di Fausto Intilla – oloscience.com
In genere, quando si parla di riscaldamento globale, ci si appoggia ad un ragionamento di base che prende in considerazione tre aspetti fondamentali:
a) Le attività umane producono e immettono nell’atmosfera dell’anidride carbonica (CO2);
b) L’anidride carbonica è un gas ad effetto serra;
c) L’effetto serra riscalda il pianeta.
Esaminiamo dunque in dettaglio ciascuno di questi tre aspetti o punti di riferimento per la definizione del fenomeno in oggetto; ovvero, il riscaldamento globale del nostro pianeta.
Sappiamo che quando bruciamo del combustibile che contiene carbonio (come ad esempio legno, petrolio oppure gas propano), viene prodotto del diossido di carbonio; ovvero dell’anidride carbonica, che viene immessa nell’atmosfera. L’atmosfera della Terra è composta da circa il 78% d’azoto (N2), il 21% d’ossigeno (O2) e circa l’ 1% d’argon (Ar).
L’anidride carbonica si trova nell’atmosfera in quantità molto più ridotte; per cui non la si misura in percentuale bensì in “parti per milione” (1 ppm = 1/1’000’000). Attualmente l’anidride carbonica presente nell’atmosfera terrestre oscilla attorno alle 415 ppm (corrispondenti allo 0,0415%). Ciò che è interessante ora, è osservare l’evoluzione di questo valore nel corso degli ultimi decenni e degli ultimi secoli. Da più di una cinquantina d’anni, siamo in grado di misurare direttamente i valori di CO2 presenti nell’atmosfera e persino di risalire molto più lontani nel tempo, grazie all’analisi delle microbolle d’aria contenute nelle carote di ghiaccio. Osservando questa evoluzione (ovvero i cambiamenti della concentrazione di CO2 presente in atmosfera), notiamo che a partire dall’anno 1’000 e durante i secoli successivi, la concentrazione di CO2 oscilla sempre attorno alle 280 ppm. Poi, a partire dal 1850, a causa della rivoluzione industriale, la concentrazione di CO2 nell’atmosfera ha cominciato a salire vertiginosamente, seguendo un andamento a dir poco esponenziale, fino a raggiungere il valore attuale di 415 ppm. Si tratta quindi di un dato incontestabile, a sostegno del fatto che le attività umane, effettivamente, producono ed immettono nell’atmosfera dell’anidride carbonica (CO2).
Ma passiamo ora al terzo aspetto fondamentale, menzionato poc’anzi; ovvero, l’idea che l’effetto serra riscaldi il pianeta. Innanzitutto, occorre ricordare che quasi tutta l’energia naturale presente sulla Terra, è in gran parte dovuta all’irraggiamento solare. La superficie del Sole ha una temperatura di circa 5’500°C e la radiazione che invia sul nostro pianeta è composta da luce visibile (lunghezza d’onda: 400-700 nm), raggi UV (lunghezza d’onda: 10-400 nm) ed infrarossi vicini allo spettro della luce visibile (NIR, dall’acronimo inglese: “Near infrared”; lunghezza d’onda: 0,75-1,4 μm). La Terra, dal canto suo, riflette circa il 30% di tale irraggiamento ed assorbe tutto il resto; ed è ciò che ovviamente ci fornisce dell’energia. Come tutti i corpi che si riscaldano ad una certa temperatura, la Terra emette essa stessa, un irraggiamento. Si tratta di radiazione infrarossa con lunghezza d’onda che varia tra i 15 e i 1’000 micrometri (nota come “infrarosso lontano” o “radiante”; dall’acronimo inglese FIR: “Far infrared”). Ora, l’aspetto più interessante che occorre conoscere, è che se non vi fosse alcun effetto serra sul nostro pianeta, tutta questa radiazione infrarossa fuggirebbe nello spazio e sulla superficie terrestre avremmo una temperatura media di circa -18°C!
La radiazione infrarossa emessa dalla Terra, viene in gran parte assorbita dai gas presenti nell’atmosfera e al tempo stesso, sempre da tali gas, immessa/rigettata parzialmente sulla Terra. Ciò ovviamente crea un flusso supplementare che contribuisce a riscaldare il pianeta, comunemente noto come “effetto serra”. Paradossalmente quindi, l’effetto serra, in parte, contribuisce in termini positivi al mantenimento della vita sulla Terra (garantendo una temperatura media di circa 14°C). L’importanza di tale fenomeno è evidente se pensiamo ad esempio alle differenze di temperatura tra la superficie del pianeta Mercurio (privo di atmosfera) e quella del pianeta Venere. Nonostante Mercurio sia più vicino al Sole rispetto a Venere, la temperatura media sulla sua superficie è di 167°C; contro i 462°C della superficie di Venere! Ebbene ciò è dovuto al fatto che l’atmosfera di Venere è composta per il 96% da CO2 ; il che va a creare un enorme effetto serra.
Tali considerazioni, ci portano quindi ad analizzare il secondo aspetto fondamentale che viene comunemente associato al fenomeno del riscaldamento globale: ovvero che l’anidride carbonica, è un gas ad effetto serra. Ma cosa rende un determinato gas, un gas ad effetto serra? Come abbiamo visto poc’anzi, per avere un effetto serra occorre che l’irraggiamento dovuto all’infrarosso lontano, possa essere assorbito dall’atmosfera. Ora, affinché un gas possa assorbire della radiazione infrarossa, occorre che sia composto da almeno tre atomi nella sua molecola; o eventualmente da solo due atomi, ma a condizione che siano due atomi differenti tra loro. L’anidride carbonica è composta da tre atomi (uno di carbonio e due d’ossigeno), dunque è indubbiamente un gas ad effetto serra. L’ossigeno (O2) e l’azoto (N2) no, poiché sono entrambi composti, ciascuno, da due atomi uguali. Il metano (CH4) è composto da cinque atomi (uno di carbonio e quattro di idrogeno), dunque è anch’esso un gas ad effetto serra. Mentre l’argon (Ar), composto da un solo atomo, non lo è.
L’ozono (O3), composto da tre atomi, è un gas ad effetto serra. Curiosamente, oltre ai gas CFC (clorofluorocarburi), anche il vapore acqueo è un gas ad effetto serra (l’acqua infatti è composta da tre atomi; due d’idrogeno e uno di ossigeno). Di quest’ultimo, nonostante sia uno dei gas ad alto potenziale d’effetto serra, fortunatamente, non possiamo modificarne in modo durevole la concentrazione presente nell’atmosfera; e ciò è dovuto al fatto che il vapore acqueo atmosferico, è in equilibrio con tutta l’acqua dei mari e degli oceani presenti sulla Terra.
La quantità di CO2 che ha continuato ad accrescere sulla Terra in modo esponenziale a partire dalla metà del diciannovesimo secolo (ovvero a partire dalla seconda rivoluzione industriale), provoca ovviamente un effetto serra abnorme molto più intenso di quello che in assenza di determinate attività umane, avremmo dovuto riscontrare sulla superficie del nostro pianeta. Per quantificare questo fenomeno, possiamo definirlo sotto forma di un surplus d’irraggiamento, dovuto a questo effetto serra aggiuntivo.
Andiamo dunque a scoprire qual è l’irraggiamento di base fornitoci dal Sole. Se osservassimo il Sole in modo diretto, riceveremmo un flusso d’energia (irraggiamento) di circa 1366 W/m2. Ma si tratta di un flusso massimale, per cui dobbiamo considerarne un altro, che tenga presente anche la rotazione della Terra e quindi gli intervalli tra il giorno e la notte. In tal caso la potenza media d’irraggiamento solare si riduce ad un quarto del suo valore massimale; arrivando così a circa 342 W/m2.
La seconda cosa che occorre considerare è che, come abbiamo già visto, la Terra riflette direttamente circa il 30% del suo irraggiamento (un fenomeno chiamato albedo). In totale, facendo i dovuti calcoli, scopriamo che la Terra riceve un flusso solare medio di circa 240 W/m2. L’effetto dell’anidride carbonica accumulatasi nell’atmosfera in rapporto al livello di tale gas presente prima della rivoluzione industriale (1850), equivale a un surplus d’irraggiamento di circa 2 W/m2; e se aggiungiamo altri gas ad effetto serra arriviamo ad un surplus di circa 3 W/m2. Quest’ultimo viene definito con il termine di forzante radiativo (equivalente appunto a circa +3 W/m2).
Un forzante radiativo di tale entità, porta dunque il flusso solare medio calcolato poc’anzi, ad un valore di 243 W/m2. Anche se apparentemente questo leggero aumento del flusso d’irraggiamento sembra qualcosa di irrilevante, tuttavia, esso potrebbe portare a degli incisivi cambiamenti climatici. Facendo i dovuti calcoli, l’impatto che un forzante radiativo di +3 W/m2 ha sulla temperatura media della superficie terrestre, porta ad un aumento di tale temperatura di circa un grado. Questo aumento di temperatura (oltre al fatto che è destinato quasi sicuramente ad accrescere nel corso dei prossimi decenni), porta inevitabilmente a delle concentrazioni sempre maggiori di vapore acqueo nell’atmosfera terrestre; che ovviamente accrescono l’effetto serra globale del pianeta.
In sintesi, si crea un ciclo (aumento della concentrazione di vapore acqueo → aumento dell’effetto serra → aumento della temperatura → aumento della concentrazione di vapore acqueo → …) che prende il nome di “retroazione positiva” (positiva perché il fenomeno si rafforza da sé medesimo). Un’altra retroazione positiva si verifica con lo scioglimento dei ghiacci polari; la conseguenza di tale fenomeno porta ad una diminuzione della riflessione dei raggi solari, che parallelamente conduce ad un maggiore assorbimento dei raggi solari sulla superficie terrestre. Il che ovviamente rafforza col tempo, l’intensità dell’effetto serra (sul pianeta Venere, è molto probabile che sia accaduto qualcosa del genere). Fortunatamente, è assai probabile che sulla Terra una cosa simile non accadrà mai. Infatti, i glaciologi hanno scoperto che sulla Terra, per lunghi periodi di centinaia di milioni di anni, l’atmosfera conteneva dalle cinque alle dieci volte in più dei quantitativi di CO2 che abbiamo oggigiorno; con oscillazioni di temperatura sulla superficie terrestre inferiori ai 5°C.
Da tali studi, emerge dunque che oltre a delle retroazioni positive, sulla Terra possono verificarsi anche delle retroazioni negative; ovvero dei meccanismi che frenano e riescono a controbilanciare il fenomeno dell’effetto serra. Sappiamo ad esempio che, se la concentrazione delle nuvole nell’atmosfera aumenta, ciò provoca un aumento della riflessione dei raggi solari e quindi parallelamente, uno smorzamento del riscaldamento globale. Purtroppo però, risulta assai difficile identificare e stimare nel tempo, la quantità, la tipologia e soprattutto gli effetti a lungo termine di tali retroazioni negative sul nostro pianeta.
Infatti, attraverso dei modelli simulativi/predittivi molto dettagliati che prendono in considerazione una moltitudine di fattori ambientali e climatici (atmosfera, oceani, correnti, etc.), ovvero dei modelli di circolazione generale, non è quasi mai possibile raggiungere dei risultati eclatanti (ovvero comparabili e molto simili tra loro), poiché tutti questi modelli non prendono mai in considerazione le stesse retroazioni (positive e negative) e i relativi effetti. Ciò che possiamo sperare dunque, per il nostro futuro ma soprattutto per quello dei nostri figli, è che le retroazioni negative prevalgano nel tempo su quelle positive; facendo al contempo tutto il possibile, per ridurre le immissioni di CO2 nel nostro incantevole pianeta blu.
Fausto Intilla
4 agosto 2019