindi un impatto sulla eleborazione dei segnali da parte della corteccia cerebrale.

Lo studio (Enhanced Dendritic Compartmentalization in Human Cortical Neurons) è stato pubblicato sulla rivista Cell.

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