A detta di alcuni esperti di fenomeni solari, ciò che è capitato il 23 luglio 2012 lo possiamo a pieno titolo catalogare tra gli scampati pericoli. Astronomicamente parlando, si è trattato di una CME (Coronal Mass Ejection), cioè un’incredibile bolla di plasma scagliata nello spazio a seguito di una supertempesta solare.
Per nostra fortuna, quando il potente flusso di materia ha raggiunto l’orbita della Terra, il nostro pianeta non era da quelle parti. Le conseguenze sarebbero state drammatiche: l’intenso flusso di particelle energetiche (principalmente protoni ed elettroni) convogliate dal campo magnetico del plasma solare – approfittando del fatto che tale campo magnetico può in alcuni punti annullare il campo magnetico terrestre – si sarebbe trovata la strada spianata per attraversare lo scudo della magnetosfera innescando fenomeni ben più devastanti di qualche disturbo alle telecomunicazioni. Un’avvisaglia di quali conseguenze si possano presentare la si è avuta il 13 marzo 1989, quando il sovraccarico di corrente associato a un simile evento mise fuori uso numerosi trasformatori lasciando gran parte del Quebec, sei milioni di persone, senza energia elettrica per quasi 10 ore.
Che gli strascichi di una tempesta solare raggiungano la Terra non è certo un evento eccezionale e ogni volta che succede si accende nei cieli il grandioso spettacolo delle aurore polari.
Quando però l’energia dell’evento cresce, allora la faccenda prende tutta un’altra piega. La più famosa tra le supertempeste è quella osservata nel settembre 1859 da Richard Carrington, la cui energia è stata stimata equivalente a quella liberata da 10 miliardi di ordigni nucleari come quello di Hiroshima. In quell’occasione furono osservate intense aurore polari perfino alle latitudini di Cuba e delle Hawaii (anche a Roma si assistette a un discreto spettacolo), ma certo meno pittoresco fu il fatto che gran parte della nascente rete telegrafica venne spazzata via. La supertempesta del 2012 fu probabilmente caratterizzata da analoga energia. Dall’epoca di Carrington, però, sul nostro pianeta le cose erano radicalmente cambiate e oggi un blackout globale sarebbe un’autentica tragedia, le cui ricadute economiche sono valutabili dell’ordine dei 2000 miliardi di dollari. Senza poi considerare le inevitabili sofferenze della popolazione.
Lo studio dettagliato dell’evento è stato possibile grazie al satellite STEREO-A, lanciato appositamente – assieme al suo gemello STEREO-B – per osservare fenomeni di questo tipo. Nel marzo scorso su Nature Communications è stato pubblicato uno studio in cui si spiega che in realtà si è trattato di una doppia CME: ci furono dunque due supertempeste solari che si scatenarono nel volgere di neppure un quarto d’ora. La preoccupazione per i rischi ha indotto Ashley Dale (University of Bristol) e gli altri ricercatori del gruppo di ricerca SolarMax a lanciare sul numero di agosto della rivista Physics World una sorta di appello a tutti i Governi, invitandoli ad attivarsi e pianificare le necessarie contromisure. Secondo la squadra di SolarMax la probabilità che, entro il prossimo decennio, si possa verificare un evento tipo-Carrington sarebbe del 12%. Un campanello d’allarme davvero squillante che, al di là dei possibili eccessi comunicativi, impone un’attenta valutazione del problema.
Da qualche anno qualcosa si sta già muovendo e tra i fisici che in tutto il mondo si occupano del nostro Sole la meteorologia dello spazio non è certo argomento da fantascienza. Forse, però, è giunto il momento di affrontare di petto il problema delle supertempeste solari. Obiettivo: non farci cogliere impreparati. Per approfondire il tema, abbiamo coinvolto Mauro Messerotti, ricercatore presso l’Osservatorio Astronomico di Trieste – dove si occupa di fisica del Sole e di meteorologia dello spazio – e docente presso il Dipartimento di Fisica dell’Università di Trieste.
Professor Messerotti, lo studio sull’evento del 2012 ha scatenato un vero e proprio allarme, con valutazioni statistiche a dir poco preoccupanti. Qual è la sua opinione a proposito della possibilità che siamo ormai nell’immediata prossimità di un evento devastante come quello di Carrington? Esagerazioni per attirare l’attenzione o c’è qualcosa di vero?
In effetti non esiste una statistica significativa per gli eventi estremi, che sono molto rari. Si può stimare una frequenza di accadimento e quindi considerare il tempo trascorso dall’ultimo fenomeno osservato per stimare quando potrebbe verificarsi l’evento successivo. Poiché tale statistica non è consolidata, le stime ricavate in modo semplificato non possono ritenersi affidabili, ma piuttosto delle indicazioni di massima.
Ad esempio, sappiamo che la supertempesta di Carrington-Hodgson è avvenuta nel 1859 e si stima che tempeste di questo tipo possano verificarsi ogni 500-600 anni. Sono trascorsi 155 anni da quell’evento, ma non è detto – trattandosi di una stima statistica – che il prossimo si verificherà tra 447 anni. Nulla vieta che possa accadere domani oppure tra 1000 anni. Dato che non conosciamo in dettaglio la fisica di tutta la catena di processi che porta al verificarsi delle supertempeste solari e le conseguenti tempeste geomagnetiche, non siamo in grado di fornire dati certi sul loro verificarsi. Sappiamo però che le supertempeste spesso si verificano nella fase di declino del ciclo di attività solare e che, come quella di Carrington-Hodgson, si osservano anche in cicli di attività di modesta entità, proprio come quello attuale che si sta avviando alla fase di declino. Ecco perché i ricercatori hanno considerato la possibilità che una supertempesta solare possa verificarsi a breve termine: non si tratta di allarmismo, ma di consapevolezza che la possibilità non deve essere ignorata.
Entrando nel merito di un simile evento, in una civiltà come la nostra così dipendente dalla tecnologia elettrica ed elettronica quali conseguenze comporta una super tempesta solare? Quali potrebbero essere i tempi di recupero dai danni provocati da un simile evento?
La Federal Emergency Management Agency (FEMA) negli Stati Uniti ha condotto uno studio in proposito, basato sullo scenario nel quale una supertempesta geomagnetica danneggia numerosi trasformatori per l’altissima tensione, causando la mancanza di energia per 100 milioni di utenti. In particolare: 100 milioni di persone rimangono prive di elettricità per 36 ore, per 35 milioni di esse l’assenza di elettricità si protrae fino a due settimane, mentre in tre Stati 10 milioni di persone rimangono senza corrente per quasi due mesi. I tempi di recupero dipendono dalla disponibilità sul mercato di trasformatori e parti di ricambio per sostituire o riparare i dispositivi della catena elettrica di distribuzione che sono stati danneggiati.
Nonostante la maggior parte dei sistemi di comunicazione non venga danneggiata, il fattore limitante è la mancanza di elettricità. I possibili impatti sulle infrastrutture critiche li possiamo così sintetizzare: lo svuotamento delle derrate alimentari nei supermercati in 24 ore dal verificarsi del blackout per la corsa delle persone all’accaparramento; per lo stesso motivo, la ridotta disponibilità di carburanti; infine, la mancanza di refrigerazione, telefoni, accesso a Internet e transazioni elettroniche a seguito della mancanza di elettricità.
Parliamo di contromisure. Ammettiamo che un efficiente sistema di meteorologia spaziale lanci l’allarme: cosa possiamo fare in concreto per attenuare i disastri? E’ sufficiente “togliere la spina”?
Dato che il malfunzionamento, risultato della perturbazione, avviene a livello di centrale, ovvero dove i lunghi conduttori dell’alta tensione trasportano l’elettricità ai trasformatori, l’utente finale viene interessato dalla mancanza di corrente elettrica e non da sovratensioni pericolose alla presa elettrica di casa. Questa, infatti, è servita in bassa tensione da conduttori elettrici non aerei e di lunghezza limitata. Quindi l’attenuazione deve avvenire a livello di infrastruttura elettrica, che deve essere progettata con adeguati sezionamenti a ridondanze atti a minimizzare gli effetti delle correnti elettriche indotte dalle tempeste geomagnetiche. Sono infatti queste correnti che, sovrapponendosi alle correnti elettriche standard della linea, causano la fusione dei trasformatori che si trovano a lavorare in un regime per il quale non sono stati progettati.
Qual è il ruolo della ricerca italiana in tema di astronomia solare e di meteorologia spaziale? A tal proposito, a che punto è la realizzazione di un network italiano per la meteorologia spaziale di cui si parla ormai da quasi quindici anni?
Proprio per studiare queste problematiche, alla fine del prossimo mese di Ottobre si costituirà in Italia la SWICO (Space Weather Italian Community), un gruppo di ricercatori italiani che operano nelle università e negli enti di ricerca e sono specializzati nei vari aspetti che caratterizzano la Meteorologia dello spazio e vanno dalla Fisica solare ed eliosferica alla Fisica del geospazio. L’interesse della componente scientifica italiana è supportato dall’interesse dell’industria che si occupa di problematiche spaziali. Inoltre, l’attività che SWICO svilupperà si inserirà nel progetto dell’Agenzia Spaziale Europea, denominato Space Situational Awareness (SSA), di cui un segmento è proprio la Meteorologia dello spazio (Space Weather) e che vede la partecipazione delle agenzie spaziali dei paesi europei, tra cui l’Agenzia Spaziale Italiana.