La civiltà perduta

Immanuel Velikovsky
Immanuel Velikovsky

Esiste una teoria avvincente, dedotta da Sitchin in seguito a una nuova interpretazione dei Testi delle Piramidi e di altri miti Egizi e ripresa da Alan Alford, che considera Atlantide come un pianeta esploso e non un continente perduto.

Secondo Sitchin gli egiziani avrebbero vissuto accanto agli Annunaki, una razza in possesso di una elevata tecnologia spaziale. Questa razza aliena avrebbe costruito un centro spaziale nel Sinai, nella terra di Dilmun, la terra dei razzi, e due Piramidi a Giza come punti di riferimento nella navigazione aerea.

Baalbek, in Libano, sarebbe stato un loro centro di controllo, un punto di riferimento lungo i cosiddetti “corridoi di volo” citati proprio da Sitchin.

Nel libro “Il Dodicesimo Pianeta” e nel poema epico babilonese “Enuma Elish”, è descritta una battaglia planetaria. Secondo le credenze egizie Seth apparirebbe come un pianeta che giunge dalle profondità dello spazio per incontrare uno dei pianeti interni al sistema solare.

Tale corpo celeste chiamato anche Nibiru, identificato dai Babilonesi in Marduk, nel suo percorso intorno al Sole in senso contrario a quello degli altri pianeti impatta più volte con Tiamat, un pianeta situato fra Giove e Marte, il pianeta delle Acque, il Grande Drago. L’urto è violento e il pianeta viene spaccato in due. Con una parte forma la Terra ponendola in un orbita più vicina al Sole; sbriciola l’altra originando la fascia di asteroidi.

L’Enuma Elish babilonese elaborata da Zacaria Sitchin si ritrova nei versetti del libro della genesi che descrivono come il vento del Signore aleggiava sulle acque di Theon, l’abisso delle acque e come il fulmine del Signore (in lingua babilonese Marduk) rischiarò le tenebre dello spazio quando colpì Tiamat creando la Terra e il “Rakia”, parola che letteralmente significa “braccialetto martellato”, detto anche Cielo, ossia Shamaim (Genesi 1,8).

La Terra ebbe una nuova orbita intorno al Sole, vennero originate le stagioni e la rotazione assiale stabilendo il giorno e la notte. È la descrizione di un evento cosmico naturale non di una creazione divina intenzionale.

Possiamo tranquillamente discutere se tutto rientra nelle leggi che regolano l’intero universo, ma non possiamo parlare di un’entità superiore che decide e dispone le cose a suo piacimento per premiare o punire. Si può parlare di una “Forza”, creatrice o distruttrice, un’Energia Creatrice che controlla l’universo, ma la mente razionale intende una forza fisica.

Dopo aver constatato che gli antichi popoli adoravano il Sole come divinità suprema dobbiamo concludere che un evento cosmico può essere stato raccontato personificando i pianeti coinvolti nel fenomeno divinizzandoli. Quindi Marduk è il nome dato al Re dei Re, il Dio degli Dei, ma non sappiamo quale fosse il suo vero nome. Lo stesso dicasi per Tiamat e del popolo che certamente vi abitava.

La collisone dei pianeti, che richiama alla mente la teoria di Velikovsky, diviene una saga popolare, un mito, da cui prende origine l’umanità; la versione modificata di un ricordo di un popolo costretto a scappare dal suo luogo originario, che poi tramanda ai posteri costruendovi sopra un intero sistema di credenze che influenzeranno l’intera esistenza nel corso dei secoli.

Ciò non toglie che lo studioso segnalò il ritrovamento di palme nella Groenlandia, coralli in Alaska, ossa non fossilizzate di ippopotami in Inghilterra, resti di orsi polari e foche artiche schiacciati insieme in una massa informe con ostriche e coccodrilli.

Sembra in seguito ad una catastrofe avvenuta migliaia e migliaia di anni fa, quando il livello degli oceani si abbassò d’improvviso per poi risollevarsi di molti metri alterando violentemente il clima, estinguendo annegandole intere civiltà.

Quindi Velikovsky, in “Mondi in Collisione”, offre evidenze di tremendi cataclismi verificatisi durante la preistoria. Un evento avvenuto in un tempo remoto, forse troppo per essere ricordato esattamente.

Ma come può essere stato un evento per così dire naturale, regolato dalle leggi dell’universo, può anche essersi trattato di un evento bellico, una guerra cosmica fra pianeti, dando forma e consistenza a quella “Guerra del cielo” nominata nei testi sacri di molti popoli. La guerra fra le schiere celesti del bene e quelle del male. Due pianeti che si guerreggiano per il dominio di una parte di cielo; impiegando una terribile tecnologia di morte che procura la distruzione, non solo dei pianeti coinvolti nel conflitto, ma anche di quelli vicini.

Uno dei pianeti coinvolti potrebbe essere stato Marte, dove sembra che vi sia stata vita in un tempo remoto. Almeno da quanto documentato dalle foto scattate dalle sonde. La cosa diviene intrigante, affascinante e abbastanza credibile. Quantomeno spiegherebbe alcuni misteri e alcuni eventi il cui ricordo viene tramandato sotto forma di mito o leggenda.

Sembra non manchino, a confermare tali tesi, prove fisiche di un eventuale esplosione dovuta a mondi in collisione. Nel deserto libico si trovano un infinità di sassolini scuri, indicati come resti di una pioggia di meteoriti avvenuta nel passato. La caduta di meteore nella zona del Sahara, tre pezzi considerevoli accompagnati da uno sciame di più piccoli esemplari, avrebbe prodotto l’evaporazione del grande mare interno trasformando la zona nell’attuale deserto.

Le rilevazioni satellitari del Columbia nel 1981 mostravano letti di fiumi sepolti di notevole grandezza nei territori del Sudan e nell’Egitto, ponendo in risalto che migliaia di anni fa la zona era ricca di foreste, pascoli e terreni idonei ad un’agricoltura avanzata. I fiumi convogliavano in un grande bacino interno, vasto come il Mar Caspio sulle cui rive si affacciavano Libia, Ciad, Sudan, Egitto, Tunisia. Una zona florida, popolata da uomini ed animali, rifornita di acqua, soggetta a frequenti precipitazioni, almeno fino a diecimila anni fa, data in cui prende vita il deserto del Sahara e la civiltà egiziana.

Attraverso le antiche scritture Sitchin avrebbe trovato altre prove riguardo al verificarsi dell’evento che diede vita al deserto. Uno dei pochi astronomi convinti che un pianeta intruso ha modificato il nostro sistema solare distruggendo due pianeti e una luna, i cui resti hanno dato vita alla cintura di asteroidi, è Tom Van Flandern. La formazione della cintura rimane un mistero che ha originato molte teorie.

Johann Bode, astronomo del 1700, basandosi su una elaborata formula matematica per determinare le distanze dei pianeti dal Sole, ha dedotto che doveva esistere un altro pianeta fra Marte e Giove, proprio dove adesso si trova la cintura degli asteroidi.

Secondo Bode il pianeta esplose per cause sconosciute, ma potrebbe essere entrato in collisione con un enorme asteroide. Qui può venire in aiuto una seconda teoria, quella prospettata da Immanuel Velikovsky, anche questa descritta in “Mondi in Collisione”. Egli stabilì una connessione fra i disastri e le catastrofi verificatesi sul nostro pianeta con l’apparizione del pianeta Venere. Questo “pianeta” sarebbe infatti giunto in un secondo momento nel nostro sistema solare, invadendolo come una cometa e provocando mutamenti anche sulla Terra, causando repentini cambiamenti climatici e cataclismi.

In effetti antichi documenti presentano Venere come un pianeta recente, non antico quanto il sistema solare; viene descritto come una stella provvista di corna, o coda, caratteristica di una cometa.

In Mesopotamia e in America Centrale, Venere non viene inclusa fra i nove pianeti conosciuti; nei documenti se ne parla come una stella vagante nel cielo, che incute terrore e alla quale si offrono sacrifici. Viene descritta come una minaccia e si contano i periodi di tempo riferendosi al suo passaggio. Si scopre in tal modo che compie il suo percorso intorno al Sole in quaranta anni formando nel cielo una stella a cinque punte. Alla fine del suo strano percorso, Venere occuperà rispetto al Sole la stessa posizione di quarant’anni prima con una decina di giorni di scarto. Fatto che ha influenzato il calendario di molte popolazioni antiche.

Il contatto elettromagnetico di Venere con la Terra avrebbe provocato uno spostamento dell’orbita, dell’asse magnetico, alterato il corso delle stagioni, provocato colossali maremoti e terremoti causando l’inabissamento di vaste regioni a causa delle fratture nella piattaforma tettonica.

Una apocalisse descritta anche nella Bibbia e in altri libri sacri dei popoli antichi che hanno popolato il pianeta e conservato vivo il ricordo di tali tragedie. Ma non è tutto, secondo tale teoria, dopo aver sfiorato la Terra e prima di assestarsi sull’attuale orbita, Venere, si scontrò con Marte alterandone il percorso e sconvolgendone superficie e clima.

L’ipotesi di Velikovsky fu derisa e attaccata dalla scienza ufficiale, solo Einstein mantenne verso di essa un atteggiamento aperto, forse perché non tutto quello che lo scrittore aveva asserito era errato; oggi difatti possiamo constatarlo.

Senza avere i mezzi idonei per stabilirlo Velikovsky calcolò la temperatura di Venere oltre i 400°, come è in effetti. Attraverso la sonda Mariner 10 è stato anche accertato che il “pianeta” presenta tracce simili a quelle presenti nelle code delle comete; inoltre ruota in direzione inversa rispetto agli altri pianeti, come ha sostenuto Velikovsky.

Su Marte sono stati rilevati l’Argo e il Neon, menzionati in “Mondi in collisione” e la superficie marziana ha subito un repentino cambiamento da quella che era inizialmente. La più recente prova è il ritrovamento di una grande massa di acqua ghiacciata sotto circa sessanta centimetri della superficie dei poli. Da queste teorie, ai miti e alle leggende dei popoli, alla scomparsa di un continente oceanico, all’estinzione della vita su di un lontano pianeta come Marte, ad una migrazione forzata verso un altro pianeta dalle simili caratteristiche, ad una immane catastrofe cosmica, il passo è breve e tutto diviene possibile.

Torniamo alla teoria di Zacaria Sitchin. Una nuova interpretazione della saga di Osiride smembrato da Seth e dei resti del suo corpo sparsi e sepolti per tutto l’Egitto, fornisce il suggerimento che Osiride fosse un pianeta esploso i cui frammenti colpirono la Terra. Il mito narra che Osiride cadde in mezzo al fuoco e spaccò la Terra infiltrandosi in profondità.

Osiride, nei Testi delle Piramidi, era posto nell’acquitrinoso abisso dello spazio ed è scritto che, quando i pianeti esplosero, cadde sulla terra un diluvio di acqua. Proprio come citato nella genesi: “l’acqua del diluvio cadde sulla Terra da una apertura dei cieli”. Riferendosi all’Enuma Elish vediamo l’acqua di Tiamat inondare i cieli. Nei Testi di Coffin è scritto: “Questa è la cosa sigillata che contiene il flusso di Osiride. Essa è posta in Rostau; nascosta fin dalla sua caduta, è quanto caduto da lui sul deserto di sabbia”. Facilmente collegabile alla pietra conservata ad Abido, al Ben Ben custodita ad Eliopoli. In pratica una meteorite conica.

Da quanto scrive Alan Alford per gli egizi l’atto catastrofico era conosciuto come “il giorno dell’uccisione dell’antico Uno” (di uno degli antichi) un giorno in cui numerosi Dèi furono decapitati e ascesero al cielo, quando questo fu separato dalla Terra e “ci fu un forte grido e un fuoco di luce”.

Tutte metafore creative riferite a un esplosione di pianeti avvenuta decine di milioni di anni fa che gli egizi chiamarono “Primo Tempo”, lo “Zep Tepi”. Alan Alford si chiede cosa poteva aver ispirato questi riferimenti ad una terra natia planetaria nel lato orientale del cielo, dove il re ascendente dovrebbe regnare sull’Enneade di nove Dèi, da un trono fatto di ferro.

La risposta potrebbe emergere dalla leggendaria battaglia fra Seth e Orus che, per gli egittologi, è un ricordo di guerra nella valle del Nilo, mentre per Alford, prende posto nel cielo o nelle acque dello spazio e si può collocare nel “primo tempo”, e si collega alla teoria del pianeta intruso di Van Flanders.

Teoria controversa e non accettata dalla maggioranza dei moderni astronomi in quanto esistono prove fisiche dell’esistenza di una grande civiltà situata su di un’isola in mezzo all’Atlantico. Scomparsa forse a causa dell’invasione di Venere, ma può anche essere solo la precedente civiltà che popolava la Terra nel momento della catastrofe, e non è detto che si chiamasse Atlantide. Il racconto di Platone descrive un cataclisma terrestre che causa l’affondamento di una terra nell’oceano ed è seguito da un terremoto e una alluvione.

Gli egiziani usavano la parola “isola” come metafora di “pianeta”, quindi l’oceano diviene lo spazio di acqua nel quale emergevano i primi mondi quando il tempo aveva inizio. Di conseguenza i pianeti divengono “isole” fluttuanti nelle acque cosmiche. Era dunque “Atlantide” un pianeta esploso?

Ricordiamo le teorie che parlano della caduta della Luna sulla Terra causa della scomparsa di Atlantide.

Denis Saurat e H.S. Bellamy sono i fautori di una teoria ricavata dalle deduzioni di Horbiger secondo cui la Luna non sarebbe il primo satellite della Terra, ma vi sarebbero state molte lune, una per ogni periodo geologico. Vi sarebbero stati periodi geologici ben distinti da altri perché alla fine di ogni periodo un satellite sarebbe caduto sulla Terra.

La Luna non descriverebbe intorno alla Terra un’ellisse chiusa, ma una spirale che va restringendosi e che finirà per farla cadere sul nostro pianeta. Una conferma potrebbe venire da Sir George Darwin astronomo, figlio del celebre naturalista; egli afferma che il nostro satellite è destinato a perire in un disastroso cataclisma:

“La Terra al momento della creazione aveva una rotazione molto veloce tanto che il giorno durava cinque ore. Gradatamente rallentò attraverso la frizione delle maree che si manifesta in modo contrario a quello in cui il globo volge il proprio asse – un secondo ogni milione e duecentomila anni – e frena la Terra anche nello spazio in modo tale che la Luna si allontana. Fra cinquanta miliardi di anni quando la Luna disterà 550.000 km il giorno durerà quanto quarantasette giorni attuali; la Luna volgerà sempre la stessa faccia. I giorni saranno caldi, le notti rigide.
Quando la rotazione diventerà più lenta della rivoluzione lunare le maree si manifesteranno in senso contrario accelerando il moto rotatorio. Il nostro satellite inizierà ad avvicinarsi e niente potrà arrestarlo.

Una volta in prossimità della Terra inizierà a sgretolarsi formando un anello simile a quello di Saturno, una parte dei frammenti cadrà sulla Terra come una pioggia di meteore. Vi saranno terremoti, maremoti disastrosi. I vulcani esploderanno, alcune zone saranno sommerse dai mari. Nella migliore delle ipotesi pochi sopravvivranno e si troveranno a lottare contro gli animali sopravvissuti, o mostri creati in seguito alle mutazioni ambientali.”

Se in effetti nel passato sono esistite altre lune, come qualcuno prospetta, lo spettacolo della loro caduta e distruzione non deve essere stato molto diverso da quello descritto da Darwin; per qualcuno è già stato esposto nell’Apocalisse di san Giovanni (IV 12,14).
Secondo Saurat tutto sarebbe già avvenuto.

Miti, leggende, rinvenimenti e rigorose deduzioni scientifiche concorrerebbero a confermare tali avvenimenti.

La strada che conduce alla verità è un sentiero immerso nelle tenebre, ove l’uomo procede a tentoni, tastando centimetro per centimetro nell’intento di identificare le cose che incontra nel suo procedere. Viene alla mente quella teoria che indica la presenza di numerosi occhi situati sulla nostra pelle, che ci permettono di vedere anche quando gli occhi sono chiusi, utilizzando le proprietà della mente. La capacità di ragionare ci permette di vagliare e avvicinarsi alla fiamma della verità.

La storia ci dice che l’uomo non ha mai pensato a divulgare la conoscenza per il timore di perdere potere.

Un solo esempio: Alonso Pinzon trovò dettagliate indicazioni sulla terra del Nuovo Mondo nei testi contenuti nella biblioteca di papa Innocenzo VIII. Documenti che portò con sé e consultò con Cristoforo Colombo detentore del progetto che contemplava una spedizione mirata alla scoperta di quelle terre.
Quindi qualcuno ha sempre saputo e negato la verità.

Platone scrisse che Zeus decise di punire l’umanità perché degenerata, gretta e presa dalla brama del potere. La cosa più triste è che da allora, dopo tutti questi secoli, nulla sembra cambiato. La verità è una strada dissestata dalla distruzione dei documenti antichi, essenziali per tracciare le storia umana, e dall’ipocrita censura imposta dalle religioni.

Se Dio è conoscenza, conoscere significa avvicinarsi a Dio.

Il califfo ordinò ad Amru di bruciare i volumi della biblioteca di Alessandria in quanto era sufficiente il Corano e non c’era bisogno di libri permissivi e nocivi. D’altro canto fanatici cristiani bruciarono antiche biblioteche durante il medioevo. Il vescovo spagnolo Diego de Landa bruciò i documenti Maya perché considerati opere del Maligno.
Se le opere antiche non fossero state distrutte o nascoste, oggi avremmo certamente riferimenti ad Atlantide e la strada verso la verità sarebbe più chiara. Ma la storia e la verità non si celano a lungo, ne si sotterrano.

Le antiche iscrizioni, gli stessi monumenti, le pietre, comprese quelle ancora sotto l’oceano, narrano di un antico popolo e di conoscenze perdute e in parte ritrovate. Raccontano una storia più antica di quella divulgata; riaffiorano conoscenze matematiche ed astronomiche note da millenni, concetti e fenomeni cosmici, riscoperti solo negli ultimi quattrocento anni, che hanno influenzato la scienza moderna e dettato le regole di vita di una società che appare più antica di migliaia e migliaia di anni.

Le “pietre delle serpi” a Dendera, per esempio, insieme a molti altri reperti, illuminano una parte della strada che conduce alla verità; ancora molto lunga e cosparsa di domande che esigono risposte certe ma che, purtroppo, nessuno di noi è in grado di fornire. Almeno per adesso.

Mauro Paoletti
edicolaweb.net