La mitologia dei Dogon e il mistero della stella Sirio

La mitologia dei Dogon e il mistero della stella Sirio

La mitologia dei Dogon e il mistero della stella SirioCome è noto, la mitologia del popolo Dogon, stanziato sulle falesie di Bandiagara nell’attuale Stato del Mali (ex Africa Occidentale Francese) è stata ‘scoperta’ e rivelata al mondo dal celebre etnologo Marcel Griaule, che soggiornò a lungo a fra di essi prima e dopo la seconda guerra mondiale, e giunse al punto di conquistarne la piena fiducia. Fu così che un vecchio cacciatore cieco, Ogotemmeli, decise di rivelargli, in u a serie di colloqui riservatissimi che durarono più di un mese, i ricchissimi tesori della mitologia Dogon, che allo studioso francese apparvero altrettanto affascinanti di quella greca narrata da Esiodo ne Le opere e i giorni o dallo stesso Omero nell’Iliade e nell’Odissea.

Fu per far conoscere al mondo tali tesori, che egli giudicava in tutto degni essere paragonati a quelli della mitologia greca, e per sfatare il luogo comune di un’Africa nera “senza storia e senza civiltà”, che Griaule decise di pubblicare un volume di etnologia dalle caratteristiche atipiche: niente note erudite, niente citazioni dirette, ma un lungo racconto di tipo letterario, nel quale era riassunta l’intera cosmogonia, la metafisica e la religione dei Dogon (che non si erano convertiti all’islamismo, ma era rimasti fedeli al culto dei loro padri), così come il vecchio saggio Ogotemmeli glie lo aveva narrato: Dieu d’eau, nel 1946 (Dio d’acqua: trad. it. di Giorgio Agamben, Milano, Garzanti, 1972).

Era stato il vecchio negro a far chiamare Griaule, allorché aveva compreso che quell’uomo meritava la sua fiducia e che gli si offriva una occasione unica, a lui molto anziano e prossimo al traguardo (sarebbe morto nel 1947), di salvare il patrimonio mitologico dei Dogon affidandolo alla civiltà dei bianchi, che lo avrebbero preservato (un po’ come Alce Nero raccontò le gesta degli Indiani d’America a John Neihardt, dando origine a uno dei libri che più avrebbero contribuito alla conoscenza del mondo materiale e spirituale dei “pellirossa” in Occidente). Ecco come Griaule racconta la genesi della sua opera:

“(…) questi uomini vivono su una cosmogonia, su una metafisica e su una religione che li pone sullo stesso piano dei popoli dell’antichità e che la stessa cristologia avrebbe interesse a studiare.

“Questa dottrina, un uomo venerabile l’ha confidata all’autore. Ogotemmeli, di Ogol Basso, un cacciatore divenuto cieco in seguito a un incidente, doveva alla sua infermità di essersi potuto istruire lungamente e con cura. Dotato di un’intelligenza eccezionale, di un’abilità fisica ancora visibile pur nel suo stato, di una saggezza il cui prestigio si stendeva in tutto il paese, egli aveva compreso l’interesse degli studi etnologici dei bianchi e aveva atteso per quindici anni l’occasione di rivelare ad essi la sua scienza. Voleva, senza dubbio, che quei bianchi fossero al corrente delle istituzioni, dei costumi e dei riti più importanti.

“Nell’ottobre del 1946, egli mandò a chiamare l’autore, e, per trentatré giorni, si svolsero dei colloqui indimenticabili che misero a nudo l’ossatura di un sistema del mondo la cui conoscenza sconvolgerà da cima a fondo le idee correnti sulla mentalità negra come sulla mentalità dei primitivi in generale.

“Si sarebbe tentati di credere che si tratti di una dottrina esoterica. (…) Pur non essendo conosciuta, nel suo insieme, che dai vecchi e da alcuni iniziati, questa dottrina non è esoterica perché ogni uomo che abbia raggiunto la vecchiaia può possederla. Sacerdoti totemici di ogni età ne conoscono le parti corrispondenti alla loro specialità. Di più: i riti che si riferiscono a questo corpo di credenze sono praticati dal popolo intero.

“Certo questo popolo non ha sempre la conoscenza profonda dei suoi gesti e delle sue preghiere; ma, in questo, esso assomiglia a tutti gli altri popoli. Non si può accusare di esoterismo il dogma cristiano della transustanziazione col pretesto che l’uomo della strada ignora questa parola e ha appena delle idee vaghe sulla cosa.

“Una riserva dello stesso genere potrebbe essere avanzata circa il valore esplicativo e rappresentativo che questa dottrina ha rispetto alla mentalità negra in generale. Si potrebbe obiettare che quel che vale per i Dogon non vale per le altre popolazioni del Sudan.

“A questo, l’autore e i suoi collaboratori possono rispondere con sicurezza: il pensiero Bambara si fonda su una metafisica altrettanto ordinata e ricca, i cui princìpi di base sono paragonabili a quelli dei Dogon. (…)

Lo stesso avviene per i Bozo, pescatori del Niger, per i Kurumba, coltivatori del centro dell’Ansa, per gli enigmatici Fabbri delle stesse regioni, presso i quali le ricerche sono appena incominciate.

“Non si tratta, dunque, di un sistema di pensiero isolato, ma del primo esempio di una lunga serie.

“L’autore si augura di poter raggiungere due scopi: da una parte, portare a conoscenza di un pubblico non specializzato, e senza l’abituale apparato scientifico, un’opera che l’uso riserva ai soli eruditi; dall’altro, rendere omaggio al primo negro della Federazione Occidentale che abbia rivelato al mondo dei bianchi una cosmogonia altrettanto ricca di quella di Esiodo, poeta di un mondo morto, e una metafisica che presenta il vantaggio di proiettarsi in mille riti e gesti su una scena dove si muove una folla di uomini vivi.” (op. cit., pp. 10-12).

E così è stato: migliaia di lettori occidentali, attraverso le pagine del libro Dio d’acqua, hanno potuto fare la sorprendente scoperta (sorprendente per oro, s’intende) di quanto grandi siano la profondità e la ricchezza delle credenze tradizionali del popolo Dogon..

“(…) quando, nel 1956, Griaule morì – scrive Robert Temple ne Il mistero di Sirio (edizione riveduta e tr. casale Monferrato, Edizioni Piemme, 2001, p. 57) – quasi 250.000 membri della tribù si riunirono per assistere alle sue esequie, in Mali, tributando il loro omaggio a un uomo ritenuto un grande saggio, pari a uno dei loro sacerdoti. Tale reverenza denota implicitamente la fiducia accordatagli da tutta la tribù.

Non c’è dubbio che dobbiamo a questo uomo straordinario la conoscenza delle tradizioni sacre dei Dogon.”

New corso dei colloqui avuti con Ogotemmeli, e anche delle ricerche precedentemente condotte insieme alla sua collaboratrice Germaine Dieterlen fin dai primi anni ’30 del Novecento, Griaule aveva potuto comunque venire a contatto con un grande mistero astronomico, al quale peraltro non sembra aver dato gran peso, tutto assorbito com’era dal contenuto delle tradizioni di quel popolo e non dalle modalità in cui avevano acquisito determinate conoscenze. In breve si tratta di questo.

I Dogon possedevano conoscenze astronomiche assolutamente stupefacenti, poiché sapevano indicare con esattezza alcuni corpi celesti, e perfino certe loro caratteristiche orbitali e chimico-fisiche che non sono in alcun modo visibili a occhio nudo.

Così riassume la questione Piero Bianucci, giornalista e divulgatore scientifico, nel suo libro Stella per stella, Firenze, Giunti, 1997, p. 34:

“Negli anni Quaranta due antropologi francesi, Marcel Griaule e Germaine Dieterlen, scoprirono presso il popolo africano dei Dogon, nell’attuale repubblica del Mali, una sconcertante mitologia dalla quale risultava nota a quel popolo primitivo l’esistenza dei satelliti di Giove, degli anelli di Saturno e addirittura di Sirio B, la stella nana bianca visibile nei pressi di Alfa Canis solo con i più potenti telescopi.

Non solo: i Dogon affermavano che «questa stella è l’oggetto più pesante che esista» (e in effetti Sirio B è così densa che un centimetro cubo della sua materia peserebbe sulla Terra due quintali). Subito si scatenarono le spiegazioni più avventurose: i Dogon erano forse stati visitati da un’astronave di alieni proveniente da Sirio B?”.

Ma, subito dopo, Bianucci si riprende e cerca di minimizzare il dato sconvolgente, rassicurando le nostre certezze scientiste ed eurocentriche:

“Brecher e Sagan hanno proposto una spiegazione molto più cauta: le informazioni su Gove, Saturno e Sirio B possono essere giunte ai Dogon attraverso missionari gesuiti e quindi essere state integrate in miti precedenti. Queste contaminazioni, del resto, sono frequenti e ben note agli antropologi.”

Tutto chiarito, dunque? Nessun mistero, nessuna conoscenza ‘impossibile’ da parte di questo popolo africano che non conosceva l’uso del telescopio né di altre tecnologie per l’osservazione el cielo? Non proprio: a cominciare dal fatto che Sirio B venne osservata per la prima volta, attraverso le lenti del telescopio, soltanto nel 1861 (ma perché Bianucci omette di ricordarlo?). Un po’ troppo tardi, quindi, perché tale informazioni, ammesso che sia stata portata ai Dogon da missionari cattolici (cosa che peraltro non risulta; e perché avrebbero dovuto farlo, poi?), potesse “venire integrata” nel corpus delle loro dottrine mitologico-cosmogoniche.

Una simile operazione, necessariamente, richiede molto tempo per giungere a compimento: è un po’ incredibile, pertanto, che i pochi anni intercorrenti fra l’arrivo dei primi bianchi e la ricerca di Griasule e Dieterlen l’abbiano resa possibile. Ricordiamo che i Dogon avevano fama di guerrieri selvaggi e primitivi; difesero a lungo la loro indipendenza e, fra tutti i popoli dell’Africa occidentale (con l’eccezione dei Berberi del Riff marocchino) furono gli ultimi ad aprirsi alla colonizzazione europea, e tra i più tenaci nel conservare le loro tradizioni religiose, sia nei confronti del cristianesimo che dell’islamismo.

Certo, si può capire che l’origine delle conoscenze astronomiche dei Dogon (e non solo dei Dogon: i Shilluk dell’Africa meridionale, ad esempio, conoscevano il pianeta Urano, che, secondo la scienza occidentale, venne scoperto dall’astronomo William Herschel solo nel 1781, naturalmente col telescopio) diano un po’ fastidio a una visione riduzionistica ed etnocentrica della storia delle scienze.

Un bruscolo nell’occhio, che prude maledettamente e che bisogna levarsi ad ogni costo, prima che il suo discutibile esempio faccia scuola, e metta in crisi tutto il bel castello delle nostre supposte certezze. Ma c’è ancora di più. Le maschere cerimoniali dei Dogon utilizzate nella festa di Po Tolo, cioè Sirio, che si tiene ogni cinquant’anni, sono state esaminate e giudicate antiche di molti secoli.

Secoli, addirittura: alcune risalirebbero a un’epoca che, nella storia europea, corrisponde al periodo della lotta per le investiture fra papato e Impero. E allora, signori scienziati positivisti, come la mettiamo con le vostre teorie relative alla trasmissione delle conoscenze su Sirio mediante l’opera dei missionari dei primi anni del Novecento?

Fin dalla prima edizione del suo libro, The Sirius Mystery, apparsa nel 1976, l’americano Robert K. Temple avanzava senza troppe perifrasi l’ipotesi che le conoscenze astronomiche dei Dogon fossero di origine extraterrestre, anche se – a suo avviso – dovettero giungervi per via indiretta, e cioè dagli antichi Egizi (che le ricevettero insieme ai Sumeri), attraverso un lungo arco di spazio e di tempo. Così scriveva Temple nell’edizione citata (Il mistero di Sirio, tr. it. di Donatella Cerutti, Milano, SugarCo, 1978, pp. 11-18):

“Le tradizioni più segrete dei Dogon si incentrano tutte attorno alla stella che viene chiamata con il nome del seme più piccolo che essi conoscano:, la cui denominazione botanica è Digitaria; questo è appunto il nome usato nell’articolo per indicare la stella, anche se il nome vero con cui i Dogon indicano la stella è po. Però (…) Griaule e Dieterlen fanno solo un breve accenno alla reale esistenza di una stella che si comporta esattamente come affermavano i Dogon, in una nota a piè di pagina e sbrigativamente: «non si È trovata risposta alla domanda, anzi non È neppure stata cercata, di come possa essere possibile che uomini sprovvisti di strumenti scientifici conoscessero i movimenti ed alcune caratteristiche di stelle che sono a malapena visibili».

Ma, così dicendo, i due antropologi rivelano la loro mancanza di nozioni astronomiche, poiché la stella Sirio B che gira attorno a Sirio non è affatto «a malapena visibile»: è totalmente invisibile a occhio nudo ed è stata scoperta soltanto il secolo scorso [ossia l’Ottocento, nota nostra] grazie all’uso del telescopio. Come Arthur Clarke mi ha scritto in una lettera del 17 luglio 1968, dopo aver deciso di controllare i fatti: «comunque, Sirio B ha una grandezza di circa 8… quasi invisibile anche se Sirio A non la cancella completamente. Soltanto nel 1970 Irving Lindenblad, della U. S. Naval Observatory, è riuscito a scattare una fotografia di Sirio B. (…)

“Griaule e Dieterlen affermavano che, secondo i Dogon, la stella Digitaria compie una rivoluzione attorno a Sirio della durata di cinquanta anni. Non mi ci volle molto per scoprire, fatte le opportune ricerche su a Sirio B, che il suo periodo orbitale attorno a Sirio era esattamente di cinquant’anni. (…)

“Il guaio, quando si cerca di iniziare una ricerca seria sulla possibilità di un contatto extraterrestre con la terra, è che molte persone sensibili vengono sconcertate già da un’idea del genere. Invece, molti di coloro che accetterebbero a braccia aperte e pieni d’entusiasmo ricerche di questo tipo appartengono a quel tipo di gente a cui uno meno vorrebbe essere accomunato.

“(…) uno dei risultati della mia ricerca, che è cominciata in modo inoffensivo con una tribù africana, è stato quello di dimostrare la possibilità che la civiltà quale noi la conosciamo sia stata importata agli inizi da una altra stella. Le culture tra loro collegate degli Egizi e dei Sumeri nel bacino del Mediterraneo sono semplicemente venuti fuori dal nulla. Non intendo dire con questo che prima di allora non ci fossero persone vive. Sappiamo che la Terra era fittamente abitata, ma non abbiamo trovate tracce di civiltà. E popolazione e civiltà sono cose notevolmente diverse.(…)

“Ora, si supponga o meno che ci sia stata un’invasione in Egitto di esseri civilizzati che portarono con sé la loro cultura, rimane tuttavia il fatto che quando noi risaliamo a quel periodo storico, ci troviamo di fronte ad avvenimenti tanto imponderabili che non possiamo affermare più nulla con assoluta certezza. Ciò che sappiamo è che i popoli primitivi in quella regione si trovarono di colpo a vivere in civiltà rigogliose e opulente. E tutto accadde molto bruscamente.

Alla luce dell’evidenza connessa con la questione di Sirio (…), bisogna prendere in seria considerazione l’ipotesi che la civiltà su questo pianeta dipenda in parte da una visita compiuta da avanzati esseri extraterrestri. Non è necessario ipotizzare oggetti volanti o divinità in tuta spaziale. (…) I visitatori extraterrestri provenienti da Sirio, quali io li ho ipotizzati, dovevano essere creature anfibie con la necessità di vivere in un ambiente ricco d’acqua.”

Nella seconda versione del suo best-seller, pubblicata nel 1998 (/e che contiene una interessante appendice sulle conoscenze astronomiche del filosofo neoplatonico Proclo, da cui si evincerebbe che gli antichi sapevano molte più cose, sui corpi e sui moti celesti, di quante non lasci credere la scienza “ufficiale” tolemaico-aristotelica), Temple riprende le sue argomentazioni di ventidue anni prima, arricchendoli di nuovi dati e nuove riflessioni. “La questione che intendo porre con questo libro – afferma (ed. cit., p. 51) – è la seguente: la Terra è già stata visitata da esseri intelligenti provenienti dalla regione della stella Sirio?”. E, al termine del suo libro di quasi 500 pagine, risponde affermativamente.

Tramite fra l’opera di civilizzazione operata dagli esseri anfibi giunti dal sistema di Sirio e il popolo sudanese dei Dogon è stata la civiltà egiziana la quale, come è noto, ha sempre riservato una particolarissima attenzione alla stella Alfa della costellazione del cane (compreso il fatto che, in base a certi calcoli, su di essa sarebbe orientata la Grande Piramide di Giza).

In realtà, i passaggi del ragionamento di Temple sono più articolati e complessi di quanto la semplice enunciazione della tesi conclusiva lasci immaginare. Contro di essi, però, gioca il fatto che la grande maggioranza degli studiosi di formazione accademica (storici, archeologi, etnologi, astronomi ecc.) provano una ripugnanza istintiva anche solo a prendere minimamente in considerazione, sia pure come ipotesi di lavoro, che possano esservi stati dei contatti fra l’umanità antica ed esseri provenienti dallo spazio.

Questo rifiuto pregiudiziale ha fatto sì che si sia creata tutta una letteratura para-scientifica, incline alle semplificazioni arbitrarie e poco rigorosa nei metodi d’indagine, che ha diffuso queste tesi fra un ampio pubblico ma, in compenso, le ha totalmente screditate agli occhi degli studiosi “seri”.

Per cui in questo campo, così come in altri (ad es., quello delle pratiche della medicina naturale) si è creato uno scollamento totale, anzi una vera e propria voragine di incomunicabilità e di disprezzo reciproco fra il sapere della cultura accademica e quello del vasto pubblico dei lettori e degli appassionati non specialisti.

Cerchiamo quindi di riepilogare i termini salienti della questione Dogon-Sirio, cedendo la parola allo studioso tedesco Ulrich Dopatka (che a sua volta, essendo un “discepolo” del famoso Erich von Däniken, non è una voce neutrale né gode molto credito tra gli scienziati, e che tuttavia ha il merito di aver riepilogato in maniera abbastanza chiara e sintetica l’intera questione.

“L’accompagnatore di Sirio,, una nana bianca di grandissima entità, è classificata fra le stelle fisse di nona grandezza. La sua esistenza fu accennata scientificamente nel 1848 e venne osservata la prima volta soltanto nel 1861; si è calcolato che compie un’orbita completa di 50 anni circa. Sebbene la sua massa corrisponda a quella de Sole, ha un diametro di appena 41.000 km., pr cui la sua luminosità è molto scarsa. Le opinioni degli astronomi divergono sulla possibilità di orbite planetarie stabili in un sistema di stelle doppie. Benché ipotetiche, il matematico Su-Shu Huang le ha calcolate.

“Quattro tribù stanziate nel mali possiedono una strabiliante conoscenza di Sirio B, invisibile a occhio nudo. Come dice il linguista e orientalista Robert K. G. Temple, dopo otto anni di studi basati sulle ricerche dell’antropologo Griaule, nel suo The Sirius Mystery uscito a Londra nel 1976, i Dogon, stanziati sui monti Hombori nel Bandiagara, i Bambara e i Bozo del distretto di Segu e i Minianka del Kutiala celebrano ancora oggi un culto incentrato su Sirio B.

Il nome ch’essi danno a questa stella è Po Tolo, derivato da po, ossia da quello di un cereale dai chicchi minuscoli (Digitaria exilis), per cui i mitologisti definiscono le cerimonie ‘culto della Digitaria’, mentre i Dogon ele altre tribù la chiamano festa di Sigui e durante il suo svolgimento ripetono quasi esattamente i complessi movimenti orbitali del sistema di Sirio e, dato che la celebrano ogni 50 anni, la fanno coincidere con la durata dell’evoluzione del suo compagno.

Non basta: i Dogon affermano che Po Tolo è bensì la stella più piccola della costellazione, ma la più pesante, composta di sagala, una materia densissima che sarebbe a indicare il plasma contenuto nelle stelle soggette a una fortissima compressione.

Conoscono inoltre altri compagni di Sirio, come Emme Ya e il Calzolaio. Emme Ya, a loro detta, sarebbe quattro volte meno pesane di Po Tolo. Siccome le maschere e i recipienti rituali fabbricati apposta per ciascuna festa vengono conservati, è stato possibile risalire alle origini del culto e stabilire che ebbe inizio nel XII secolo. Secondo M. Ovenden i dati in questione sarebbero potuti giungere alle tribù da altre culture, forse dall’Egitto.

I Dogon, però, sostengono di averli appresi dagli dèi [e ciò sarebbe in contraddizione con le tesi di R. Temple, nota nostra]. Da escludere in ogni caso un influsso delle conoscenze astronomiche moderne.

M. Griaule, che soggiornò fra loro nel 1931 e nel 1946, poté assodare che non sapevano nulla delle scoperte scientifiche attuali. Il loro patrimonio tradizionale è antichissimo. Ogotemmeli, sacerdote dei Dogon, conosce anche la storia di Nommo, il dio creatore che ritornò in volo fra le stelle Diversamente un contatto fra dèi e uomini non sarebbe stato possibile (un parallelo con altre culture).

La dea dei Dogon, invece, fu obbligata a rimanere sulla Terra. Dèi e uomini, assicura Ogotemmeli, si assomigliavano. Il fatto che queste notizie confermate in tempi recenti dall’astronomia siano note ai Dogon da secoli e secoli è una prova che le ricevettero ai preastronautiche scesero fra loro [ma qui Dopatka corre un po’ troppo in fretta]. Si noti che i Dogon sanno anche dell’esistenza di pianeti appartenenti al sistema di Sirio.(…)

“Nommo è il dio creatore della loro mitologia e con lo stesso nome designano anche le creature anfibie che portarono tra loro i primi rudimenti della civiltà. Li raffigurano con la testa munita di antenne e il corpo di pesce. La leggenda ha una sorprendente somiglianza con quella di Oannes. Anche la dea egizia Iside era raffigurata a volte, forse solo simbolicamente, con una coda di pesce sulla nuca.

I Nommo dei Dogon, dice la leggenda, respiravano dalle clavicole. Sarebbero stati manati sulla Terra dal dio supremo Amma, dove sbarcarono da un’arca che turbinava nell’aria e si era osata, con un fragore di tuono, nella parte nord-est della loro regione. Forse un indizio dell’origine egiziana della mitologia di Sirio?” (Ulrich Dopatka, Dizionario UFO, Milano, Sperling & Kupfer, 1980, pp. 353-362).

L’Autore prosegue citando vari aspetti della mitologia egizia e di quella greca 8ad esempio il mito degli Argonauti) che potrebbero ricollegarsi alla questione, nonché alcune conoscenze astronomiche ‘eterodosse’ della civiltà ellenica. “Secondo un discusso trattato neoplatonico comparso intorno all’inizio dell’era cristiana, «la stella occhio del cosmo», Iside, si dovrebbe collegare con Osiride che domina anche nella più completa oscurità, e questa frase si riferisce forse alla precedente conoscenza di un invisibile compagno di Sirio”, essendo Sirio un simbolo celeste della stessa Iside (id., pp. 359-360).

Ma qui ridiamo la parola a R. Temple, che riassume nel modo seguente le conoscenze astronomiche di Proclo (nato però a Costantinopoli nel 412 e morto ad Atene nel 485 e dunque quattro secoli dopo l’inizio dell’era cristiana):

“Ciò che Proclo sapeva:

  • 1. la teoria tolemaica è completamente sbagliata.
  • 2. La Luna è composta di ‘terra’ e, essendo collocata nella volta celeste, è una ‘Terra celeste’.
  • 3. Sono i pianeti a ruotare, e non le loro ‘sfere’; lo fanno entro le loro ‘sfere’ (o orbite);
  • 4. Tutte le stelle girano sul proprio asse,
  • 5. Tutti i pianeti girano sul proprio asse.
  • 6. Nelle loro rivoluzioni, i pianeti si allontanano dalla Terra e si avvicinano a essa.
  • 7. I cieli contengono tutti i quattro elementi in varie proporzioni ma tendono a privilegiare il fuoco. Il fuoco astrale è diverso a quello terrestre ed è meglio definibile come ‘energia’ (il fuoco terrestre è una forma oscura e svilita del vero fuoco o, per esprimersi come Proclo, ‘la feccia e i sedimenti del fuoco’.
  • 8. Proclo conosceva anche la teoria eliocentrica di Eraclide Pontico, ma non la accettava, in ciò confortato dalla confutazione che ne fece Platone (ma Teofrasto disse invece che Platone cambiò idea in vecchiaia, cosa che Proclo non sapeva).
  • 9. I pianeti hanno satelliti invisibili che ruotano loro attorno.
  • 10. Anche certe stelle fosse hanno satelliti invisibili
  • 11. Per noi, questi invisibili oggetti orbitanti sono altrettanto importanti di quelli visibile e ‘ci permettono di iniziare la contemplazione dei corpi celesti’.
  • 12. Ogni stella o pianeta è ‘un mondo’.
  • 13. Proclo era stato iniziato ai misteri egizi e babilonesi e quindi poté probabilmente venire a conoscenza del mistero di Sirio.” (Temple,Il mistero di Sirio, cit., 2001, pp. 382-383).

Tutto questo dimostrerebbe, secondo Temple, o quanto meno costituirebbe un fortissimo indizio a favore della tesi secondo cui delle conoscenze astronomiche di origine non terrestre giunsero nell’antico Egitto in un’epoca imprecisata, di lì in Grecia (si ricordi come il sacerdote egiziano disse a Solone, nel Timeo platonico, che i Greci erano come bambini quanto alle loro idee sull’antichità del genere umano) e, più tardi, attraverso il Sudan, alle quattro tribù stanziate nell’odierno Mali 8che vi giunsero in epoca relativamente recente), tra le quali quella dei Dogon.

Che dire di tutta questa teoria? Certo la si può criticare a piacere, asserendo che una serie di indizi non costituiscono affatto una prova e, tanto meno, una dimostrazione. D’altra parte, essa costituisce un Sirio e organico tentativo di spiegare dei fatti altrimenti incomprensibili. E non dovrebbe essere questo lo scopo cui deve tendere una scienza che sia rettamente intesa: non, cioè, come assenso preconcetto ai dogmi del sapere accademico costituito, ma come ricerca a trecentosessanta gradi per tentare di chiarire ciò che, allo stato attuale delle conoscenze, onestamente non siamo in grado di spiegare?

Lamendola, Prof. Francesco
esonet.org