Ai lettori di AG, offriamo in questa intervista a Fausto Intilla, l’opportunità di comprendere meglio i motivi per cui spesso e purtroppo anche erroneamente, tendiamo a considerare il fenomeno della non-località quantistica (entanglement) come una sorta di “mezzo” in grado di offrirci la possibilità di comunicare attraverso degli scambi istantanei di informazione (sia su brevi che su grandissime distanze); dunque, teoricamente a velocità superiori a quella della luce (superluminali). Si tratta di una questione assai dibattuta in campo scientifico e a tutt’oggi molti fisici, non sono pienamente d’accordo su questa “impossibilità a priori” di sfruttare il fenomeno dell’entanglement per tali scopi. Partiamo dunque con questa intervista, chiedendo a F.I. qual è la sua posizione al riguardo.
R.V: Buongiorno e bentrovato Fausto. A domanda già posta, lascio quindi a te la parola”
F.I.: Buongiorno Riccardo e grazie innanzitutto per l’ospitalità che hai voluto offrirmi su AG. Anche se potrà sembrarti piuttosto insolito, vista la mia propensione per tutto ciò che si spinge sempre oltre la visione standard delle attuali conoscenze nel campo della fisica, in questo caso mi ritrovo anch’io su una posizione del tutto ortodossa, in merito a tale questione. La prima cosa che occorre sottolineare, è che l’impossibilità di inviare messaggi utilizzando esclusivamente il fenomeno dell’entanglement, è praticamente dimostrata dalle leggi che descrivono concetti e proprietà dell’informazione quantistica. Come tanti appassionati di fisica quantistica sicuramente già sapranno, in meccanica quantistica non esistono nessi di causalità tra particelle entangled; anche se poste a brevissima distanza tra loro. In altre parole, non esiste un’ipotetica freccia del tempo che ci permetta di stabilire un “prima” e un “dopo” in cui è possibile osservare in che modo l’informazione viene trasmessa dall’uno all’altro elemento/particella (trasmittente e ricevente). In sostanza, ipotizzando che esista una forma oscura/nascosta o semplicemente sconosciuta di comunicazione tra la particella trasmittente e quella ricevente, allora l’impossibilità di determinare quale particella è stata misurata per prima, implica a sua volta l’impossibilità di determinare quale particella ha “innescato” lo scambio di informazione; ovvero di distinguere tra la particella trasmittente e quella ricevente. Se ne deduce quindi che le due particelle, grazie ad una legge della natura che nessuno finora è stato in grado di definire, si ritrovano in stati quantistici opposti, nonostante nessuna delle due possa stabilire il proprio stato, fino a quando un osservatore, attraverso un atto di misurazione, non “costringe” una delle due a farlo. Il collasso delle funzioni d’onda avviene contemporaneamente e in modo correlato (da cui il termine entangled); ma è proprio il fatto che tale evento non possa essere deciso/stabilito in anticipo, che compromette in partenza il concetto stesso di comunicazione o scambio di informazione.
R.V.: Dunque se ho ben capito, l’errore fondamentale sta nel considerare l’entanglement come uno scambio d’informazione tra due particelle correlate?
F.I.: Esattamente. Anche perché se un tale scambio di informazione esistesse realmente, implicherebbe che esso avverrebbe ad una velocità superiore a quella della luce. Con il paradosso inoltre che l’informazione arriverebbe ugualmente a destinazione, anche se mittente e destinatario rimangono sconosciuti! Fatto ancora più incredibile, è che in linea di principio due particelle correlate tra loro (entangled o EPR), mostrerebbero un simile comportamento anche se l’atto di misurazione venisse eseguito “prima” della “nascita” dell’entanglement. Il fenomeno in questione è noto con il nome di “esperimento di scelta ritardata”.
R.V.: Nonostante ciò che hai esposto sia tutto molto chiaro, c’è tuttavia ancora qualcosa che mi sfugge. Se davvero è impossibile utilizzare il fenomeno dell’entanglement quantistico per spedire dei bit o qubit di informazione a velocità superiori a quella della luce, come si spiegano allora tutti gli esperimenti portati avanti da Anton Zeilinger e colleghi negli ultimi vent’anni, andati ovviamente a buon fine, di teletrasporto quantistico? Nel momento in cui vengono usate particelle entangled per trasmettere un qubit di informazione, teoricamente non staremmo violando il principio per cui non è possibile inviare l’informazione a velocità superluminali?
F.I.: Ottima domanda Riccardo. Ebbene la risposta è no. Infatti il processo di teletrasporto, nel caso più semplice possibile, può completarsi solo se oltre all’informazione quantistica definita da un qubit, vengono trasferiti dal mittente al destinatario, anche due bit semplici (o classici) di informazione; e i bit classici di informazione, come ben sappiamo, non possono viaggiare a velocità superiori a quella della luce. Anche se il meccanismo utilizzato dal teletrasporto per trasferire lo stato quantistico di un atomo ad un altro atomo, è la famosa “azione a distanza” definita nel paradosso EPR, l’informazione effettiva sull’atomo non può spostarsi da un luogo all’altro ad una velocità superluminale.
R.V: Dunque, a quanto pare, non vi è alcun modo attualmente conosciuto di violare il principio della velocità della luce come velocità limite, neppure nello scambio di informazione; sia essa classica o quantistica. Ancora una volta quindi, possiamo affermare senza grande stupore, che Einstein aveva ragione?
F.I.: Credo proprio di sì.
R.V.: Non avevo dubbi. Grazie di cuore Fausto per la tua gentilezza e disponibilità. Alla prossima.
F.I.: Grazie a te Riccardo. A presto.