Robot: è già futuro

Robot: è già futuro
robot
Crediti: shutterstock

Un sogno possibile: una società completamente automatizzata, dove i lavori ripetitivi vengano eseguiti dai robot, lasciando all’uomo la parte più elevata dell’elaborazione.

Automazione: una parola, che può aprire a mille parole. Se ne parla da moltissimo tempo, ma si è chiarito poco cosa questa parola voglia davvero dire. Un mondo che apre a molte possibili prospettive e che sempre di più raggiunge risultati che vanno al di là dell’immaginazione. Ma cosa è la robotica, l’automazione? E quali sono le possibili frontiere che ci aspettano, nel divenire, da questo mondo che appare davvero incredibile? Davvero, come dicevano alcuni, ancora nel secolo scorso, “nel corso del ventunesimo secolo avremo robot sempre più vicini all’uomo”? In queste pagine (o, meglio, in queste “colonne virtuali”), cercheremo di dare una risposta, analizzando in profondità di cosa stiamo parlando, quali sono i cardini di questo mondo dell’automazione e come potrebbe essere il futuro.

E se la fiction fosse già qui?

Forse il primo approccio con la Robotica l’abbiamo avuto, almeno quelli della mia generazione, col mondo della fiction. La fantascienza che, soprattutto negli ultimi decenni del secolo scorso (ma anche oggi: basti penare ai successi di film quali Ex machina e Avatar), andava per la maggiore. Quella fantascienza che significa prospettiva futura, apertura al divenire. Una fantasia che, in molti casi, anticipa una delle realtà possibili.
Cosa voglio dire? Che forse quello che la fantascienza anticipa lo abbiamo in qualche modo già vissuto! Nel senso che il solo fatto di ricordarlo significa che, in qualche modo, è in noi! Quindi, la fiction, la fantascienza “vera”, quella che, in qualche modo, è la più vicina al nostro sentire, è una proiezione di qualcosa che è già qui. In fondo, conosciamo bene la visione del mondo del Multiverso, vale a dire di realtà sovrapposte che coesistono nello stesso momento. Quindi, tra gli infiniti universi paralleli e coesistenti (la particolarità è questa e la teoria delle stringhe lo insegna!), ve ne sono alcuni in cui gli eventi che stiamo vivendo sono stati già vissuti. E, quindi, sono traslati in avanti nel tempo. O, meglio, in uno dei tempi possibili. Questo discorso mi serve per entrare in questo mondo, che potrebbe essere affascinante, per aprire ad altri mondi. E presentare aspetti tanto fantastici quanto inquietanti. Dipende da come lo si guarda. E da quello che potrà, magari in un istante, rivelarci. Da qui si parte verso nuovi orizzonti e verso una nuova vita.

Operazioni rese automatiche: il divenire è qui

Quando una persona si immerge in un film, oppure anche in un fumetto di fiction, che sia I Pronipoti, Martin Mystère o il più noto Star Trek, si trova in mondi dove, oltre ad avere tecnologie molto più avanzate delle nostre (ma non sempre avanzatissime), l’automazione è quasi totale. Nel senso che vediamo che quelli che sono i lavori oggi svolti da uomini sono svolti da macchine: quelli che in maniera sommaria si chiamano robot. Queste fiction, forse prima ancora delle epoche in cui sono virtualmente ambientati questi film o questi racconti, potrebbe in parte divenire realtà. Lo scopo di questo lavoro sarà quello di comprendere cosa voglia dire “automatizzare”. Prima che al di fuori, dentro la persona, nel senso di comprendere quali sono quei processi logici e di pensiero che stanno dietro a questo funzionamento. Cosa si vuole automatizzare e qual è il lavoro che si trova dietro a questi processi.

Come spesso accade, l’automazione nasce prima in astratto che nel concreto, nel tangibile. Anche gli elaboratori elettronici sono nati prima nel “virtuale”. Non a caso, in diverse università si studiano tutt’oggi materie quali “Teoria dell’Informazione e della Trasmissione”. Non a caso, la Tecnica delle Costruzioni segue la Scienza delle Costruzioni. Il nostro discorso, quindi, partirà da lontano, cercando di capire quali sono quei processi che si vogliono automatizzare. Cercando di capire cosa vuol dire automatizzare e soprattutto cosa si vuole automatizzare. Superato questo step, ci si porrà invece il problema dell’automatizzare in sé, vedendo come funziona oggi e cercando, forse cosa ancora più interessante, di dare un’occhiata alle prospettive future, possibili o impossibili, in questo settore.

Prospettive avveniristiche

Vedremo anche progetti avveniristici, che oggi appaiono molto più possibili di quello che si possa credere. In fondo aveva ragione un mio amico, il quale affermava, ancora 20 anni fa, che “oggi non c’è più fiction”. E, proiettando tutto questo avanti di vent’anni, quindi alla fine del 2017, si può proprio dire che questo si è verificato. In fondo, se avessimo raccontato, alla fine degli anni ’90, che nel 2017 ci sarebbero stati apparecchi che potevano essere azionati semplicemente toccando lo schermo e che ci avrebbero permesso un contatto con il mondo, qualcuno si sarebbe messo a sorridere. Eppure oggi è la nostra realtà. Facciamo, quindi, quel famoso “passo indietro” di cui parlavamo. E cerchiamo di capire di cosa stavamo parlando, quando citavo l’automazione. L’inizio sarà per forza di cose astratto, al punto da fare perdere, almeno in apparenza, il rapporto con il tema principale. Che, non vi preoccupate, tornerà. E stavolta lo avremo compreso meglio, perché avremo capito da cosa deriva.

Capire i processi… per automatizzarli!
La prima cosa che deve fare una macchina che vuole automatizzare dei processi è quella di eseguire delle operazioni. Queste operazioni possono essere “fisiche” (nel senso di gesti da compiere), o puramente “mentali” (vale a dire eseguire della computazione veloce, svolgere delle operazioni logiche o matematiche). Le due cose, vedremo, sono collegate, nel senso che un processo fisico, un’azione, parte a un’elaborazione.

In entrambi questi casi occorre comprendere una cosa fondamentale: ci sono dei passaggi, più o meno logici, che vengono eseguiti, per essere poi automatizzati. Credo che sin qui sia tutto chiaro: sia un ipotetico robot, sia un sistema che esegue dei calcoli devono compiere una serie di operazioni più o meno complesse per riuscire ad eseguire quello che vorrebbero effettuare. In qualche modo, quindi, quello che occorre fare è comprendere, generalizzando, quelle che sono le operazioni che devono essere compiute su qualsiasi oggetto, in modo da capire cosa sono e come agiscono. La parola d’ordine, quindi, è “astrarre” da un processo particolare, un caso generale. Descrivendolo in modo tale da poterlo ripetere, almeno in teoria, diverse volte.

Facciamo un esempio: occorre eseguire un prodotto tra due numeri, partendo dalla somma. Ad esempio, si deve eseguire il prodotto di 3×4. Come si farà? Si dovrà sommare quattro volte 3 con se stesso. Sin qui va tutto bene. Ma quali sono le operazioni che una macchina dovrà compiere per poterlo fare? Semplicemente, dovremo avere qualcosa che “conta” quante volte avremo sommato 3 a se stesso, in modo da essere “sicuri” che queste volte siano proprio 4.

I robot possono eseguire, non pensare
Credo che questo semplice esempio abbia chiarito una cosa. Anzi due: la prima, che ad una macchina occorre dire “tutto”, ma proprio “tutto” quello che dovrà fare. La macchin in effetti è molto veloce, ma almeno per ora non è in grado di “decidere” nulla in maniera autonoma. La seconda, non meno importante, che in tutto questo identifichiamo sempre una parte “ripetitiva”, che la macchina dovrà eseguire rapidamente. Dovremo, quindi, dal caso particolare, dell’eseguire qualcosa, passare ad un caso più generale, dove descriveremo quell’operazione da compiere, in maniera da poterla far svolgere da una macchina. L’astrazione, quindi, sarà nel trovare un procedimento globale per descrivere qualcosa. Per poi, come caso particolare, suggerirne un’applicazione nel mondo tangibile che conosciamo.

La stessa cosa vale anche se vogliamo progettare una macchina che faccia qualcosa: ad esempio, preparare una tavola apparecchiata. Occorrerà, come prima cosa, capire quali sono quelle strutture automatizzabili, descrivendole accuratamente alla macchina. Fatto questo, occorrerà implementare un sistema che sia in grado di eseguire quei meccanismi. E, in particolare, sia in grado di “scegliere” quali meccanismi eseguire.

Quindi, anche in questo caso, ci troviamo davanti un qualcosa che “fa esclusivamente quello che noi gli diciamo di fare”. E che, di conseguenza, deve essere descritto in maniera molto minuziosa. Poi si passerà alla fase realizzativa, Ma la prima fase è sempre quella di descrizione di un processo, tutta la successiva parte tecnica non può prescindere da questo: altrimenti non si “automatizza” nulla. La partenza, quindi, non è in termine di “meccanismi” ma di “processi”. È sempre dai processi che occorre partire. È sempre da quello che sta a monte e che deve essere compreso. Sia esso un operatore matematico, piuttosto che il moto di un automa. La formalizzazione del processo è la base di qualsiasi lavoro in tal senso.Per questo, sarà importante occuparsi di processi prima che di meccanismi. Che saranno ad essi secondari.

Le macchine sono ignoranti!

Spostandoci in un altro settore, potremmo dire che non avremmo le auto che oggi utilizziamo se nel 1700 Sadi Carnot, francese, non avesse identificato un teorico “Ciclo di Carnot”, che è alla base di tutte le macchine, sia termiche che frigorifere. Descrivere accuratamente il processo, quindi, è la base per poter comprendere poi il meccanismo. E il processo contiene sempre una parte che si vuole “automatizzare”. E che occorre comprendere. Per permettere non solo a noi stessi ma ad una macchina totalmente ignorante di quello che noi diamo per scontato di eseguirlo. Una macchina a cui dovremo dire tutto e che ci obbligherà ad avere definito il processo nei minimi dettagli. La ripetitività è dunque un elemento importante. In tutti questi processi, infatti, si trova sempre una parte ripetitiva, qualcosa che si deve eseguire diverse volte, sempre uguale a se stessa, o con poche differenze. Lo scopo finale, quindi, è quella di automatizzare tutte le operazioni cosiddette ripetitive, dopo averle comprese in profondità e descritte minuziosamente. Per poi farle eseguire ad un automa, di qualsiasi tipo esso sia, e poterci dedicare finalmente a qualcosa di livello più alto. Spostando fortemente l’attenzione dal ripetitivo al concettuale.

L’importanza della calcolatrice

Automatizzando, infatti, le cose di livello meno elevato, ci si potrà dedicare con successo a procedimenti di livello differente e sicuramente più elevato. Una calcolatrice, ad esempio, permetterà di eseguire i conti in maniera automatica, dandoci la possibilità di non perdere tempo nella manualità, per dedicarci alla logica. Lo scopo, quindi, sarà comprendere la logica che sottende la manualità del conto, per poi poterla ripetere virtualmente all’infinito. Capire per poi poter automatizzare.Eppure, pare paradossale che oggi ci siano insegnanti che ancora impediscono l’uso della calcolatrice nelle scuole. Questo dimostra come, in alcuni casi, la classe insegnante della scuola italiana sia ben lungi dal guidare le persone alla conoscenza e, piuttosto, sia lì solo per far perdere tempo in processi completamente inutili, facendo perdere di vista l’essenza delle cose.

Cervello elettronico come il cervello umano?
Prima di proseguire in questo discorso, credo sia interessante fare una piccola riflessione: un computer potrà mai pensare come il cervello umano? O si chiama semplicemente “cervello elettronico? Cerchiamo di capirlo con un’altra domanda: un computer potrà mai disegnare una curva? L’operazione appare assolutamente banale per noi. Ma per un computer? Apparentemente la risposta potrebbe essere “sì, la disegna anche lui senza problemi!”. Ma siamo proprio sicuri che un computer possa disegnare una curva?

No, un computer “non può” disegnare una curva! Tutto quello che può fare, è approssimarla con una spezzata, fatta di segmenti il più vicino possibile uno all’altro, tanto da farcela apparire come una curva. Ma non potrà mai disegnarla. Perché? Semplice, una curva non è un oggetto “discreto”, ma “continuo”. Vale a dire che ha un numero infinito di punti. Per lavorare nel continuo, quindi, occorre eseguire un numero infinito di operazioni. Cosa che una macchina non potrà mai fare! Infatti, per quanto possa essere veloce, il numero di operazioni che la macchina potrà fare sono comunque finite. Mentre il continuo è infinito. Allora come può la mente riuscire ad eseguire infinite operazioni con questa disinvoltura? Mentre una macchina non può? La risposta è in qualcosa che assomiglia, che si avvicina all’infinito. Che è l’esponenziale. Matematicamente parlando, esso è una struttura molto semplice. Vale a dire, equivale ad un numero elevato a qualcosa. Così come il prodotto è una somma eseguita un certo numero di volte, allo stesso modo l’esponenziale è un prodotto eseguito molte volte.

Valori esponenziali…

E la differenza sta proprio in questo: mentre la somma è qualcosa di “controllabile”, in un certo senso, perché ogni volta si aggiunge la stessa quantità, il prodotto lo è molto meno, perché ogni volta si “aggiunge” (se così si può dire) un valore differente. Per sintetizzare, un esponenziale è qualcosa che si ottiene per passi successivi, dove ogni volta un termine viene moltiplicato per un numero fissato k, detto la “ragione” di questo esponenziale. Questa operazione si chiama “progressione geometrica”. Facendo un esempio, se k = 2, avremo una successione di questo tipo: 1, 2, 4, 8, 16 e così via. Che, quindi, raddoppia ad ogni passo. Come si vede, questa successione cresce in maniera vertiginosa, partendo con valori bassi all’inizio. Così vertiginosa che non sarà, in alcun modo, controllabile.
Ma che relazione c’è tra questo e l’infinito? Molta di più di quello che si possa pensare. Infatti, un esponenziale può essere considerato come una struttura con infiniti punti di emanazione. In cui, quindi, ogni oggetto raggiunto da un determinato impulso è in grado di ritrasmetterlo. In termini tecnici, si dice che ogni “oggetto” di un impulso diviene “sorgente” di quello stesso impulso. Quindi, un esponenziale può essere pensato come un sistema di diffusione con infiniti punti di emanazione.

Un numero infinito di informazioni

La nostra mente lavora in modo esponenziale: infatti, ogni neurone è collegato fino a 100.000 neuroni. Quindi, la diffusione di un segnale nella nostra mente è una progressione esponenziale (o, come visto, geometrica) di ragione fino a 100.000. Ciò significa che ad ogni passaggio il numero di neuroni coinvolti sono sino a 100.000. [Matematicamente, quindi, questa progressione cresce con una ragione di 105n.] Questo, forse, fa capire come la nostra mente possa elaborare, apparentemente, un numero infinito di informazioni, riuscendo a pensare nel continuo oltre che nel discreto. E questo dice molto su come la nostra mente funzioni e su come riesca ad elaborare, nello stesso tempo, un numero enorme di informazioni. Forse è proprio per questa tendenza all’esponenziale che l’uomo riesce a decidere agevolmente molte cose in tempo quasi reale.

Le macchine possono solo ubbidire
Torniamo ora alla nostra macchina: questa è in grado di elaborare in esponenziale? La risposta è no: la macchina, per quello che sappiamo, non è in grado di prendere decisioni, se non in base a parametri che noi stessi inseriamo. Una macchina, quindi, fa solo quello che gli viene detto di fare. Proprio per questo, come dicevo in precedenza, occorre indicare tutte le operazioni con la massima accuratezza. Il problema che ora ci poniamo, però, è se una macchina possa, in qualche modo, arrivare, almeno in maniera approssimativa, a “pensare nel continuo”, come fa la mente umana.

E subito notiamo una cosa importante: questo non è fattibile approssimando. Infatti, saremo sempre infinitamente lontani dall’infinito (è una sua caratteristica: tutti i punti ne sono sempre infinitamente lontani). Un’opzione possibile sarebbe quella di tentare di imitare l’esponenziale, in qualche modo, con una macchina. Si parla, in questo senso, di “reti neurali”, che in qualche modo dovrebbero imitare il più possibile il cervello umano con una macchina. Lo vedremo nelle prossime parti di questo lavoro. Sino a che punto questo sarà possibile, sarà solo il divenire a dirlo. E forse non sarà un divenire alla portata, almeno fisica, degli uomini della mia generazione. In questo caso varrebbe la frase manzoniana: “Ai posteri l’ardua sentenza”.

Una riflessione che si può fare, in tal senso, è relativa a come il cervello si forma e si modifica. Un computer infatti è in qualche modo statico, a differenza del cervello umano che è dinamico sin dall’inizio. Infatti, man mano che il bambino cresce, il cervello aumenta le ramificazioni e muta la sua dimensione. Non è quindi un qualcosa che semplicemente si sviluppa, ma che prende strade differenti. Che si plasma sul momento, in molti modi possibili.

Esistono macchine intelligenti?

Una macchina è statica. Soprattutto perché è costituita di materiale inorganico. Sarebbe possibile costruire una macchina che “modifica”, la sua struttura, divenendo qualcosa di differente a seconda delle circostanze? Una macchina, insomma, “plastica”, in grado di modificare la sua struttura? Questo vorrebbe dire avere dei materiali in qualche modo “intelligenti”, che prendono forme diverse a seconda delle circostanze e delle richieste. Delle macchine che siano loro stesse “organiche” anche nelle loro componenti. Forse ne parleremo nel proseguo di questo studio, gettando ”luci avveniristiche” sul divenire. Per il momento, credo sia interessante avere tracciato questa possibilità. Se si riuscisse a realizzare, magari un giorno più o meno lontano, avremmo in mano la chiave per avere delle macchine davvero “umane”. Cosa che forse potrebbe essere l’obiettivo che noi stessi ci poniamo.

Con il rischio, però, di costruire una macchina che prenda il controllo sull’uomo. Questo rischio, nei film di fantascienza, è spesso paventato. E, talvolta, la fantasia – in un futuro possibile, in uno dei tanti futuri davanti a noi – può diventare realtà. Questo teniamolo sempre presente! La macchina ci aiuta, ma non può sostituire l’uomo, che ne deve sempre essere il padrone e non il servitore.

Abbiamo iniziato, forse, in maniera per alcuni un po’ “astratta”. Tuttavia, come dicevo, è un inizio necessario, per poi poter volare verso altri orizzonti. Già dalla prossima puntata incominceremo a scendere più in dettaglio, comprendendo come si automatizza e come sono fatte le nuove tecnologie. Per poi, sempre di più, comprendere i robot di oggi e quelli di un domani possibile. Restate in contatto!

Sergio Ragaini

Per saperne di più:
Teoria dell’Informazione (Università di Trento):
ing.unitn.it
Teoria dell’Informazione e della Comunicazione (Pontificia Università Salesiana):
lacomunicazione.it
Cervello umano ed elettronico:
notizieprovita.it
Cervello Umano e Computer:
seowebmaster.it
Cervello umano e computer:
iobenessere.it
Progressioni geometriche (serie di link):
ripmat.it

karmanews.it