Avete aperto una rivista e avete trovato l’ennesima novità che sgretola quella che, fino a poco prima, era considerata una vostra sana abitudine a tavola?
Bene, non siete soli. Da un recentissimo sondaggio apprendiamo infatti che ben il 62% degli italiani considera le varie fonti di informazione sull’alimentazione “contraddittorie”, e il 63% lamenta di trovarsi di fronte, ogni giorno, notizie diverse o contrarie rispetto a quanto si sapesse prima.
Questo però, lungi dall’essere sintomo di debolezza della scienza dell’alimentazione, è invece un segnale di una ricerca sempre attiva che non ha paura di sfatare dogmi dati per scontati o conoscenze già acquisite, come si conviene alla scienza.
E’ anche conseguenza dell’affinarsi delle tecniche di indagine, del progressivo ingrandirsi della mole di dati acquisiti, delle ricerche sempre nuove che altre scoperte innescano. Il miglioramento delle metodiche di ricerca consente poi, sempre di più, lo studio di cibi veri e alimenti integri per capire come funzionano le sostanze bioattive presenti nei cibi stessi, piuttosto che focalizzarsi su singoli nutrienti, composti o molecole come in passato.
Il bello è che le ricerche che seguono questo filone confermano ogni giorno di più l’effetto protettivo dell’alimentazione naturale e quello dannoso della cosidetta alimentazione moderna od occidentale, con ovvi risentimenti di gran parte dell’industria alimentare e di molti professionisti della nutrizione poco inclini al cambiamento: anche questo si aggiunge nel creare non poca confusione e molti tira e molla nelle notizie che poi tramite divulgatori e media arrivano al pubblico. Come se non bastasse, molti scienziati e ricercatori lamentano ancora molte difficoltà nel mettere a fuoco i ruoli delle singole sostanze bioattive presenti negli alimenti e nel capire come interagiscono con l’organismo, difficoltà che portano ai risultati spesso vaghi o addirittura contraddittori di ricerche svolte addirittura sullo stesso alimento o sulla stessa patologia, e che si risolveranno solo con il tempo e con l’ulteriore affinamento delle tecniche. Insomma uno scenario in evoluzione che lascia spesso spaesati media, divulgatori e grande pubblico.
Eclatante il caso della soia, per la quale i risultati molto contraddittori degli anni passati si spiegherebbero con una diversa capacità da parte delle persone di metabolizzarla per produrre equolo, un isoflavone (antiossidante) ad effetto anche simil-ormonale: solo il 35% della popolazione avrebbe questa prerogativa, con grandi differenze ovviamente fra oriente e occidente e fra persona e persona, e dunque tutte le ricerche sulla soia andrebbero riviste in quest’ottica (1).
Un ruolo emblematico di questa situazione, comunque, è rappresentato dagli antiossidanti in generale, che in questi anni godono di molto interesse da parte dei ricercatori.
Osannati da alcuni, considerati inutili da altri, il grande pubblico non capisce se, alla fine, funzionino o no. Ad esempio, una recente ricerca dell’Istituto Mario Negri di Milano circa l’influenza dei flavonoidi sulla prevenzione del cancro (2) ha evidenziato incoraggianti risultati di prevenzione dai cibi contenenti questa vasta classe di antiossidanti verso numerose forme di cancro, ma non ha trovato evidenze riguardo il tumore alla prostata, per il quale invece esistono forti speranze preventive da parte di altri studi su tè verde, pomodori e crucifere, tanto che molti urologi ne consigliano già l’uso come preventivo.
E’ vero, sono coinvolti (in parte) anche altri tipi di antiossidanti e altri fitochimici oltre ai flavonoidi, ma l’apparente contraddizione disorienta il grande pubblico e dà spunto ai detrattori che insistono nel dire che gli antiossidanti, nel nostro organismo, non hanno effetti e a volte sono pure controproducenti (certo, se usati da soli; e poi già dire che sono cotroproducenti vuol dire ammettere che un effetto ce l’hanno…). Un bell’esempio recente di questo è venuto dalla vicenda del cosiddetto “vaccino contro l’aterosclerosi“: molti detrattori degli antiossidanti sventolavano la ricerca collegata, nella quale si riportava che il trattamento massiccio con antiossidanti peggiorava la situazione. Leggendo meglio si capiva però che questo avveniva proprio perchè gli antiossidanti agivano, eccome, tanto che il sistema immunitario aggrediva il colesterolo LDL non più ossidato delle placche, peggiorando quindi l’aterosclerosi sì, ma quella già patologica (3).
Abbiamo dunque da una parte i ricercatori che stanno cercando di tracciare, come gli antichi cartografi, la mappa di un territorio ancora poco conosciuto procedendo a piccoli passi, dall’altra nutrizionisti e divulgatori che si accapigliano, chi pro e chi contro, sui risultati ancora vaghi. Di lato, l’industria alimentare che approfitta dell’alone di mistero per mettere antiossidanti dalle bibite ai biscotti, creando bottiglie di beveroni zuccheratissimi con la quantità di antiossidanti paragonabili ad una sola ciliegia e producendo improbabili integratori, e tutto intorno un pubblico che vede solo un bel caos. Noi, al riguardo, ci siamo fatti questa idea: perchè gli antiossidanti “funzionino” occorrono questi due presupposti: varietà e quantità. Vediamo perchè.
VARIETA’. Immaginiamo, semplificando, una scena che può avvenire in qualche nostro tessuto: un radicale libero, originato da un fritto piuttosto indigesto mangiato la sera prima, si avvicina pericolosamente ad una cellula, fortemente intenzionato a strappare a qualsiasi cosa gli si pari davanti l’elettrone che gli manca. Così facendo può causare seri danni, anche allo stesso DNA della cellula. A salvare la situazione, se passa da quelle parti, può essere la vitamina E, che generosamente cede un suo elettrone allo scalmanato radicale, neutralizzandolo (cedere facilmente elettroni è la prerogativa degli antiossidanti). A quel punto diventa essa stessa un radicale, che può causare altri danni, anche se più lievi. Ma se nelle vicinanze passa la vitamina C, un altro scambio di elettroni riaggiusta la faccenda.
Ma ora è la nostra vitamina C a diventare un radicale, che però può essere neutralizzato da un nostro antiossidante endogeno, il glutatione, che però a sua volta parte subito in cerca di un elettrone libero, che magari prende dall’acido lipoico. Attraverso tutti questi passaggi la carica ossidante del radicale di partenza si è molto attenuata, anche se via via si sono generati potenziali ossidanti (altro cavallo di battaglia dei detrattori). L’ideale è dunque avere sempre nell’organismo una squadra numerosa e ben assortita di antiossidanti carichi di elettroni da cedere a chi ne ha bisogno. Già i flavonoidi da soli sono più di 5000, e sommandoli a tutti gi altri antiossidanti abbiamo molte migliaia di molecole diverse.
E’ probabilmente questa la base del meccanismo di efficacia, che spiegherebbe perchè gli antiossidanti risultino così protettivi all’interno di una alimentazione naturale costantemente varia e completa, e inutili o dannosi se assunti come integratori concentrati e isolati (betacarotene…), o con una dieta poco varia e incostante. Se mangiamo solo il fritto indigesto e non qualche seme oleoso, un’arancia e qualche verdura, la catena della solidarietà elettronica potrebbe non partire per niente, e ci terremmo i danni del nostro bel radicale libero. Qui più che mai la parola chiave è sinergia. Ecco perchè i pool di antiossidanti risultano molto più efficaci della somma dei singoli componenti.
QUANTITA’. Molti detrattori accampano la scarsa biodisponibilità (scarso assorbimento intestinale e scarsi livelli ematici) di molti antiossidanti (ad esempio gli antociani) per sminuirne l’utilità (“Ne assorbiamo pochi? Allora non servono”). Occorre però vedere la cosa da un punto di vista più ampio. L’apparato digerente che ci ritroviamo al giorno d’oggi non è conseguenza di pochi decenni di adattamento, ma di centinaia di migliaia di anni di evoluzione e interazione con gli alimenti che la natura ci ha offerto. Pensiamo ai livelli di antiossidanti che i nostri antenati ingerivano quando l’alimentazione, per la maggiorparte vegetariana, comprendeva grandi quantità di frutti, foglie e vegetali in genere.
Si sa anche che l’organismo ha modulato la capacità di assorbimento di molte sostanze in base all’equilibrio fra danni e benefici che quelle sostanze portavano, ponendo dei veri e propri freni all’assorbimento smodato di sostanze che a basse quantità possono essere utili, ma in grandi quantità tossiche. Il fatto che una buona percentuale di antiossidanti rimanga nell’intestino e vi transiti solamente è probabilmente un’ulteriore conseguenza voluta dall’evoluzione: fa comodo che il loro benefico effetto avvenga in gran misura nell’intestino e sulle sue cellule, viste le trasformazioni biochimiche che vi avvengono e i materiali “estranei” che vi transitano.
E’ ovvio che al giorno d’oggi, con le mamme che riescono a fatica a far mangiare ai loro figli due porzioni scarse di verdure al giorno e se va di lusso un paio di frutti, e gli adulti che pensano che mangiare le patatine fritte sia assumere verdura, le quantità nette di antiossidanti in gioco siano molto molto diverse. Di conseguenza, avendo un apparato digerente modulato sul consumo di tanti vegetali al giorno ma mangiandone meno, i livelli di assorbimento si mantengono ai minimi sindacali.
In pratica, il fatto che assorbiamo pochi antiossidanti non è dovuto al fatto che non ci servono, come vorrebbero i detrattori, ma che ne mangiamo troppo pochi rispetto a come è tarato il nostro organismo. Tornando all’esempio degli antociani si è visto infatti che, aumentando di molto i cibi che li contengono, i livelli ematici aumentano, dunque l’assorbimento avviene eccome, se le quantità sono abbondanti come vuole l’alimentazione naturale.
Vista dunque la natura della maggior parte degli antiossidanti (poco assorbimento durante la digestione, breve vita all’interno dell’organismo perchè velocemente eliminati) la strategia da seguire è averne sempre in abbondanza e molto ben assortiti, sempre a disposizione dove possono essere utili.
Come concludere dunque questa accorata difesa dei nostri amici antiossidanti? Con il solito consiglio: instradarsi verso un’alimentazione naturale estremamente varia e ricca di verdura, cereali integrali, legumi, frutta, semi oleosi: il manifesto della nostra macrobiotica mediterranea. Una scelta sempre più supportata dalla scienza e dalla maggior parte delle varie linee guida istituzionali.
(1) “The clinical importance of the metabolite equol-a clue to the effectiveness of soy and its isoflavones”.
Kenneth Setchell, Nadine M. Brown, Eva Lydeking-Olsen.
Journal of Nutrition, dicembre 2002.
(2) “Flavonoids, Proanthocyanidins, and Cancer Risk: A Network of Case-Control Studies From Italy”
Marta Rossi, Cristina Bosetti, Eva Negri, Pagona Lagiou, Carlo La Vecchia – Isituto Mario Negri, Milano
Nutrition and Cancer, ottobre 2010.
(3) “Inhibition of T-cell response to native low-density lipoprotein reduces atherosclerosis”.
A. Hermansson e altri, Centro di Medicina Molecolare, Karolinska Institutet, Stoccolma, Svezia.
Journal of Experimental Medicine, maggio 2010.