La nostra vita da reclusi

vita da reclusi - flatHai mai fatto un sogno tanto realistico da sembrarti vero? E se da un sogno così non dovessi più svegliarti, come potresti distinguere il mondo dei sogni dalla realtà? […] Adesso ti dico perché sei qui. Sei qui perché intuisci qualcosa che non riesci a spiegarti. Senti solo che c’è. È tutta la vita che hai la sensazione che ci sia qualcosa che non quadra, nel mondo. Non sai bene di che si tratta ma l’avverti. È un chiodo fisso nel cervello. Da diventarci matto. È questa sensazione che ti ha portato da me. Tu sai di cosa sto parlando. Di Matrix.

Sì, è proprio così, come dice il saggio Morpheus a Neo nel famosissimo film “Matrix”, molti di noi intuiscono che c’è qualcosa che non quadra nel mondo, qualcosa che non riusciamo a spiegarci ma sappiamo che c’è, lo avvertiamo da sempre e a volte può diventare un chiodo fisso nel cervello… da diventarci matto.

È difficile spiegare questa sensazione a chi non ce l’ha, anzi, forse è impossibile. La maggior parte delle persone che conosco non lo capirebbero nemmeno se glie lo spiegassi un milione di volte. Generalmente queste sono persone che vogliono (pretendono) spiegazioni assolutamente logiche e razionali, ma anche in quei casi in cui quelle spiegazioni logiche e razionali gli vengono fornite, ugualmente non basta. Non basta perché quelle spiegazioni “diverse” li allontanano dalla loro zona
di comfort e mette in pericolo le loro certezze. Come diceva Mark Twain, “È molto più facile ingannare la gente che convincerla che è stata ingannata.”

Vorrei averne di spiegazioni logiche da fornire, mi piacerebbe avere una memoria portentosa, tanto da poter snocciolare in ogni occasione e in ogni discussione, la citazione giusta, il dato preciso o l’aneddoto più appropriato. Ma non ne sono capace, e così in più di un’occasione mi sono trovato in difficoltà, intuendo magari poi la risposta giusta o l’elemento probante solo il giorno dopo, quando ormai è tardi.

Mi viene in mente a tal proposito una scena dal film “Io e Annie” di Woody Allen, quando nella sala d’attesa di un cinema, in una discussione con un signore in coda dietro di lui, il modo più efficace che trova il protagonista di risolvere la questione, è fare uscire da dietro un tabellone, il soggetto in persona interessato dalla loro diatriba.

Tutta questa lunga introduzione per dire che purtroppo non ho una mente troppo scientifica o un particolare talento matematico che possa venirmi in aiuto nei momenti che contano, ho letto centinaia di libri delle materie e degli argomenti più svariati, ho visto documentari (spesso anche in inglese), ho partecipato a seminari e conferenze, ma è raro che in una discussione diretta sia riuscito a fare uscire da un angolo nascosto il Peter Duesberg della situazione, una Judy Wood, o persino un David Icke, tutte persone a cui certamente non mancano gli argomenti. Ma sono solo un povero romanziere ed è attraverso il racconto che mi piace spiegare il mondo e la società come li vedo io. Certamente sono in buona compagnia, con le doverose proporzioni, in questo stesso Club ci sono personaggi come George Orwell, che ha scritto quel capolavoro di “1984”, o come Aldous Huxley,l’autore de “Il mondo nuovo”, oppure Ray Bradbury e il suo “Fahrenheit 451”.

Però c’è un fatto importante che secondo me non va trascurato. Se come scriveva Agatha Christie “Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova.”, allora il fatto che siamo in tanti – certamente più di tre – a farci domande o persino a mettere in dubbio il mondo così come ci è stato raccontato, qualcosa che non quadra nella versione ufficiale deve esserci e questo al di là di qualsiasi spiegazione tecnica o scientifica.

Quindi io non ho spiegazioni scientifiche per dimostrare ciò che di seguito andrò a esporre, per quelle ci sono persone molto più preparate e qualificate di me e una veloce ricerca in rete ve le farà trovare, se è quello che cercate. No, io piuttosto ho delle intuizioni che desidero condividere, non già per imporle, ma per confrontarle e se verrà fuori che altre persone avranno avuto intuizioni (almeno) simili alle mie, e allora probabilmente possiamo affermare che esiste una realtà nascosta ai più, una realtà che per qualche ragione alcuni di noi intuiscono, anche se non sempre la sanno spiegare. A meno che, è ovvio, non siamo (noi che facciamo parte di questo ristretto gruppo di visionari) tutti preda di una qualche psicosi, come per esempio la psicosi del complottista… come ebbe a chiamarla il buon Piero Angela.

Tuttavia, a rischio di apparire presuntuoso, lo reputo poco probabile e questo per diverse ragioni, in primo luogo perché in più di un’occasione – per non dire sempre – ciò che noi strani complottisti andavamo denunciando già 10, 15, 20 anni fa, si è poi puntualmente realizzato. Volete un esempio? Quanti di voi non sono mai stati presi in giro solo fino a pochi anni fa quando si affrontava l’argomento dei micro chip? Oggi ne parlano tranquillamente in tv e il fatto che in Svezia sempre più persone se lo fanno innestare sotto pelle per non usare il denaro contante, è accettato come un dato normale.

Flat
FLAT è un libro di Dario Morandi

Oggi, in tv, si parla anche di “geo ingegneria clandestina” (meglio conosciuta come “scie chimiche”), o di obbligo vaccinale e sono sempre di più le persone che mettono in dubbio le narrazioni ufficiali per andare in cerca di spiegazioni alternative più logiche e convincenti. Da un sondaggio pare che ormai due americani su tre non credono alla versione ufficiale degli attentati dell’11 settembre 2001.

Purtroppo però, come delle moderne Cassandra, chi di noi prova a cantare fuori dal coro, non solo non viene quasi mai creduto ma anzi spesso deriso ed attaccato. D’altra parte, come diceva il famoso filosofo tedesco Arthur Schopenhauer, “Una verità attraversa sempre tre stadi, in principio viene derisa, poi viene contrastata violentemente e infine accettata come ovvia.” e certamente questo è il caso con uno degli ultimi tabù che stanno destabilizzando le già labili certezze dell’uomo moderno: la Terra piatta e il nostro posto nell’universo.

Nella feroce lotta tra terrapiattisti e terraglobalisti, io proverò a dare una mia idea alternativa, forse un’idea più da romanziere che non da studioso, ma tant’è. Come ci sta insegnando il cinema da anni ormai, spesso tante verità si trovano nascoste e ci vengono svelate in modo molto più efficace attraverso opere di fantasia che non da veri e propri trattati scientifici. In fondo se “La fantascienza di oggi è la scienza di domani” (Stephen Hawking), basta saper osservare con mente aperta per riuscire in parte a leggere il mondo di domani, ma anche quello di oggi.

In apertura citavo il film Matrix, che certo insieme alla serie Terminator, non ci restituisce un futuro molto roseo per la specie umana, ma il futuro non è mai scritto sulla pietra e a ogni singolo secondo ci troviamo di fronte a un bivio e quale direzione prendere di volta in volta dipende sempre da noi.
Ciò detto però forse il mondo, inteso come ambiente da noi esseri umani abitato, non è come ci è stato raccontato a scuola.

Ora, nel paese di Coppi e Bartali, si vorrebbe che io mi schierassi da una parte o dall’altra, Terra piatta o Terra a palla? Destra o sinistra? Mare o montagna? Panettone o pandoro? Ecc. ecc. Spesso però accade che una verità non sia così netta e i confini di ciò che è o ciò che potrebbe essere, sono il più delle volte confusi e nebulosi. Che forma abbia il mondo di certo non lo sappiamo (e per quanto mi riguarda, le immagini in CGI della NASA non sono una prova schiacciante), ma è certo che la verità si riflette su molteplici specchi e cercare di avvicinarci ad essa è quasi sempre l’unica
cosa che possiamo cercare di fare, essendo impossibile di fatto agognare a una verità definitiva e assoluta.

Per esporre la mia idea citerò altri due film molto interessanti, il primo dei quali è “Maze runnerIl labirinto”, un film del 2014.

– Da Wikipedia: Trama
Thomas si sveglia in un ascensore metallico, che lo porta in un cortile erboso all’interno di un vasto perimetro, la Radura, circondata e delimitata da alte pareti grigie, dove viene salutato e accolto da altri ragazzi. Il giovane non riesce a ricordare nulla, ma Alby, il leader della radura, gli dice che la stessa cosa è successa a tutti i presenti, e che l’unica cosa che potrà ricordare sarà il proprio nome.

Già da queste poche righe possiamo intuire quali possono essere le analogie con la nostra condizione di esseri umani “venuti al mondo”, anche noi – guarda caso – attraverso un condotto buio (nel film rappresentato dall’ascensore che sale verso l’esterno, verso la luce), anche noi completamente privi di memoria (il nome assegnatoci dai nostri genitori sarà forse la prima cosa che impareremo e con la quale ci identificheremo), e siccome non c’è due senza tre, anche noi reclusi in un vasto perimetro, delimitato da alte mura – nel nostro caso di ghiaccio – che invece di chiamare “la Radura”, chiamiamo “Mondo” (o Terra). Io non credo più alle coincidenze da anni e se proprio il messaggio di questo film non è “consapevole”, io credo che l’inconscio dell’autore abbia giocato un ruolo determinante per intuire una possibile verità.

Il secondo film dal titolo “The Village”, propone uno scenario diverso nella forma ma simile nel messaggio di fondo.

– Da Wikipedia: Trama (allerta spoiler)
Convigton, Pennsylvania: un villaggio americano del XIX secolo è circondato da una foresta che sembra essere infestata da mostruose creature.

All’interno del villaggio, completamente isolato dal resto del mondo, la vita si svolge serena all’insegna di un patto che gli anziani della comunità stipularono con le misteriose creature dei boschi circostanti chiamate “le creature innominabili” […] Giunta al limitare del bosco Ivy fa l’incontro con un ranger di fine XX secolo, che le procura i medicinali di cui necessita per salvare Lucius: si scopre dunque che ella abita in una riserva protetta, nata per sogno di un gruppo di uomini, gli anziani… Ecc. ecc.

Anche in questo caso mi sembra di scorgere degli elementi interessanti che potrebbero svelare più di quanto sembra riguardo la nostra condizione di esseri “costretti” (nel senso di costrizione) e contenuti in una realtà precisa, molto limitata e certamente molto più piccola di un ipotetico universo, infinito e del tutto teorico. I protagonisti di questo film vivono rinchiusi in un villaggio dal quale è proibito uscire perché al di là dei confini c’è nascosto un segreto che non può e non deve essere svelato e uno dei modi che gli “anziani” (che mi ricordano molto i Savi di Sion) trovano per stroncare qualsiasi desiderio di conoscenza è la paura. Nel caso del film è la paura di “creature innominabili” (che poi si riveleranno inesistenti… noi oggi diremmo fake), nel nostro caso è la paura del terrorismo, della crisi economica, della tal pandemia. Tra l’altro, altra coincidenza curiosa, la protagonista del film, la coraggiosa ragazza che si avventura oltre il confine è cieca, a voler quindi forse simbolicamente rappresentare la nostra condizione di esseri umani ignoranti e inconsapevoli.

Ciò che Ivy trova al di là del perimetro nel quale è cresciuta, è un mondo avanti di un secolo rispetto a quello che lei ha sempre conosciuto, con tecnologie del XX secolo totalmente sconosciute al suo mondo rimasto fermo al secolo XIX.

Mi chiedo quindi cosa potremmo trovare noi fuori dal nostro confine. Sappiamo bene che molte delle innovazioni tecnologiche e scientifiche più incredibili ci sono precluse e tenute nascoste da famiglie e potentati economici enormi che certamente non hanno alcun interesse a rendere tali
possibilità fruibili all’umanità intera. Questo non è complottismo e gli esempi sono moltissimi, a partire dall’energia libera, pulita e senza fili di Nikola Tesla in poi.

Insomma, la Terra è piatta o sferica? Io non lo so perché non so cosa c’è oltre il perimetro, sarebbe come chiedere a una tartaruga che ha trascorso la sua intera vita all’interno di un terrario, che forma ha la stanza. Però mi sto convincendo sempre più che siamo confinati a vivere dentro una sorta di “riserva indiana”, una sezione di mondo che è in realtà una piccolissima frazione di un mondo molto più grande e molto più “avanti” rispetto al nostro, come le creature che vivono nell’armadietto dell’aeroporto nel film “Man in black” o come l’inconsapevole Truman Burbank nella fittizia cittadina di Seahaven del film “Truman Show”.

Per il resto, di sicuro so solo quello che vedo, o meglio quello che non vedo… e io non ho mai visto l’acqua curvare. Quindi non ho – come tanti – l’assoluta certezza che la Terra sia piatta, per quanto ne so, fuori da qui può avere qualsiasi forma. Ecco perché al momento, l’unica cosa che mi interessa appurare è che esiste prima di tutto un “fuori da qui”. Dopo di che, una volta partiti da questo dato di fatto, si può cercare, ipotizzare, speculare in qualsiasi direzione, ma almeno saremo spinti in primo luogo a
cercare qualcosa che vada oltre la nostra condizione di esseri umani (apparentemente) deboli, impauriti e impotenti davanti alle difficoltà del mondo e della vita. È una spinta questa che va letta su più piani e su più livelli, non a caso una delle domande più frequenti posta da chi per la prima volta si avvicina al tema delle Terra piatta è, “Perché mai avrebbero dovuto mentirci su questo?”.

Bene, le risposte sono diverse. Tralasciando per ora il mero interesse economico derivato dalla montagna di soldi che le varie Agenzie Spaziali e la NASA in particolare si intascano ogni anno, con l’eliocentrismo hanno eliminato la centralità dell’uomo nella creazione e con il Big Bang hanno direttamente eliminato la Creazione. Noi non siamo più il risultato di un creatore (ho usato il minuscolo consapevolmente) dal quale deriva necessariamente uno scopo o un progetto, ma siamo il frutto del caso, un insieme di fortunate coincidenze scaturite dal “brodo primordiale” di questo piccolo pianeta, uno dei tanti, sperduto e marginale rispetto alla sua galassia e a un Universo infinito, buio, freddo e spaventoso. Con questi presupposti è facile costruire una società d’individui privati della loro spinta naturale ad allargare i propri confini (fisici e metaforici), a cercare una dimensione più ampia del sé e, nel caso della nostra realtà materiale e tangibile, ad accontentarci di quello che abbiamo, perché quello che abbiamo è tutto quello che possiamo pretendere, non esiste di più. E invece io credo che quel di più, non solo esista ma che sia tanto di più, dobbiamo solo trovare il coraggio di saltare oltre il muro, in tutti i sensi.

Ciò detto, non è nemmeno escluso che tutto questo nostro Universo, non sia che un semplice e apparentemente immenso videogioco, del quale il nostro mondo non è che uno dei tanti “quadri”, e con questo torneremmo al film Matrix che ho citato in apertura, chiudendo il cerchio. Anche in questo caso la filmografia è ricchissima di esempi, “Total recall” (quello originale con Arnold Schwarzenegger), “Il tredicesimo piano” e il Ponte Ologrammi di “Star Trek – Next Generation” sono i primi che mi vengono in mente. È chiaro che di fronte a quest’altra possibilità si aprono scenari ancora più sconfinati e ancora più difficilmente esplorabili, se non con la fantasia.

Tuttavia è un dato di fatto che noi leggiamo il mondo attraverso i nostri sensi e questi ultimi inviano le loro informazioni al cervello che rimane per tutta la sua vita chiuso al buio e all’interno della scatola cranica, quindi, di fatto tutto ciò che noi percepiamo come un “fuori”, in realtà accade in un “dentro”, cioè dentro la nostra testa. Per quanto ne sappiamo, potremmo persino essere solo dei cervelli senza corpo, chiusi in scatole con del liquido nutritivo e percepire un mondo fittizio attraverso cavi e sensori elettrici installatici da qualcuno.

Non per niente, lo stesso Morpheus, sempre in Matrix chiede a Neo: “Che vuol dire reale? Dammi una definizione di reale. Se ti riferisci a quello che percepiamo, a quello che possiamo odorare, toccare e vedere, quel reale sono semplici segnali elettrici interpretati dal cervello.”
Ma come dicevo, questa è una delle mille possibili speculazioni indimostrabili e quindi come tali destinata a non portare da nessuna parte. Ciò non toglie che, filosoficamente parlando, rimangono dei sentieri molto affascinanti da esplorare e io mi auguro che queste altre possibilità possano essere argomento per un secondo articolo.

Per il momento mi fermo qui, sono consapevole di non aver fornito prove definitive a una teoria piuttosto che un’altra, e questo perché l’unica certezza che mi sento di poter dare per assodata, è che il nostro mondo (ma anche il nostro Universo) non sono come ce lo hanno raccontato e cominciare a rendersi conto di questo fatto è il primo imprescindibile requisito per darsi quella spinta utile a “innalzarsi oltre i confini”, oggi magari solo quelli mentali e domani, chissà, anche quelli fisici.

Dario Morandi


Flat è il libro di Dario MorandiDario Morandi è nato a Milano il primo dicembre del 1969. Nel contempo introverso e ribelle, mal si adatta al regime scolastico tradizionale preferendo un percorso educativo e didattico indipendente. Grazie a un amore innato per la lettura e a una insaziabile curiosità, nel suo percorso di crescita che si potrebbe definire “gnostico”, legge centinaia di libri dai generi e dagli argomenti più disparati: dal romanzo di intrattenimento fino ai saggi di divulgazione filosofica e scientifica. Nel 1993 si trasferisce a Los Angeles, negli Stati Uniti, e frequenta i corsi di musica presso il prestigioso M.I.T. diplomandosi con “Honores” in batteria e percussioni. FLAT è il suo ultimo libro.