Le tracce dei violenti impatti che hanno modellato la Terra sono ancora evidenti sopra e sotto la superficie del nostro pianeta. Di recente, infatti, è stato svelato un enorme cratere da impatto di 31 chilometri di diametro nella Terra di Inglefield in Groenlandia settentrionale. Il responsabile? Un meteorite ferroso di un chilometro di diametro che ha colpito la Terra – forse – ben 12mila anni fa, verso la fine del Pleistocene. Il cratere, descritto in uno studio pubblicato su Science Advances, entra a pieno titolo nella classifica dei 25 crateri da impatto più grandi del pianeta. Il ghiacciaio continentale che lo ha “protetto” in questi
millenni è quello di Hiawatha.
Scoperto sotto un chilometro di ghiaccio e studiato con i dati raccolti dai radar Nasa dal 1997 al 2014, nel 2016 il cratere è stato nuovamente analizzato con un sistema radar di nuova generazione, il Multichannel Coherent Radar Depth Sounder, dai ricercatori del dell’Università del Kansas e del Museo di storia naturale di Danimarca.
«Il cratere è eccezionalmente ben conservato e questo è sorprendente, perché il ghiaccio è un agente erosivo incredibilmente efficiente che avrebbe rapidamente rimosso le tracce dell’impatto», dice Kurt H. Kjær del Centro di Geogenetica al Museo di storia naturale di Danimarca. Cosa vuol dire? Il cratere è relativamente “giovane” dal punto di vista geologico: «Non è stato possibile datarlo direttamente, ma il suo stato suggerisce che si sia formato dopo che il ghiaccio ha cominciato a coprire la Groenlandia, verso la fine dell’ultima era glaciale».
Casualmente – o non proprio – un gigantesco meteorite ferroso di 20 tonnellate trovato in Groenlandia, non lontano da Hiawatha, viene conservato nel giardino del Centro di Geogenetica di Copenhagen. Da lì la prima intuizione dei ricercatori, ma mancavano le prove concrete.
La presenza del cratere è confermata da alcune mappe. Il cratere presenta una struttura circolare, ma non è semplice da individuare sorvolando la zona. Solo grazie all’incrocio di dati satellitari e dei radar è stato possibile confermare le coordinate e la forma. Il team di scienziati ha poi effettuato successivi studi a terra di sedimenti glaciofluviali mostrando la presenza di quarzo “scioccato” e altri grani tra cui anche il vetro, prodotti dalla fusione generata dall’impatto.
Eleonora Ferroni