Le prime simulazioni di particelle di materia e antimateria in rotazione attorno a un buco nero suggeriscono l’origine degli enigmatici getti con velocità vicine a quella della luce nel vuoto. Ulteriori dettagli potrebbero essere forniti dai dati registrati dall’Event Horizon Telescope che sta studiando il buco nero al centro della Via Lattea e quello al centro di Messier 87. Per la prima volta un gruppo di astrofisici ha calcolato come singole particelle di materia e antimateria girano vorticosamente attorno a un buco nero in rotazione. Queste simulazioni al computer forniscono informazioni cruciali su come i buchi neri proiettano getti di materia a una velocità che è quasi quella della luce, e i risultati del gruppo supportano due meccanismi di alimentazione proposti in precedenza sul modo in cui vengono alimentati i misteriosi flussi di particelle.
La nuova tecnica di simulazione potrebbe anche aiutare gli astrofisici a interpretare i dati di una schiera globale di radiotelescopi che stanno osservando il buco nero supermassiccio al centro della Via Lattea. I risultati del gruppo, pubblicati il 23 gennaio, sono una “pietra miliare” nello studio dei buchi neri, dice Serguei Komissarov, astrofisico all’Università di Leeds, in Regno Unito.
I getti di materia ad alta energia sono comuni in tutto il cosmo e sembrano provenire da una varietà di fonti, anche se non ci sono ancora prove dirette su come si formano. Nella nostra galassia, molte stelle di neutroni producono questi getti, così come alcuni buchi neri relativamente piccoli – quelli non molto più massicci del Sole – nel processo di assorbimento della materia. Gli astrofisici pensano che alcuni buchi neri supermassicci al centro di altre galassie al centro di altre galassie siano dietro spettacolari getti che si estendono per migliaia di anni luce, come quelli visti intorno alla galassia Messier 87. In molti casi, soprattutto per i piccoli buchi neri, i getti sembrano contenere una sottile nebbia di elettroni e delle loro controparti di antimateria, i positroni, che fuoriescono come plasma ad alta velocità.
Gli attuali modelli di comportamento
dei buchi neri indicano che le coppie particella-antiparticella sono prodotte all’interno di intensi campi magnetici ed elettrici che vorticano vicino all’orizzonte degli eventi di un buco nero, la superficie sferica da cui nulla può fuggire una volta che la si attraversa. La maggior parte di queste particelle cadono nel buco nero.
I getti si formano vicino ai poli magnetici del buco nero, dove trecce caotiche di campi magnetici intrecciati emergono nello spazio interstellare. Questi campi, secondo la spiegazione prevalente degli astrofisici, porterebbero via parte dell’energia e del momento di rotazione del buco nero, oltre a creare più elettroni e positroni.
In passato, le simulazioni 3D della dinamica del buco nero hanno modellato il plasma di elettroni e positroni come un continuum. Ma in questo studio, Parfrey e colleghi hanno incluso nelle simulazioni le singole particelle e hanno osservato come i loro movimenti si sono intrecciati con i campi magnetici ed elettrici, contribuendo ad alimentarli.
I loro risultati mostrano correnti turbolente di positroni ed elettroni che si muovono in direzioni opposte, mentre entrambe roteano attorno a un disco intorno all’equatore del buco nero. Queste correnti fanno sì che l’energia emerga dalle regioni polari.
“La cosa più importante dei getti in generale non è il plasma, ma la tanta energia che esce dal campo elettromagnetico”, dice il coautore Kyle Parfrey, astrofisico al Goddard Space Flight Center della NASA a Greenbelt, nel Maryland. “È quello che vediamo accadere.”
Questo effetto è stato previsto negli anni settanta dagli astrofisici Roger Blandford e Roman Znayek, che hanno proposto un meccanismo per spiegare come i getti potrebbero trarre energia dallo spin di un buco nero, e come ciò contribuirebbe a rallentarne la rotazione. (La teoria di Einstein equipara l’energia alla massa; quando lo spin di un buco nero rallenta, diventa più leggero).
Lo studio ha anche corroborato un secondo meccanismo, che spiega come l’energia è estratta da un buco nero rotante, un meccanismo proposto per la prima volta dal fisico-matematico britannico Roger Penrose negli anni sessanta. Secondo il modello di Penrose, alcune particelle create vicino all’equatore del buco nero hanno energia negativa, così, quando cadono nel buco nero, ne rallentano la rotazione. Questo ipotetico fenomeno ricorda la “radiazione di Hawking” proposta in seguito da Stephen Hawking, in cui le particelle di energia negativa contribuiscono a ridurre la massa di un buco nero.
Le nuove simulazioni sono ancora incomplete, dice Parfrey. In particolare, non includono la fisica dettagliata della creazione delle particelle e delle antiparticelle, o del disco di accrescimento – il flusso di materiale intorno al buco nero – che si pensa alimenti i campi elettromagnetici. Un buco nero che rimanesse isolato dalla materia dissiperebbe rapidamente questi campi, finendo in uno stato di quiete e buio, senza emissione di getti di plasma.
Il coautore Benoît Cerutti dell’Université Grenoble Alpes, in Francia, afferma che l’Event Horizon Telescope, una rete di antenne radio sparse per il globo che dovrebbe produrre i primi risultati quest’anno, potrebbe offrire alcuni interessanti dettagli su come il plasma si muove intorno al buco nero supermassiccio al centro della Via Lattea, e a quello al centro di Messier 87. “La mia speranza – dice Cerutti – è che ponga più vincoli osservativi”.
Davide Castelvecchi / Nature
(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su “Nature” il 30 gennaio 2019. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)