L’abete innamorato della favola di Andersen

Hans Christian Andersen (pronuncia danese; Odense, 2 aprile 1805 – Copenaghen, 4 agosto 1875) è stato uno scrittore e poeta danese, celebre soprattutto per le sue fiabe. Tra le sue opere più note vi sono La principessa sul pisello (1835), Mignolina (1835), La sirenetta (1837), Il soldatino di stagno (1838), Il brutto anatroccolo (1843), La regina delle nevi (1844), e La piccola fiammiferaia (1848). La favola L’abete (Grantræet), del presente racconto, fu pubblicata per la prima volta nel 1844.

La favola dell’abete è un famoso racconto dello scrittore danese Hans Christian Andersen. Insegna ad apprezzare quello che si ha, prima che sia troppo tardi. Una storia da raccontare e leggere ai bambini. Ma siccome la conclusione è amara per l’abete che, a causa della sua incoscienza, finisce per diventare legna da ardere in un caminetto, deluse un particolare ragazzino che si impietosì per il povero albero finito in cenere. Io lo conosco molto bene, ma che fare per aiutarlo a sopportare il suo dispiacere e rasserenarlo? I suoi genitori e i suoi fratelli più piccoli, lo chiamano Tanino, un nome che deriva da Gaetano.

Tanino è gioviale e allegro ma molto spesso è pensieroso. Con la sua mente, sopravanza i normali pensieri dei suoi coetanei e considera il senso dell’umanità in modo diverso da quello comune. Gli alberi per lui, come pure gli animali, non possono essere trascurati e considerati esclusivamente come fonte di alimenti e così via.

Sentite invece com’è che questo ragazzino viene accontentato con una mia versione del racconto che sfuggì di concepire al suo autore Andersen. Poi state attenti a un fatto che fu meraviglioso per l’abete rigoglioso che svettava in alto lambito dalle nuvole. Ma questa cosa non si limita a tanto.

Intanto comincio daccapo per commentare il racconto di Andersen per poi intervenire col suddetto seguito culminante nel fatto meraviglioso che Tanino agognava che si avverasse.

In verità la favola dell’abete di Andersen, al di là delle aspettative di Tanino  è comunque più che mai attuale, poiché trasmette dei valori “contemporanei”. Ai bambini insegna il rispetto per gli esseri viventi e agli adulti la consapevolezza della loro incapacità di godersi il presente. Una velata sensazione di subire l’attrazione del passato e nel contempo risucchiati verso il futuro, dove nell’impossibile fusione è come si mescolassero nostalgia e rimpianto. E ironia della sorte l’autore Andersen tutto questo lo impersona nell’abete su cui si incentra questa fiaba: é lui l’interprete della favola in questione. Varrebbe la pena di dargli anche un nome, e chissà se esistono racconti per bambini di alberi che hanno nomi, io non lo so. Fatto è che esso vive nell’insoddisfazione di sé anche quando sta per diventare grande per iniziare ad essere adulto come tanti alberi accanto a lui. Il suo cruccio è nella continua speranza di diventare imponente per proiettarsi al futuro ma, col freno del rimpianto del passato. Quasi una costante che gli impedisce di cogliere il regalo che gli offre la vita per essere felici, anche di poco, senza far troppe riflessioni.

E questo fino a quando arriva il giorno in cui il giovane albero viene tagliato e condotto in una casa dove si festeggia il Natale. È la vigilia e viene addobbato con candele, mele colorate, giocattoli e caramelle. Di qui gli fanno corona incantati i bambini di quella casa in festa, tutti presi a strappare i doni appesi sui rami dell’albero, mentre ascoltano le favole dei loro congiunti.

Il giorno seguente al Natale, l’albero si aspettava di rivivere quella stessa magica atmosfera, mentre invece viene spogliato e relegato in una soffitta buia. Al posto dei bambini si sostituiscono dei topolini, ai quali l’abete racconta la favola che ha udito quando era in casa, al centro dell’attenzione di tutti loro. Terminato il racconto, anche i topi lo lasciano solo ed è la fine per l’albero. Con l’arrivo della bella stagione, l’abete che ha perso i suoi colori, viene portato in cortile. Un ragazzo prende la stella rimasta sulla sua cima, ultimo baluardo della vita che ha vissuto, mentre l’abete viene tagliato a pezzi e bruciato. La logica fine di un albero, di cui egli, purtroppo, non ha mai avuto consapevolezza.

Via via quest’amarezza lo pervade ingigandendosi in lui mescolandosi alla nostalgia del passato ed ecco la lezione per l’essere umano per un’insana vita, priva di attimi radiosi come bei fiori colti su prati intiepiditi dai raggi solari primaverili.

«E l’abete?», si chiedeva, Tanino, ricollegandoci a quanto detto all’inizio. «Nessuno ci pensa? Non è forse un essere che ha in qualche modo un’anima sensibile. Deve pur aver sofferto per ciò che gli accaduto.»?

Tanino aveva sentito di scienziati che avevano scoperto che gli alberi sono capaci di comunicare fra loro e soprattutto di imparare. Non solo, ma gli alberi sono in grado di sentire dolore quando ad esempio si intacca la loro radice. L’intraprendente ragazzino amante della natura tutto questo lo aveva letto su Internet. In particolare gli era rimasto impresso la notizia di un’interessante ricerca condotta a Vancouver:

…All’università British Columbia la dottoressa Suzanne Simard da anni studia il comportamento delle piante nei boschi del Canada. Ha scoperto che gli alberi possono inviare tra di loro dei segnali di allarme. Questo attraverso impulsi elettrici e segnali chimici inviati nel sottosuolo, dove sono presenti network di funghi che abitano tra le radici…

Perciò ora inizio a raccontare del fatto meraviglioso che sfuggì di concepire ad Andersen, l’autore della fiaba e che piacque tanto a Tanino. Ma è necessario che mi allacci al racconto di Andersen nel momento cruciale, poco prima che l’abete viene reciso per diventare poi l’albero di Natale in quella casa dei bambini per la festa di Natale.

…Quando si avvicinarono le feste natalizie, vennero abbattuti giovani alberelli, che non erano ancora grandi e vecchi come quell’abete, che non riusciva a avere pace e voleva sempre partire. Questi alberelli, che erano stati scelti tra i più belli, conservarono i loro rami e vennero messi sui carri che i cavalli trascinarono fuori dal bosco.

«Dove vanno?» chiese l’abete «non sono più grandi di me, anzi ce n’era uno che era molto più piccolo. Perché conservano i rami? Dove sono diretti?»

«Noi lo sappiamo! Noi lo sappiamo!» cinguettarono i passerotti «abbiamo curiosato attraverso i vetri delle finestre, in città. Sappiamo dove vengono portati! Ricevono una ricchezza e uno sfarzo inimmaginabili! Abbiamo visto attraverso le finestre che vengono piantati in mezzo a una stanza riscaldata e decorati con le cose più belle, mele dorate, tortine di miele, giocattoli e molte centinaia di candeline!»

«E poi?» domandò l’abete agitando i rami «e poi? Che cosa succede dopo?»

«Non abbiamo visto altro. Ma era meraviglioso!»

«Magari sarò anch’io destinato a seguire quel destino splendente!» si rallegrò l’abete. «E è molto meglio che andare per mare. Che nostalgia! Se solo fosse Natale! Ormai sono alto e sviluppato come gli alberi che erano stati portati via l’anno scorso. Potessi essere già sul carro! E nella stanza riscaldata con quello sfarzo e quella ricchezza! E poi? Poi succederanno cose ancora più belle, più meravigliose; altrimenti perché mi decorerebbero? Deve succedere qualcosa di più importante, di più straordinario, ma che cosa? Come soffro! Che nostalgia! Non so neppure io che cosa mi succede!»

«Rallegrati con me!» dissero l’aria e la luce del sole «goditi la tua gioventù qui all’aperto!»

Ma lui non gioiva affatto. Cresceva continuamente e restava verde sia d’estate che d’inverno, di un verde scuro, e la gente che lo vedeva esclamava: «Che bell’albero!»…

Ed ecco il momento in cui si verifica l’evento che ad Andersen, non venne in mente di raccontare, o non ci pensò, preso per lo scopo di mostrare un insegnamento di vita a coloro avrebbero letto il suo racconto. Ma guardate anche le due illustr. 1 e 2 che vi mostro di seguito, perché a Vezza D’Oglio, un singolare paese non tanto lontano dalla città di Brescia del nord d’Italia dove io abito, si vede sulla mappa locale un enorme abete le cui radici si trovano al posto delle sue case sparse, come poste al sommo di un’altura. Curioso vero? Gli uomini non credono che il mondo vegetale vive una propria esistenza in un loro mondo.

Illustrazione 1: Mappa satellitare di Vezza d’Oglio (Bs). Vista di casuali nuvole di passaggio fotografate dal satellite orbitante sulla Terra.
Illustrazione 2: Visione cartografica della mappa di Vezza D’oglio. L’abete innamorato di una nuvola della favola di Hans Christian Andersen in una nuova versione.

«Goditi il fruscio delle nuvole che ti sfiorano» aggiunsero l’aria e la luce del sole «magari potresti sentire il sussurro della loro voce!». E non finirono di dire queste parole che una di quelle nuvole, con fare audace e provocante, si strofinò più delle altre fra i rami dell’abete che ne fu scosso. Era un fatto capitato altre volte dacché era diventato alto, ma ora era diverso. Non aveva mai provato una sensazione come questa con la nuvola fra i suoi verdi rami, simile ad una abbraccio di due innamorati. Tale fu il suo stato interiore per tutto il poco tempo in cui quella vaporosa nuvola bianca era avvinta a lui, che gli fece sentire un sentimento che non aveva mai provato, era l’amore(1). Quel poco tempo gli sembrò eterno, ma una folata di vento diradò quella nuvola e tutto finì per l’abete che non riuscì a conservare nemmeno il ricordo di questa meravigliosa esperienza d’amore.  Rientrò in sé come se fosse stato preso dal sonno, e sentì riecheggiare in lui l’ultima frase sentita prima di aver sfiorato quella nuvola, cioè: «Che bell’albero!»… E la storia dell’abete prese il verso che si conosce…Ma Tanino lo sapeva per aver letto di quella ricerca all’università British Columbia della dottoressa Suzanne Simard che da anni studia il comportamento delle piante nei boschi del Canada. Se ne è parlato in precedenza. Ma ora leggiamo insieme il seguito del racconto di Andersen, però in base alla seguente mia nuova versione suggerita dalla realtà alla luce della doppia vita del mondo vegetale.

E qui il racconto prosegue così come lo racconta Andersen fino alla sua conclusione nota a tutti, ma la storia dell’albero è veramente finita? No, non è finita perché quel ragazzino, così pietoso verso di lui, si aspetta il seguito, fiducioso nell’avverarsi di un miracolo per vederlo risorgere in qualche modo che non riusciva ad immaginare. Ma contava molto su quell’amore che era nato nell’abete sfiorato da quella nuvola audace e provocante…

Aveva ragione il ragazzino così altruista, così amante della natura. Ce ne fossero altri come lui e la terra ritornerebbe ad essere come il dimenticato paradiso terrestre che si sa dal catechismo.

Ecco, ora racconto cosa avvenne a quel mozzicone di abete reciso dai boscaioli, quel tragico giorno secondo il racconto di Hans Christian Andersen. Nessuno ci crederà, ma quel ragazzino sì, ci si può giurare, perché credeva veramente che l’amore può tutto e poteva fare anche il miracolo di veder rinascere l’abete dissolto fra la cenere di quel caminetto del finale della favola. E così fu infatti.

E da qui, ora comincia un’altra favola per quel ragazzino così ottimista per il seguito sull’albero che non c’era più. E naturalmente il racconto prende il verso in cui è il nostro ragazzino, cioè Tanino, a far parte di esso, come un importante interprete.

Giunta la notte, Tanino, il ragazzino che seguiva con apprensione la fiaba di Andersen, dopo aver cenato con i fratelli, si coricò insieme a loro aiutati dalla mamma. Ella, dopo il bacio della buona notte, spense la luce della stanza e andò via.

Tanino fu preso da un sonno profondo e si addormentò pensando a quell’abete sfortunato, sperando sempre qualcosa di buono per lui.

Nel sogno, che sopraggiunse subito in lui, con sua meraviglia si trovò sul luogo dov’era lo spuntone dell’abete reciso dai boscaioli del racconto di Andersen.

Tutt’intorno vide gli altri abeti, grandi e piccoli, che sembravano presi per qualcosa che stava per avverarsi a momenti. Fu preso per l’apprensione a quella vista, ma questa visione si dissolse e un’altra gli si mostrò caricandolo di meraviglia. Ma dovete sapere che quel paese del quale ho mostrato, con le due illustr.ni 1 e 2, l’esistenza dell’abete del racconto di Andersen, tanto alto da svettare fra le nuvole, cioè Vezza D’Oglio, non a caso ha la singolarità di far vedere il mondo magico dei vegetali cui esso fa parte. A Vezza D’oglio ha sede nientemeno un’associazione culturale chiamata Spazio Fatato e si occupa di stampare libri di magia, ma anche di pubblicare su internet le stesse cose di magia. Proprio come se fosse una stazione intermedia fra il nostro mondo con quello della piante e non solo.

Il ragazzino sognante, che poco prima fu preso dalla concitazione degli abeti e arbusti intorno allo spuntone dell’albero reciso dai boscaioli, si trovò come se quello stesso luogo fosse capovolto. Cioè si rese conto di trovarsi dalla parte delle radici di quello spuntone d’albero, tanto da apparire a lui invece come foglie di una pianta a mo’ di una culla con sopra adagiato un ragazzetto grande come lui, con occhi aperti molto vivaci.

Aveva un copricapo color rosso a forma di cono e capì che poteva essere uno gnomo, come quelli delle favole di fate e streghe che aveva letto tante volte.

Ma come spiegare questa realtà, si chiedeva nel sogno il ragazzino che aveva compreso però, come poté avverarsi il miracolo della rinascita dell’abete finito in cenere. Capì infatti, con suo piacere e soddisfazione, che da quell’amore fra l’abete e la nuvola di passaggio era nato un figlio, ma nel modo ad essi congeniale essendo lui un vegetale. Il ragazzino sapeva che si riproducono con l’infioritura.

Quella notte del sogno della nascita del piccolo gnomo fu molto bello per  Tanino, colmo di gioia per ciò che aveva visto, come se fosse reale, ma sentiva forte il bisogno di avere spiegazioni in merito.

All’indomani a scuola, alla fine della lezione con il suo professore di scienze, che si dimostrava sempre molto ben disposto a dare spiegazioni ai suoi scolari, Tanino, senza tergiversare, gli si avvicinò e gli raccontò i fatti del sogno e attese fiducioso di sapere da lui il suo parere. Era convinto che conosceva la giusta storia non solo sugli gnomi, ma anche su altri esseri come questi di cui aveva sentito parlare, come fate, elfi e altri ancora.

Essendoci ancora tempo per l’ora di pranzo, il professore si mostrò contento di metterlo a parte su ciò che premeva al ragazzino di sapere e cominciò a spiegargli così. E non ci volle molto tempo.

Nel medioevo – racconta il professore –, quando l’umanità conservava ancora un legame molto stretto con i mondi invisibili e viveva a stretto contatto con la natura, queste creature, erano viste come piccoli esseri reali, proprio come se fossero di carne e sangue.

Le fiabe delle fate e degli gnomi, per noi si riferiscono a esseri fantastici, ma in quel periodo no, era normale incontrarli e crederli con un corpo materiale come il nostro, soltanto con fattezze diverse e senza un’anima, che era posseduta soltanto dal genere umano. Tant’è che si credeva, che gli gnomi scomparissero all’improvviso dalla vista dell’uomo per paura o timidezza.

Nel campo dei filosofi del mondo spirituale, Paracelso – uno di essi -, definisce questi esseri con nome di elementali. Egli è stato uno di questi filosofi del passato, ricercatori nel campo di queste cose, si è servito delle leggende e superstizioni di molti paesi per spiegare tutto ciò che ti sto raccontando sugli gnomi e altri del suo mondo. In passato si credeva molto di più a questi elementali, secondo lui. Si pensava, infatti, che tutto ciò che era stato creato – alberi, fiori, fiumi, campi, colline, nuvole – avesse uno spirito. Questa credenza era chiamata animismo, dalla parola latina anima, che significa appunto vita, soffio vitale, spirito. Gli Indiani del nord dell’America sono animisti: credono che gli animali e tutto ciò che c’è in natura,  abbia un’anima o uno spirito, come quello delle persone.

Gnomi, elfi, orchi, troll, fate, folletti, streghe, unicorni, draghi, ondine, spiriti del bosco: ecco il “Piccolo Popolo” – soggiunge quasi euforico il maestro felice di riscontrare nel ragazzino uno scolaro molto attento.(1)

A questo punto il professore, vedendo che era giunta l’ora del pranzo, finì di dare la spiegazione che gli chiese il suo scolaro Tanino, riscontrando che  si sentiva pago, e lo mandò a casa sua. Il ragazzino vi si incamminò tutto contento e mentre camminava meditava su tutto ciò che aveva appreso dal suo insegnante di scienze, ma in realtà non si sentiva pago per la conclusione con la nascita di quello gnomo, all’insegna del movimento culturale magico di Spazio Fatato di Vezza D’Oglio. Ad un tratto però gli venne in mente come poteva essere il seguito della storia fantastica dello gnomo di Vezza D’oglio. Pensò: e se fosse questa  la giusta spiegazione di quell’altra favola immaginata da Carlo Lorenzini detto Collodi, in cui il protagonista è Pinocchio, un burattino di legno che alla fine, dopo tante peripezie diventa un bel bambino?

A Tanino gli bastò questa illuminazione che valse come il volgere di una vita che cambia per lui e per il mondo che lo circondava.

Pinocchio ha in realtà tutto ciò che a lui gli mancava, ma in modo capovolto, e con dei fili così tenui per far da tramite ad una possibile conclusione solida e persistente della realtà umana tali da contenere la sua vitalità  e il suo ingegno catastrofico.

Tanino è come Pinocchio, assai curioso, al limite sfrenato, sfegatato, irriverente, nel suo essere vivo e scalpitante. Nella sua interiorità può riconoscere egli stesso di essere bugiardo a volte, ma non al punto di farlo trapelare nella vita reale. Cose quasi innocenti naturalmente. Ecco il suo mondo sotterraneo quasi di gnomo che questo racconto dell’abete innamorato gli fa capire. Ma Tanino è anche e soprattutto buono, sincero, altruista, premuroso, intrepido e giudizioso.

Faccio mia una conclusione del sito locomoctavia.it a commento del romanzo di Pinocchio, ma che tanto si adatta a questo racconto:

«I più matti e confusi in questo travolgente romanzo, sono spesso gli adulti: giudici che sentenziano assurdità  ingiuste, la volpe e il gatto che lo raggirano, i carabinieri che travisano costantemente tutto, punendo il malcapitato di turno e via dicendo.

Ci si chiede in fondo se sia Pinocchio a diventar bambino, o se non sia invece il mondo di chi gli sta attorno a riconoscerlo finalmente come tale; ad accorgersi in fondo che Pinocchio non è mai stato burattino.»

Ecco l’insegnamento del mondo capovolto dell’abete innamorato di Vezza D’Oglio.


Ci si domanda se la pianta si emoziona in relazione al supposto sentimento dell’amore del racconto. La risposta è sì. Per esempio la pianta è sensibile alle carezze, come la mimosa pudica e il nome, nel suo caso, non poteva essere più appropriato.  Questa pianta, infatti, è “sensibile” al tocco e se sfiorata si ritrae immediatamente (youtube.com/mimosa+pudica)

(1) Arthur E. Powel, Il corpo astrale e relativi fenomeni. p. 3-4. Edizioni “ALYA” – Milano