Leonardo comprese molto presto che la matematica del suo tempo non era adatta a riprodurre e caratterizzare i risultati più importanti delle sue ricerche scientifiche, la descrizione delle forme viventi della natura nei loro continui movimenti e nelle loro continue trasformazioni. Invece che alla matematica, egli ricorreva molto spesso al disegno per caratterizzare graficamente le proprie osservazioni in immagini di incredibile bellezza, capaci di sostituire i diagrammi matematici.
I disegni scientifici di Leonardo – sia che raffigurino elementi di macchine, strutture anatomiche, formazioni geologiche, flussi turbolenti dell’acqua o dettagli botanici di specie vegetali – non sono mai rappresentazioni realistiche di una singola osservazione. Sono invece sintesi di osservazioni ripetute, rese in forma di modelli teorici. Quando disegnava in modo preciso i contorni degli oggetti, si trattava di immagini concettuali più che realistiche, mentre quando realizzava immagini realistiche di un oggetto rendeva i contorni confusi rappresentandoli come appaiono realmente all’occhio umano.
Oltre a sfruttare la sua fenomenale capacità nel disegno, Leonardo si servì anche di un approccio geometrico per rappresentare le forme della natura. L’aspetto della geometria che affascinava in modo particolare Leonardo era la sua capacità di rappresentare variabili continue. Leonardo aveva compreso che sarebbe stata necessaria una matematica delle quantità continue, per descrivere i movimenti e le trasformazioni incessanti che avvengono in natura. Benché ovviamente non potesse disporre della teoria delle funzioni e del calcolo differenziale, riuscì ad ampliare la geometria, sperimentandone nuove interpretazioni e nuove forme che avrebbero prefigurato i suoi sviluppi successivi.
A differenza di quella euclidea, che riguardava figure rigide e statiche, la visione leonardesca della geometria è intrinsecamente dinamica. Si può dire che Leonardo da un lato, usa la geometria per studiare traiettorie e altri tipi di movimenti complessi nell’ambito dei fenomeni naturali, dall’altro utilizza il movimento come strumento per dimostrare dei teoremi geometrici. Leonardo definiva questa sua maniera di procedere “geometria che si prova col moto” o “che si fa col moto”.
Il pensiero sistemico: dalla teoria generale dei sistemi alla teoria della complessità
La fisica dei comportamenti collettivi e di quella che oggi si chiama “complessità”, nasce con la fisica statistica verso la fine dell’800 e consegue il suo primo successo in seguito all’azione combinata di diverse discipline e prospettive, le quali hanno permesso di connettere, mediante le distribuzioni di probabilità, le grandezze macroscopiche della termodinamica con quelle microscopiche del moto molecolare.
Sulla base della constatazione che ben poche erano le situazioni in cui era possibile ottenere una situazione analiticamente “chiusa” per la grande maggioranza delle equazioni differenziali, che descrivono proprio i cambiamenti nel tempo e nello spazio di una struttura dinamica, nasce la teoria qualitativa delle equazioni differenziali, ad opera di giganti come Poincaré e Ljapunov, che si concentra non tanto sui dettagli del processo evolutivo, quanto sugli stati di equilibrio, sulle biforcazioni e sulle classi evolutive possibili per uno stesso sistema in condizioni diverse.
Ed è in questo contesto che nasce la famosa teoria del caos: al crescere del numero di variabili e per funzioni sempre più complicate (non linearità), sono possibili comportamenti dove si manifesta un’enorme varietà di stati d’equilibrio (gli attrattori).
Questi strumenti trovano un bacino d’accoglienza epistemologico negli schemi concettuali incrociati della teoria dell’informazione (Shannon, 1948), della cibernetica (Wiener, 1948) e della teoria dei sistemi (von Bertalanffy, 1968). In particolare, possiamo dire che, con la teoria generale dei sistemi elaborata dal biologo austriaco Ludwig von Bertalanffy, nasce come vero e proprio movimento culturale autonomo e peculiare il pensiero sistemico, sviluppo naturale della scienza delle qualità di Leonardo.
Bertalanffy riteneva che i fenomeni biologici richiedessero un approccio olistico e cercò di fondare la sua teoria generale dei sistemi su una solida base biologica in cui il pensiero evoluzionistico – basato sui concetti di cambiamento, crescita e sviluppo – facesse riferimento a una nuova scienza della complessità.
Benché non fosse stato in grado di risolvere il dilemma introdotto dalla seconda legge della termodinamica (vale a dire di fornire una spiegazione del perché l’evoluzione dei sistemi viventi si sviluppa verso un ordine e una complessità crescenti, mentre il background, il mondo materiale inerte è dominato da un sempre maggiore disordine), Bertalanffy tuttavia riconobbe che gli organismi viventi sono sistemi aperti che non si possono descrivere nei termini della termodinamica classica e si mantengono lontani dall’equilibrio in uno “stato stazionario” caratterizzato da un continuo flusso di energia e di materia dal loro ambiente.
Davide Fiscaletti
Tratto da Scienza e Conoscenza n.58
scienzaeconoscenza.it