Rappresenterà l’evento di quest’anno per la comunità astronomica. Gli scienziati hanno già pianificato le osservazioni, che saranno realizzate con la tecnica VLBI, per riprendere le prime immagini dirette dell’orizzonte degli eventi del buco nero della Via Lattea. Le domande sono tante a cui rispondere e tra queste verificare le predizioni di Einstein e conoscere più da vicino Sagittarius A*. Se il 2016 è stato l’anno delle onde gravitazionali, il 2017 non sarà da meno. Gli scienziati si apprestano a realizzare quella che è stata definita da alcuni la “foto del secolo”, o forse di sempre, che vedrà come protagonista l’orizzonte degli eventi di un buco nero. Nove radiotelescopi sparsi sul globo uniranno le loro forze agendo come un singolo strumento, realizzando così un osservatorio gigantesco delle dimensioni della Terra. L’Event Horizon Telescope (EHT), un nome appropriato per significare l’importanza di questa impresa titanica, punterà lo sguardo verso il centro della Via Lattea, cercando di spiare il buco nero che si cela nel nucleo della nostra galassia. Se questo tentativo avrà successo, le spettacolari e tanto attese immagini potrebbero aiutare gli astronomi a mettere ancora alla prova Einstein e a “far luce” sul comportamento di Sagittarius A*.
A differenza di quanto abbiamo già visto nel film “Interstellar” con le sue spettacolari visualizzazioni di Gargantua, in realtà non abbiamo mai visto un buco nero. Sappiamo che esistono e ce n’è proprio uno che ci interessa più da vicino e che vive nel cuore della Via Lattea: stiamo parlando di Sagittarius A*. Qualche tempo fa, avevamo sollevato la questione su queste pagine e, spesso, certi passi in avanti sembrano lontani anni-luce: la prima “osservazione diretta” di un buco nero cade proprio in questa categoria. Ma non sembra più così. Infatti, gli astronomi del progetto EHT hanno già programmato il primo tentativo che li porterà a “scattare” un’immagine di Sagittarius A* (Sgr A*), il buco nero che si trova nel cuore della Via Lattea. Durante due notti, il prossimo mese di Aprile, nove osservatori internazionali, in Antartide, Cile, Hawaii, Spagna, Messico e Arizona, prenderanno parte contemporaneamente ad una campagna di osservazioni che vedrà protagonista non solo Sgr A* ma anche il buco nero che risiede nel nucleo della galassia ellittica gigante M87.
Operando insieme, i radiotelescopi simuleranno un singolo gigantesco strumento delle dimensioni della Terra che sarà in grado di catturare direttamente l’orizzonte degli eventi, quel confine che circonda i buchi neri dove tutto ciò che passa non torna mai più indietro. Ciò sarà possibile grazie alla tecnica dell’interferometria radio a lunghissima linea di base (VLBI) che permetterà di ottenere il livello più alto di risoluzione spaziale di ogni altro strumento astronomico. Nel caso di Sgr A*, che si estende per circa 24 milioni di chilometri (quasi 20 volte più grande del Sole) e che si trova a circa 25 mila anni-luce, “scattare una foto” è una missione impossibile: il raggio di Schwarzschild risulta decisamente piccolo (10 microsecondi d’arco). Tuttavia, ad oggi le osservazioni realizzate da EHT hanno raggiunto una risoluzione angolare migliore di 60 microsecondi d’arco, equivalente al diametro sotteso da una mela posta sulla superficie della Luna. Ma c’è qualche speranza, poiché il coinvolgimento di altri strumenti in banda millimetrica, come ALMA e il South Pole Telescope, potrebbe aiutare a rivelare la cosiddetta “ombra” di Sgr A*. Non tutto andrà liscio perché ci saranno degli ostacoli da affrontare. Occorrerà, infatti, superare una sorta di “barriera”, ossia il disco di accrescimento, dovuta alla presenza di nubi di gas e polvere che orbitano attorno al buco nero man mano che vengono catturate e risucchiate ad un ritmo forsennato. Una delle decisioni più importanti che hanno dovuto prendere i ricercatori è stata quella di scegliere la giusta frequenza di osservazione. Le onde radio rappresentano un ottimo punto di partenza in quanto vengono diffuse molto meno rispetto alla radiazione infrarossa.
Gli scienziati hanno eseguito tantissime simulazioni per analizzare le possibili configurazioni che può assumere il gas e in tutti i casi la scelta è caduta sul valore di 1,3mm. In altre parole, per penetrare la nube di polveri e “vedere” l’orizzonte degli eventi, occorrerà che il gas caldo si trovi in prossimità di questa zona di non ritorno mostrandosi luminoso e brillante a questa lunghezza d’onda, così come sperano gli astronomi. Inoltre, la luce dovrà propagarsi senza trovare particolari ostacoli arrivando a Terra, dopo aver attraversato l’atmosfera, fino a raggiungere le parabole dei radiotelescopi: ancora una volta, la scelta di utilizzare una lunghezza d’onda di 1,3mm sembra essere la scelta giusta. Un algoritmo sviluppato da Katie Bouman del MIT, e collaboratori, permetterà poi di eliminare ogni interferenza o rumore causati dall’atmosfera terrestre.
Ma che cosa vedrà alla fine l’EHT? Secondo alcune simulazioni, le immagini dovrebbero assomigliare a quelle di una mezzaluna anziché a un blob così come previsto da altri modelli. La forma a mezzaluna deriva dalla presenza del disco di accrescimento. Data la sua rotazione attorno al buco nero, il lato del disco che si muove verso l’osservatore diventerà più luminoso, a causa del ben noto effetto Doppler relativistico, mentre il lato del disco che si allontana dall’osservatore apparirà più debole. Al centro della mezzaluna crescente si dovrebbe intravedere un cerchio più scuro, appunto la “ombra del buco nero”, che rappresenta effettivamente l’oggetto centrale massiccio, mentre la luce risulterà talmente deflessa a causa dall’intenso campo gravitazionale.
La relatività generale afferma che una massa, specialmente una così massiccia equivalente a 4 milioni di soli, curvi lo spaziotempo. Questa curvatura può essere calcolata matematicamente perciò la dimensione dell’ombra prodotta da Sgr A* dovrebbe essere o uguale a quella predetta dalla teoria di Einstein oppure no. Si tratta comunque di una “ipotesi nulla” poichè gli scienziati sanno esattamente che cosa predice la relatività generale per quanto riguarda questa misura, ma non essendo mai stati condotti test su queste scale le sorprese potrebbero essere dietro l’angolo. È un po’ come ripetere l’esperimento che realizzò Eddington durante l’eclisse del 1919 quand’egli misurò la deflessione dei raggi luminosi di stelle vicine al bordo solare dovuta all’azione esercitata dal campo gravitazionale della nostra stella. Ora, quasi un secolo dopo, gli scienziati eseguiranno una misura similare il cui effetto, però, sarà moltiplicato milioni di milioni di milioni di volte in termini della curvatura dello spaziotempo.
Naturalmente, occorrerà molto tempo per ridurre e analizzare i dati che saranno prodotti da un esperimento del genere perciò, anche se le osservazioni avranno successo, dovremo aspettare qualche mese per ammirare la prima immagine. Non c’è alcuna garanzia che tutto filerà liscio ma il fatto che l’esperimento sia stato già pianificato è una notizia. Non è stato semplice arrivare fino a questo punto e, forse, nessuno tra gli astronomi se lo immaginava. Dunque, non ci resta che aspettare.
Corrado Ruscica