Vaccinare contro il Papillomavirus?

Papillomavirus
Papillomavirus

Ci sono fortissime pressioni commerciali da parte delle Ditte produttrici, sia a livello politico che dei mass media, per promuovere campagne di vaccinazione di massa contro il Papillomavirus.

A livello scientifico ci sono grandi perplessità, dubbi e preoccupazioni sul reale rapporto rischio/beneficio di questo vaccino.

– Quello che dobbiamo sapere prima di decidere

  • L’infezione da HPV è comune, ma il rischio di sviluppare un carcinoma è eccezionale, richiede decenni e può essere evidenziato precocemente da periodici e innocui Pap-test che in ogni caso devono essere eseguiti anche nei vaccinati, perché il vaccino copre solo contro 2 dei 15 ceppi ad alto rischio tumorale.
  • Mancano studi clinici longitudinali condotti da ricercatori indipendenti dall’Industria farmaceutica sull’efficacia del vaccino.
  • Mancano informazioni corrette ed esaustive sui reali effetti indesiderati di questa vaccinazione e stanno diventando sempre più numerose le segnalazioni di gravi danni da vaccino.
  • Mancano completamente informazioni sulla durata della protezione e sulla reale capacità di prevenire veramente non le lesioni precancerose ma il carcinoma del collo dell’utero.
  • Non si sa come si modificheranno i numerosissimi tipi di HPV in risposta allo stimolo vaccinale: gli altri tipi virali non coperti dal vaccino diventeranno ancora più cancerogeni?
  • Ci sono azioni di marketing da parte dell’Industria farmaceutica per esagerare questa malattia e creare dei falsi bisogni allo scopo di giustificare l’acquisto del suo farmaco?

Scopo di questa pubblicazione è fornire un’informazione aggiornata e indipendente ai cittadini e a tutti gli operatori sanitari sui vantaggi e sui limiti di questa vaccinazione, in modo che ognuno possa trovarsi nella condizione più corretta per esprimere, con un maggior grado di scienza e coscienza, il suo consenso o diniego veramente informato.

– Presentazione Dr. Roberto Alfieri – Docente di Progettazione e Organizzazione Sanitaria dell’Università di Bergamo

Nulla sembra turbarci più del cancro, tra tutte le malattie che ci affliggono. Nonostante i progressi e una divulgazione scientifica rassicurante, per cui abbiamo ormai imparato che va distinto in svariate tipologie di differente gravità, il cancro resta, nell’immaginario collettivo, la bestia nera che vorremmo tenere il più possibile lontana.

Non dobbiamo stupirci, perciò, del sollievo con cui viene accolta la notizia che, almeno per il carcinoma invasivo del collo dell’utero, si affaccia la promessa di una nuova arma, a portata di mano per tutti quelli che vogliono servirsene. Si tratta, addirittura, di un vaccino (contro il virus del papilloma umano), ossia di una forma di trattamento che da secoli riscuote vastissime benemerenze nel mondo intero.

I vaccini evocano l’eradicazione di autentici flagelli, come il vaiolo. Addirittura impediscono la comparsa della malattia che non può, così, manifestarsi con tutto il suo corredo di ansie e sofferenze.

Questa volta, però, il vaccino servirebbe non già a proteggerci da una malattia infettiva, ma da un cancro che si sviluppa a distanza di molti anni (mediamente 25) dall’epoca dell’infezione virale contro cui il vaccino protegge. Già questo fatto, di per sè, suscita diverse perplessità nella comunità scientifica internazionale che si è divisa tra favorevoli e contrari al suo uso, mettendo in luce anche l’intricatissima rete di conflitti di interesse che avvolge i servizi sanitari su scala planetaria.