Le supernove che ci hanno alzato in piedi

Le supernove che ci hanno alzato in piedi
Rappresentazione grafica dell’esplosione di una supernova. Credit: EsA / Hubble / L. Calcada / Nasa Goddard Space Flight Center.

Quanto gli eventi cosmici possano influire sulla vita terrestre è dimostrato da un nuovo studio di astrobiofisica, secondo il quale l’esplosione di supernove relativamente vicine alla Terra – qualche milione di anni fa – potrebbe avere fatto letteralmente terra bruciata attorno agli ominidi, trasformando la foresta in savana e spingendo l’evoluzione verso la postura eretta.

Non tutti i mali vengono per nuocere. Si potrebbe riassumere così l’ultima idea di Adrian Melott, professore emerito all’Università del Kansas, e del suo collega Brian Thomas dell’Università di Washburn, secondo i quali l’esplosione di alcune supernove relativamente vicine alla Terra – l’ultima delle quali avvenuta più o meno all’inizio del Paleolitico, circa 2.6 milioni di anni fa – avrebbe indirettamente favorito l’evoluzione della specie umana, in particolare facendo definitivamente acquisire la posizione eretta a ominidi che presumibilmente avevano già la tendenza a camminare sulle due gambe.

L’idea degli autori del nuovo studio, appena pubblicato sul Journal of Geology, parte dalle ormai numerose evidenze raccolte sul fatto che esplosioni di supernove abbiano inondato il nostro pianeta con una pioggia di raggi cosmici a partire da 8 milioni e con un picco attorno ai 2.6 milioni di anni fa. Questo indusse verosimilmente una ionizzazione degli strati più bassi dell’atmosfera, la quale provocò un enorme aumento nella produzione di fulmini dalle nuvole a terra, causando numerosi incendi nelle foreste a livello globale.

La savana prese il posto delle foreste bruciate, e l’adattamento a questo nuovo ambiente potrebbe essere stata una delle condizioni che portarono i progenitori dell’Homo sapiens – in particolare nell’Africa nord-orientale, dove sono stati ritrovati molti fossili di ominidi – a sviluppare il bipedismo, più utile della capacità di arrampicarsi sugli alberi in tale mutato contesto.

Basandosi sulle quantità di ferro-60 – un isotopo del ferro raro sulla Terra ma prodotto dalle supernove – contenute nei sedimenti sui fondali marini, gli astronomi sono piuttosto sicuri del fatto che siano avvenute esplosioni di supernove a una distanza compresa tra 160 e 320 anni luce in un epoca corrispondente alla transizione tra il Pliocene e l’Era glaciale.

«Abbiamo calcolato la ionizzazione dell’atmosfera a partire dalla quantità di raggi cosmici che proverrebbero da una supernova tanto lontana quanto i depositi di ferro-60 indicano», spiega Melott. «Sembra che questa fosse l’esplosione più vicina di una serie molto più lunga e riteniamo che abbia aumentato la ionizzazione della bassa atmosfera terrestre di 50 volte».

Solitamente i raggi cosmici non provocano la ionizzazione della bassa atmosfera, in quanto non riescono a penetrare così a fondo. Tuttavia quelli provenienti dalle supernove, più energetici, arrivano fin sulla superficie, lasciando dietro di sé una scia di elettroni strappati ad atomi o molecole presenti nell’aria, una sorta di “pista elettrica” attraverso cui i fulmini possono scaricarsi molto più facilmente.

Secondo gli autori del nuovo studio, la probabilità che questa frequenza insolitamente alta di fulmini abbia scatenato una recrudescenza in incendi a livello mondiale è supportata dalla scoperta di depositi di carbone coevi del bombardamento di raggi cosmici.

«L’osservazione è che si trova molto più carbone e fuliggine nei depositi mondiali a partire da alcuni milioni di anni fa», conclude Melott. «È un fenomeno ubiquo, e nessuno ha ancora una spiegazione del perché sarebbe successo in tutto il mondo, in differenti zone climatiche. Questa potrebbe essere una spiegazione».

Nessun timore che un simile stravolgimento climatico si ripeta nella nostra epoca: la stella più vicina in grado di esplodere in una supernova nel prossimo milione di anni è Betelgeuse, lontana più di 600 anni luce dalla Terra.

Vale infine la pena ricordare che la pioggia di raggi cosmici dalle supernove ha forse avuto anche altri effetti secondari. Lo stesso Melott, assieme ad altri colleghi, ha pubblicato lo scorso novembre su Astrobiology uno studio in cui ipotizzava che la pioggia di muoni prodotti dalle supernove avrebbe provocato un aumento dei tumori, specie negli animali marini di taglia più grande, contribuendo all’estinzione della cosiddetta Megafauna del Pleistocene.

Guarda il seminario di Adrian Melott (in inglese) “Cosmic explosions and terrestrial fires” del dicembre 2017:

Stefano Parisini

media.inaf.it