Nel cuore di tenebre della Via Lattea

buco nero
In alto a sinistra: simulazione di Sgr A* a 86 GHz. In alto a destra: simulazione con l’aggiunta dell’effetto di scattering. In basso a destra: immagine osservata. In basso a sinistra: l’immagine osservata, dopo aver rimosso gli effetti della diffusione lungo la linea di vista. Crediti: S. Issaoun, M. Mościbrodzka, Radboud University/ M. D. Johnson, CfA

Includendo Alma in una rete mondiale di radiotelescopi, gli astronomi hanno scoperto che l’emissione radio del buco nero supermassiccio che si trova al centro della nostra galassia proviene da una regione di appena un trentamilionesimo di grado: molto più piccola del previsto. Questo potrebbe anche indicare che il getto radio della sorgente è puntato quasi direttamente verso la Terra. Tutti i dettagli della ricerca su Astrophysical Journal.

Finora, una nebbia di gas caldo ha sempre impedito agli astronomi di catturare immagini nitide di Sgr A*, il buco nero supermassiccio al centro della nostra galassia, e di comprendere la sua vera natura. Oggi, per la prima volta, gli astronomi sono riusciti a sbirciare attraverso questa fitta nebbia includendo Alma nella rete globale di radiotelescopi sparsi per il mondo. Quello che hanno visto è sorprendente: la regione di emissione è così piccola che la sorgente sembra quasi puntare direttamente in direzione della Terra.

Osservando alla frequenza di 86 GHz con la tecnica Vlbi (Very Long Baseline Interferometry), che combina molti telescopi per formare un unico telescopio virtuale delle dimensioni della Terra, i ricercatori sono riusciti a mappare le proprietà della luce diffusa che ostruisce la vista di Sgr A*. La rimozione della maggior parte degli effetti di diffusione ha prodotto una prima immagine dei dintorni del buco nero.

L’alta qualità dell’immagine così ottenuta ha permesso al team di vincolare i modelli teorici del gas che circonda Sgr A*. Si è trovato che la maggior parte dell’emissione radio proviene da una regione di appena un trentamilionesimo di grado (120 ± 34 μas, o microsecondi d’arco) e la sorgente ha una morfologia simmetrica. «Questo potrebbe indicare che l’emissione radio viene prodotta da un disco di gas che sta precipitando nel buco nero, piuttosto che da un getto radio», spiega Sara Issaoun, dottoranda presso la Radboud University Nijmegen nei Paesi Bassi, che guida la ricerca e ha testato diversi modelli sui dati. «Tuttavia, ciò renderebbe Sgr A* un’eccezione rispetto ad altri buchi neri che emettono onde radio. L’alternativa potrebbe essere che il getto radio stia puntando pressoché nella nostra direzione».

L’astronomo tedesco Heino Falcke, professore di radioastronomia e supervisore del dottorato di Issaoun, trova questa possibilità molto insolita, ma non se la sente di escluderla a priori. Fino all’anno scorso, l’avrebbe trovata forzata, ma recentemente il team di Gravity è arrivato a una conclusione simile usando l’interferometro ottico del Very Large Telescope dell’Eso e una tecnica indipendente. «Forse, dopotutto potrebbe essere verosimile», conclude Falcke, «e stiamo guardando questo mostro da un punto di osservazione molto speciale».

I buchi neri supermassicci sono comuni nei centri delle galassie e possono generare i fenomeni più energetici dell’universo conosciuto. Si ritiene che, intorno a questi buchi neri, la materia cada in un disco in rotazione e parte di essa venga espulsa in direzioni opposte, lungo due stretti canali chiamati getti, a velocità prossime a quella della luce, che tipicamente generano una forte emissione radio. «Il fatto che l’emissione radio di Sgr A* provenga da una struttura simmetrica o asimmetrica sottostante è tuttora oggetto di intensa discussione», spiega Thomas Krichbaum, membro del team.

Sgr A* è il buco nero supermassiccio più vicino e la sua massa è di circa 4 milioni di masse solari. La sua dimensione apparente in cielo è dell’ordine di un centomilionesimo di grado, che corrisponde alle dimensioni di una pallina da tennis sulla Luna vista dalla Terra. Per misurare un qualcosa di così piccolo è necessaria la tecnica interferometrica Vlbi. Inoltre, la risoluzione ottenuta con il Vlbi è ulteriormente migliorata dalla frequenza di osservazione. La frequenza più alta fino ad oggi utilizzata per il Vlbi è di 230 GHz. «Le prime osservazioni di Sgr A* a 86 GHz risalgono a 26 anni fa, guidate da Thomas Krichbaum del nostro istituto, con solo una manciata di telescopi. Nel corso degli anni, la qualità dei dati e le capacità di imaging sono migliorate costantemente con l’arrivo di più telescopi», afferma J. Anton Zensus, direttore del Max Planck Institute for Radio Astronomy e capo della divisione Radioastronomia/Vlbi.

Il Global Millimeter Vlbi Array (Gmva), con anche Alma. Crediti: S. Issaoun, Radboud University/ D. Pesce, CfA

Le scoperte di Issaoun e del suo team internazionale descrivono le prime osservazioni a 86 GHz che hanno visto partecipe anche Alma, il telescopio più sensibile a questa frequenza. Alma è entrato a far parte del Global Millimeter Vlbi Array (Gmva), gestito dal Max Planck Institute for Radio Astronomy, nell’aprile 2017. La sua partecipazione è stata resa possibile dallo sforzo dell’Alma Phasing Project ed è stata decisiva per il successo di questo progetto.

La partecipazione di Alma nel mm-Vlbi è importante sia per la sua sensibilità sia per la sua posizione nell’emisfero australe. Oltre ad Alma, fanno parte della rete anche dodici radiotelescopi nel Nord America e in Europa. La risoluzione raggiunta dalla rete (pari a ~87 μas) è migliorata di un fattore due rispetto a quella delle precedenti osservazioni a questa frequenza e ha prodotto la prima immagine di Sgr A* nella quale la diffusione interstellare (un effetto causato da irregolarità nella densità del materiale ionizzato lungo la linea di vista tra Sgr A* e la Terra) è considerevolmente ridotta.

Per rimuovere l’effetto e ottenere l’immagine, il team ha utilizzato una tecnica sviluppata da Michael Johnson del Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics (CfA). «Anche se la diffusione sfuoca e distorce l’immagine di Sgr A*, l’incredibile risoluzione di queste osservazioni ci ha permesso di definire le esatte proprietà dello scattering», afferma Johnson. «Potremmo quindi rimuovere la maggior parte degli effetti indotti dallo scattering per vedere come appaiono le cose vicino al buco nero. La bella notizia è che queste osservazioni mostrano che lo scattering non impedirà all’Event Horizon Telescope di vedere l’ombra del buco nero a 230 GHz, sempre che ne abbia una».

Studi futuri a diverse lunghezze d’onda forniranno informazioni complementari e ulteriori vincoli osservativi per questa sorgente, che contiene la chiave per una migliore comprensione dei buchi neri, gli oggetti più esotici dell’universo conosciuto.

Maura Sandri

media.inaf.it