I buchi neri supermassicci nati agli albori dell’universo non hanno un’origine stellare: si sono formati tramite il cosiddetto ‘collasso diretto’ di gas primordiale. Uno studio pubblicato su The Astrophysical Journal Letters getta nuova luce su questo meccanismo.
Il collasso di una stella non è l’unico modo affinché un buco nero si formi, soprattutto se questo è vecchio tanto quanto l’universo stesso. Infatti, sono stati osservati buchi neri risalenti fino a 690 milioni di anni dopo il big bang. Durante quest’epoca le stelle allora presenti non ebbero tempo sufficiente per collassare in un buco nero. Il meccanismo del collasso diretto spiega la formazione di buchi neri supermassicci nati nelle prime fasi di vita dell’universo. Ora un nuovo studio di due ricercatori della Western University in Ontario, Canada, ha chiarito il funzionamento di tale modello, fornendone una descrizione analitica e motivata fisicamente.
Il modello del collasso diretto prevede che i buchi neri supermassicci si siano formati molto velocemente in un brevissimo lasso di tempo e poi, quasi all’improvviso, la loro crescita abbia subito un’interruzione. La ricerca, pubblicata dai ricercatori Shantanu Basu e Arpan Das sulle pagine di The Astrophysical Journal Letters, definisce un nuovo modello matematico per spiegare questa crescita esponenziale e la rapida formazione di questi antichi mostri cosmici.
I buchi neri supermassicci si ritengono essere al centro di ogni galassia, compresa la Via Lattea, ma la loro natura è di difficile comprensione. Nella maggioranza dei casi la loro origine si può spiegare in termini di collasso stellare. Stelle giganti, di almeno cinque masse solari, collassano su se stesse fino al punto in cui si viene a formare una singolarità infinitamente densa e infinitamente piccola. Nasce un buco nero che, nella sua incessante attività di attrazione gravitazionale, cattura altre stelle che ne aumentano continuamente la massa.
Tuttavia questo meccanismo non può spiegare la formazione dei buchi neri che si trovano al centro dei quasar. Essi sono gli oggetti più antichi mai osservati, nati poche centinaia di milioni di anni dopo il big bang. Si ritiene che la loro enorme luminosità, se comparata all’enorme distanza, sia originata dall’accrescimento continuo di materiale nel buco nero supermassiccio centrale. Per questi buchi neri la spiegazione del collasso stellare non è più valida e negli anni è stato introdotto il modello del collasso diretto.
La crescita dei buchi neri tramite collasso diretto si stima sia iniziata quando erano passati circa 400 milioni di anni dal big bang e sia proseguita per altri 150 milioni di anni. Durante questo lasso di tempo la crescita del buco nero avviene esponenzialmente in regime di limite di super-Eddington. Il limite di Eddington definisce il massimo valore di luminosità che un oggetto può raggiungere quando la pressione verso l’esterno, causata dalla radiazione emessa, controbilancia la forza gravitazionale che tende a farlo collassare. È possibile che nei casi più estremi, come i buchi neri supermassicci, questo limite venga superato. Si parla quindi di regime di super-Eddington e per questi oggetti l’unico destino possibile è il collasso gravitazionale.
Tuttavia, l’accrescimento in regime di super-Eddington si arresta bruscamente quando, nella nube che ospita il buco nero, la radiazione emessa dalla materia in accrescimento ionizza le molecole della nube disperdendo il gas. Anche questa fase, detta fotoevaporazione, viene descritta dal modello messo a punto da Basu e Das.
«I buchi neri supermassicci hanno avuto solo un breve periodo di tempo in cui sono stati in grado di crescere velocemente e poi, a un certo punto, a causa di tutte le radiazioni nell’universo create da altri buchi neri e stelle, la loro produzione si fermò», spiega Basu, primo autore dell’articolo e professore di astronomia alla Western University. «Questa è l’evidenza osservativa indiretta che i buchi neri si originano tramite collasso diretto piuttosto che da resti stellari».
L’importanza della ricerca dei due studiosi risiede nel fatto che le leggi che governano il collasso diretto sono in accordo con le osservazioni e, soprattutto, con i modelli numerici sviluppati fino a oggi: questi modelli, infatti, si basano su interpolazioni di dati, cercando di ricostruire a posteriori la legge che meglio descrive la distribuzione della massa dei buchi neri supermassicci da collasso diretto. Basu e Das hanno individuato una relazione fisica, basata sul limite di super-Eddington, che descrive perfettamente la distribuzione osservata.
I risultati così ottenuti potranno essere utilizzati per future osservazioni, in particolare dal promettente James Webb Telescope, per studiare più a fondo la storia e l’origine di questi giganteschi buchi neri nati quando l’universo era ancora in fasce.
Marco Dian