Cos’è la fotosintesi inversa, realizzata da un italiano

Cos’è la fotosintesi inversa, realizzata da un italiano
fotosintesi inversa
Crediti: shutterstock

Sfrutta clorofilla e luce solare per degradare biomasse vegetali e produrre bioetanolo. Ma non solo: potrebbe trovare utilizzo in moltissimi processi industriali.

Un game changer, che potrebbe rivoluzionare la produzione di carburanti e l’industria chimica, con ricadute importanti sull’ambiente e sul cambiamento climatico. Si tratta della fotosintesi inversa: un processo chimico che sfrutta la clorofilla e la luce solare, ma non per creare materiale organico e produrre ossigeno, come capita nella fotosintesi tradizionale, quanto piuttosto per degradare biomasse vegetali. Il risultato, almeno per ora, è un processo molto più rapido, efficiente e green per produrre biocarburanti. In futuro però questa tecnica potrebbe essere utilizzata per rivoluzionare anche moltissime altre reazioni chimiche utilizzate a livello industriale. A descriverla, sulle pagine di Nature Communications, è lo studio realizzato da un team di ricercatori dell’università di Copenaghen.

Il principale autore della scoperta però è David Cannella, un giovanissimo ricercatore italiano attualmente impegnato in un post-doc presso l’università danese.

La ricerca di cui si occupa, grazie a una borsa di studio individuale del governo danese, è proprio il miglioramento dei processi di produzione dei biocombustibili come l’etanolo, un cosiddetto biocarbutante di seconda generazione che si può ottenere dalla degradazione di biomasse vegetali,come gli scarti agricoli. Un campo di studi importante, perché l’utilizzo di biocarburanti ridurrebbe di molto la nostra dipendenza dai combustibili fossili, e dalle importanti ricadute industriali, visto che le direttive europee dicono che entro il 2020 la benzina utilizzata nell’Ue dovrà contenere il 20% di etanolo (oggi ne contiene il 5%). Uno dei metodi che si utilizzano a livello industriale per trasformare queste biomasse in etanolo è una reazione di fermentazione che sfrutta degli enzimi chiamati monoossigenasi.

Ed è cercando di migliorare l’efficienza di questo processo che Cannella ha avuto l’intuizione da cui nasce la fotosintesi inversa.

“Nei nostri esperimenti ci troviamo spesso a dover smaltire residui di clorofilla – ha raccontato a Wired il ricercatore – e così un giorno ho avuto l’idea: visto che la clorofilla raccoglie l’energia solare e rilascia elettroni, mentre gli enzimi hanno bisogno di elettroni per funzionare, perché non provare a combinarli?”.

E in effetti, una volta messa alla prova la clorofilla ha dimostrato di potenziare incredibilmente l’efficacia della monoossigenasi: “Al primo esperimento – continua Cannella – la nostra fotosintesi inversa ha ottenuto i risultati di 24 ore di lavoro in soli 10 minuti”.

Per sfruttare questa reazione chimica nella produzione industriale di bioetanolo però ci vorrà realisticamente del tempo, visto che adattare grandi impianti di produzione (il primo e unico al mondo per ora è quello tutto italiano della biochemtex) non è facile. La fotosintesi inversa però potrebbe essere applicata a moltissime altre reazioni chimiche in cui si utilizzano enzimi che necessitano di elettroni. Tra le possibili applicazioni che i ricercatori stanno analizzando c’è la creazione di metanolo (con cui creare combustibili e sostanze chimiche) a partire da biogas, la degradazione e lo smaltimento della plastica, e anche l’utilizzo nell’industria alimentare.

Simone Valesini

wired.it