Le nuove implicazioni dell’Entanglement

Le nuove implicazioni dell’Entanglement
telepatia interna
Crediti: shutterstock

Alcuni esperimenti di laboratorio confermano un fenomeno che la Meccanica Quantistica ha sostenuto su un piano teorico ed ora assume connotati sostanziali grazie a sperimentazioni scientifiche che lo evidenziano.

L’Entanglement spiega anche la telepatia?

Da tempo l’Entanglement è un termine usato da molti ricercatori come metafora di modi diversi da quelli della Fisica Classica di entrare in contatto tra entità, che siano particelle o esseri umani. In particolare, nel campo della comunicazione si spiega la ricezione di messaggi tra menti umane senza l’uso dei cinque sensi, con una sorta di connessione spiegabile appunto con l’Entanglement.

Ciò che cambia oggi, sulla scorta di nuove prove di laboratorio, è che la teoria viene suffragata da fatti concreti, che la sperimentazione mette in luce senza ombra di dubbio, confermando le ipotesi teoriche che già avevano reso perplesso Albert Einstein, che insieme ai suoi collaboratori aveva comunque riconosciuto tale processo connettivo fra particelle che avevano avuto tra loro un contatto. A distanza, anche abissale, le particelle collasserebbero nello stesso modo allo stesso momento, proprio come se una – vivendo uno stato – lo trasmettesse all’altra, oppure come se istantaneamente i fenomeni di posizione o di stato avvenissero all’unisono. Anche se non ci sono spiegazioni, secondo la Fisica subatomica è certo che accada.

Fotoni: una relazione a quattro

entang2Recentemente le cose sono cambiate. Riprendiamo dalla rivista Le Scienze (n. Febbraio 2016) alcune dichiarazioni su un esperimento innovativo svolto.

“L’Entanglement, la correlazione a distanza che secondo le leggi della meccanica quantistica può legare stati di particelle lontane tra loro, può essere stabilito anche tra i momenti angolari di ben quattro fotoni. Lo hanno dimostrato per la prima volta ricercatori dell’Università di Leiden, nei Paesi Bassi, guidati da Wolfgang Löffler, che firmano un articolo sulle Physical Review Letters. Questo risultato è un importante passo in avanti nell’ambito della ricerche mirate alla realizzazione di computer quantistici, che dovrebbero surclassare quelli convenzionali per potenza di calcolo. Il momento angolare orbitale dei fotoni, scoperto in un esperimento effettuato proprio all’Università di Leiden nel 1992, è una grandezza fisica su cui si sono concentrate di recente le attenzioni dei fisici teorici e di quelli sperimentali. Si tratta dell’analogo quantistico del momento angolare, una grandezza fondamentale che, nella meccanica classica, è associata al moto di rotazione di un corpo intorno a un asse. L’analogia è dovuta al fatto che quando un’onda elettromagnetica si propaga nello spazio, in certe condizioni, i fronti d’onda possono avvolgersi a spirale attorno alla direzione di propagazione. In questo caso i fotoni, i quanti di luce, associati all’onda, hanno quindi un momento angolare orbitale.

Schema dell’apparato sperimentale usato nello studio: attraversando un cristallo contemporaneamente, quattro fotoni emergono legati dall’Entanglement (W. Löffler/Leiden University) Parte dell’interesse destato da questa grandezza è dovuto al fatto che i momenti angolari orbitali di due particelle possono essere legati tra loro dall’Entanglement, una correlazione a distanza che tanto aveva perplesso Albert Einstein. Quando due particelle, opportunamente preparate, sono entangled, una misurazione effettuata su una fa “collassare” lo stato della particella misurata su un dato valore e contemporaneamente anche lo stato della secondo particella, indipendentemente dalla distanza a cui si trova, su un altro valore. Alcuni recenti esperimenti hanno prodotto l’Entanglement tra i momenti angolari orbitali di due fotoni, mentre il gruppo di Löffler, per la prima volta, è riuscito a ottenerlo per ben quattro fotoni, facendo in modo che passassero nello stesso istante in un cristallo”.

La mente fotonica

entang3Dunque, anche per gli inesperti di Meccanica Quantistica o per noi psicologi, il fatto è di importanza capitale, perché dimostra una volta di più che il fenomeno, utilizzato spesso strumentalmente per spiegare eventi in qualche modo analoghi, è vero e dimostrato. Addirittura il fatto che quattro fotoni reagiscano allo stesso modo è una dimostrazione che apre molti interrogativi, appunto anche in altre discipline. La letteratura parapsicologica, ad esempio, è ricchissima di prove in cui soggetti che hanno avuto contatti tra loro (parenti, gemelli, coppie affiatate, ecc.) vivono esperienze analoghe o si trasmettono informazioni ed emozioni senza che avvenga alcuna comunicazione tramite i cinque sensi o altri mezzi noti.

Classica è la situazione in cui un congiunto avverte improvvisamente una sensazione di disagio profondo, scoprendo successivamente, che in quell’esatto momento un suo parente aveva avuto una disgrazia, anche in condizioni in cui nulla faceva presagire ciò che poi è accaduto. Ricerche fatte sui gemelli monozigoti sarebbero particolarmente favorevoli, ma anche tra congiunti o tra persone in forte relazione emotiva tra di loro. Sulla stessa lunghezza d’onda, le migliaia di casi di persone che vengono improvvisamente in mente dopo tanto tempo che si sono viste o sentite… e dopo pochi secondi squilla il telefono con loro in linea. In molti casi si può ovviamente parlare di coincidenze, anche se Jung avvertiva che le coincidenze sono spesso legate fra loro non da un rapporto di causa-effetto, bensì di significato, come se ci fosse un filo sottile che lega eventi che hanno un senso per i partner della comunicazione.

I laboratori scientifici vanno oltre: è sempre più frequente la sperimentazione tra soggetti che sono in relazione fra di loro, dove non si misurano più gli “indovinamenti” di messaggi telepatici, bensì si analizzano le onde elettroencefalografiche per individuare se nel momento casuale in cui un soggetto riceve un messaggio, anche l’altro, che non sta compiendo niente di particolare, esibisce la stessa funzione d’onda. Non essendoci una vera e propria trasmissione di pensiero a livello conscio, ciò che avviene è una sorta di “telepatia inconsapevole”, ancora più significativa perché dimostra la connessione tra le due sorgenti impegnate (trasmittente che vive uno stato e ricevente che non sa come e quando avverrà quell’attimo, ma che in quell’attimo “riceve” la stessa sensazione od emozione su un piano neurologico rilevabile). Alla domanda su come è possibile, almeno per ora l’Entanglement è l’unica risposta possibile.

Un esperimento significativo

In questo tipo di esperimenti, condotti negli USA e anche in Italia, cambia totalmente la prospettiva rispetto ai classici esperimenti di telepatia, fenomeno che passa in secondo piano, a favore di ricerche centrate più sulla Neuropsicologia e Neurofisiologia, dietro a cui c’è comunque l’uomo e le sue potenzialità mentali, anche inconsce o “automatiche”. Sembra di poter dire che le correnti di pensiero moderne nella ricerca su cervello e mente stanno aprendo nuovi orizzonti che potranno avere implicazioni di notevole portata nella conoscenza della nostra esistenza e della relazione che esiste tra il Sé e gli altri.

Ripensando ad un esperimento storico della Parapsicologia, quello di Alister Hardy e Robert Harvie, si possono fare nuove considerazioni proprio in funzione delle prove sull’Entanglement. I due ricercatori inglesi avevano realizzato un esperimento collettivo in cui misuravano il numero di “indovinamenti” di bersagli trasmessi telepaticamente da parte di un gruppo numeroso di persone partecipanti alla prova.

Ottennero alcuni risultati significativi (corrispondenza tra bersaglio e risposta), ma dovettero rilevare che molte risposte erano simili tra loro, come se fosse avvenuta una sorta di “ telepatia interna ”, cioè un buon numero di soggetti davano risposte che non c’entravano col bersaglio, ma che riproducevano lo stesso disegno. Sostennero che il fatto non poteva essere casuale perché ripetuto in più esperimenti con frequenza significativa.

Verificare le ipotesi di lavoro

entang4Al tempo della mia Tesi di Laurea in Parapsicologia volli ripetere gli esperimenti di Hardy e Harvie e consapevole di quanto a loro accaduto decisi di inserire una variante. Mi rivolsi a un gruppo di studenti delle magistrali e li divisi in vari gruppi; a uno di loro chiesi di indicare quali bersagli avremmo dovuto utilizzare in un esperimento di Percezione ExtraSensoriale, mantenendolo isolato dagli altri gruppi che, contemporaneamente erano chiamati a “indovinare” bersagli prestabiliti con le tre modalità: Telepatia, Precognizione, Chiaroveggenza.

L’ipotesi di lavoro era che avrei misurato sia la corrispondenza verso i bersagli “veri” (quelli utilizzati nelle prove) sia verso quelli “falsi” (quelli suggeriti dal gruppo che dovevano suggerire quali usare). L’intenzione era di eliminare il fattore “caso”, vale a dire che le risposte casuali erano riconoscibili in quanto frutto di un repertorio che i ragazzi comunque avrebbero esibito essendo nella loro cultura e nel loro linguaggio abituale. I risultati diedero qualche indicazione positiva rispetto ai bersagli veri, ma non statisticamente significativi, mentre la correlazione con i bersagli falsi fu elevata, come da ipotesi. Dunque anche i relativamente pochi indovinamenti potevano valere di più, perché avevano superato lo scoglio della cultura comune (per il fatto di dover dare una risposta se non interviene l’ESP si usa il linguaggio corrente tra i ragazzi), mentre era certo che tante risposte erano appunto simili tra loro per un fatto culturale. Dunque poca ESP, ma probabilmente genuina e molta risposta casuale, come si potrebbe logicamente prevedere.

Tuttavia, ciò che allora interpretai non come una “telepatia interna” (a differenza di Hardy e Harvie), bensì come incidenza del fattore culturale comune, potrebbe oggi essere modificata dalle dimostrazioni sull’Entanglement. Infatti, le persone che hanno partecipato agli esperimenti inglesi e ancor di più i ragazzi delle magistrali italiane, potrebbero, nella situazione sperimentale di concentrazione su un bersaglio ignoto, aver avuto un’esperienza entangled, vivendo nello stesso momento la sensazione o l’emozione sullo stesso stimolo, proveniente non dal bersaglio, ma dal collega di esperimento.

Nel momento dell’attesa di una percezione nella mente di uno stimolo trasmesso o ignoto, per un attimo, un’idea presentatasi a un partecipante potrebbe essere stata condivisa da un altro (anzi da diversi altri, come accaduto negli esperimenti citati e come nel caso dei quattro fotoni entangled dell’esperimento di Leiden). Su questa linea si potrebbe ripensare l’esperimento di Hardy e Harvie – e della mia replica – isolando opportunamente tutti i partecipanti (forse lavorando anche via web) e raccogliendo le loro percezioni a fronte di uno stimolo unico, che in realtà viene dichiarato ma non utilizzato, per cui si può fare un calcolo statistico sulla eventuale “telepatia interna” e se significativa, verificare ancor meglio l’ipotesi di un evento entangled multiplo.

Il fatto di credere che esista un bersaglio mette in movimento la disposizione mentale a ricevere messaggi. Il fatto che non ci sia alcun bersaglio elimina la direzione (in andata o in ritorno) verso quello specifico stimolo, permettendo di misurare solo la connessione tra le menti coinvolte nell’esperimento. È vero che rimarrebbe sempre la possibilità del caso, ancora una volta superabile attraverso un gruppo di controllo che in un momento precedente indica quali stimoli si potrebbero usare; e poi si calcola se si manifesta una correlazione diversa fra ciò che i partecipanti percepiscono “insieme” rispetto ai “falsi” bersagli, rappresentativi del caso.
Insomma, dalla Meccanica Quantistica arrivano input interessanti anche per le ricerche psichiche, non soltanto dal punto di vista della speculazione teorica, bensì anche sul piano sperimentale. Per cui l’idea che esista una sorta di connessione tra menti diverse, indipendentemente dalla distanza spaziale, potrebbe essere sperimentata, per disporre di una verifica pratica che possa confermarla (o confutarla).

Giorgio Cozzi

karmanews.it